mercoledì 30 dicembre 2020

Mancanze terribili.

 

         

 

            “Devi inserire tutti i risultati estrapolati dagli elementi che ti abbiamo fornito”, dice LUI già irritato al telefono; “e devi farlo in fretta se vogliamo davvero raggiungere gli obiettivi prefissati”. Il terminale sul tavolo è acceso come sempre, ma LEI oggi non si sente particolarmente in forma, forse avrebbe bisogno di riposarsi, di svagare la mente, di prendersi una pausa da quel lavoro che sta svolgendo al suo domicilio, una trovata che le sembrava così meravigliosa quando le era stata preannunciata, ma che adesso, nel giro di pochi mesi, le è già diventata, per dirlo in una sola parola, semplicemente ossessiva. “Va bene, va bene”, risponde all'apparecchio cercando di dare l'impressione di stare davvero bene, di essere tranquilla, e anche assolutamente d'accordo con il suo capo. Riaggancia la telefonata, riprende la lista dei dati a cui stava già lavorando ed inserisce in fretta qualcosa rimasto ancora insoluto, perché sa benissimo che il suo terminale è sotto controllo, e non può certo permettersi di dire una cosa e poi evitare di farla.

La sua abitazione sembra diventata quasi un luogo di autotortura, pensa ogni tanto, e l'angolo che si è dovuta ritagliare per operare all’elaboratore, accumulando lì attorno i faldoni e tutte le carte che le forniscono per posta elettronica dall’ufficio, quasi un luogo dove soffrire e poi basta, da sola ed anche in silenzio, senza più possibilità di una pausa caffè o di un semplice scambio di qualche parola con i colleghi. Una solitudine massacrante, le viene spesso da pensare, ed un orario da rispettare che scorre lentissimo, quasi un perfetto tormento. Agli inizi aveva pensato che si sarebbe potuta occupare ogni tanto della sua abitazione, prepararsi il pranzo, riassettare le cose, fingere di essere in casa e non al lavoro, ed invece tutte queste si sono dimostrate attività assolutamente impossibili, e dopo pochi minuti durante i quali il suo terminale si ferma, qualcuno dall'ufficio le telefona con voce irritata per chiedere il motivo di quella pausa non richiesta. Quasi dei lavori forzati, pensa LEI assoggettandosi sempre di più a quanto le viene imposto ogni giorno.

Oggi ad esempio, le hanno prefissato delle piccole pause, "tanto per venirti incontro", le hanno detto, soltanto tre minuti ogni due ore, magari per andare in bagno oppure prendersi un sorso d'acqua da bere, e LEI ha iniziato a rendersi conto che è del tutto impossibile sfuggire comunque a quell'occhio remoto e infernale che la guarda, e qualunque cosa le venga in mente di fare, come appuntare un lapis, cambiare posizione sopra la sedia, dare un'occhiata fuori dalla finestra vicino a LEI, è proprio come se LUI lo venisse immediatamente a sapere, certe volte intuendo perfino ciò che è soltanto una sua semplice idea, quasi la tenesse sotto osservazione, la misurasse continuamente. E poi quelle telefonate di richiamo all'ordine che sembrano approntate da un torturatore psicologico, che non manca mai di sottolineare la gran fortuna che ha un’impiegata di terzo livello come può essere LEI, di poter stare a casa e ricevere puntualmente il proprio stipendio.

Naturalmente sono state già decurtate alcune indennità tra le voci che compongono la sua busta paga, come se fosse stata una sua libera scelta quella di lavorare al proprio domicilio, e così niente più buoni pranzo, nessuna ora di straordinario pagata bene, niente scrivania con cassettiera e telefono aziendale, niente di niente, nonostante LEI prosegua spesso ad inserire quei dati maledetti e infiniti anche oltre l'orario pattuito, "per il raggiungimento degli obiettivi", naturalmente, fino ad arrivare al punto, quando infine può chiudere davvero la propria giornata lavorativa, di odiare tutta casa sua, il suo terminale diventato strumento insopportabile, quel telefono a dir poco ossessivo, pronto a squillare per intimarle qualcosa di cui occuparsi immediatamente, e tutto il resto di quel suo stramaledettissimo mestiere. Le cose però dovranno pur cambiare per LEI, pensa qualche volta; si tratta di resistere in questa maniera solamente per periodo di tempo, magari più lungo di quanto era previsto, ma dopo basta. Tornerà come prima dentro al suo ufficio, vestendosi con gusto ogni mattina ed indossando scarpe vere ai suoi piedi, non rimanendo con le pantofole per tutta la giornata come fa adesso. E soprattutto sarà insieme ai suoi colleghi, che qualche volta le erano parsi addirittura insopportabili durante gli anni precedenti, ma che adesso le mancano terribilmente.

 

Bruno Magnolfi

 

venerdì 25 dicembre 2020

Superiori alle regole.

 

          

            Non so come meglio dirtelo, però sei tu il vero problema. Tutti si sono presentati con la voglia di stare tranquilli, divertirsi, svagare la mente, magari chiacchierare con gli altri anche per rendere più interessante la festa, instillare l’impressione che i pareri su una cosa o sull’altra abbiano ancora un loro rilievo, e che le parole, pur scambiate nel corso di una serata leggera come può essere questa, abbiano una propria importanza, un valore, anche un peso, se proprio vogliamo essere chiari. E in tutto questo tu sei soltanto stata capace di portare con te quella solita depressione che non fa star bene nessuno, che provoca soltanto irritazione, amarezza, voglia di scansare in qualche maniera le tue opinioni tristi e perlopiù inconcludenti. Certo, tutti abbiamo tentato di fingere che le cose andassero bene lo stesso, c'era da bere, da mangiare, la musica, però qualcosa d'importante strideva, lo si avvertiva benissimo. Quando ti sei messa seduta in silenzio e da sola, per un verso abbiamo tirato un sospiro di sollievo, ma d’altro lato la tua presenza stessa ha proseguito con il suo influsso di grigiore e di tristezza. Nessuno naturalmente ti ha chiesto di andartene via, perché tutti siamo persone educate e rispettose nei confronti degli altri, anche se il tuo continuare a prendere parte ad una serata come la nostra è sembrata a chiunque una cattiveria gratuita.

            “Come va?”, ti ha chiesto qualcuno nel corso della nostra piccola festa, ma più per darti la possibilità di farti sentire tra amici, che per vero interesse alla tua condizione. E tu non hai saputo far altro che attaccare con un sermone infinito, una vera cantilena sui tuoi malesseri e tutte le manie che covi da sempre dentro di te. Ci chiediamo addirittura che cosa mai ti abbiamo fatto di male per costringerci a sopportare il peso snervante della tua vista già di per sé deprimente, con l’aggiunta dei tuoi modi di essere incapaci di calarsi in una situazione che cerca di essere allegra e spensierata come una festa. Ma il tuo egoismo ha proseguito imperterrito a sviluppare il proprio livido disegno negativo, ed anche quando ti si è fatto immaginare che c’è un limite a tutto, e chi ti sta attorno non è chiamato per obbligo di legge a sopportare il tuo disagio manifesto, tu hai proseguito ad inclinare la testa su un lato e ad osservare semplicemente le tue mani, conservando la faccia da funerale che ti è consueta, e mostrando come sempre l’espressione di chi non viene compresa.

La festa ormai è rovinata, hanno pensato in molti, e tanto varrebbe persino prendere e andarsene, se non fosse per la figura meschina di coloro che dimostrerebbero in questa maniera di non riuscire a resistere al fastidio di doverti sopportare per forza; oppure, al contrario, potremmo metterti addirittura al centro dell’attenzione, per imparare proprio da te come si fa a non somigliarti per niente. Chiaramente poi non abbiamo fatto così, però se la serata non è decollata come doveva, sappiamo tutti a chi darne la colpa, e del resto è ormai chiaro che tu sei venuta tra noi proprio per questo, per rendere angosciati anche quelli che prima non lo erano affatto. Così il ritaglio di spensieratezza e divertimento, peraltro meritatissimo, che volevamo dedicare a noi stessi, all’interno di un periodo talmente nero e buio come si è dimostrato questo, almeno fino adesso, si è afflosciato rapidamente tra le tue mani, grazie alla tua incapacità di guardare anche gli altri attorno a te, oltre che vivere rinchiusa in te stessa e circondata soltanto dai tuoi oggetti personali.     

Alla fine, proprio in questo momento, ci stai salutando uno per uno per andartene sicura di lasciare dietro di te una grande mestizia, come se purtroppo, alla fine di questa festa, ti ritrovassi senza ombra di dubbio a riconoscere che queste persone che hai avuto di fronte a te per tutta la sera, non sono quelle che ti si confanno maggiormente, e che a dirla tutta la colpa è un po’ proprio la nostra, che non siamo neppure riusciti a farti divertire, magari facendoti dimenticare che la nostra era un’aggregazione proibita, un ritrovarsi oltre gli schemi, e che proprio per questo motivo avremmo dovuto sentirci tutti felici, leggeri, trasgressivi quanto basta, contenti di essere parte della schiera degli indifferenti alle regole, ben superiori, esattamente in questo, a qualsiasi indicazione.

 

Bruno Magnolfi  

 

lunedì 21 dicembre 2020

Senza problemi.

 

     

            Il collegamento è già attivato, LUI come ogni volta si è piazzato seduto al proprio terminale davanti alla scrivania di casa sua, e tutti gli ALTRI poco per volta iniziano ad apparire dentro alle finestrelle dell'ampio schermo che si trova di fronte ai suoi occhi. Non è male incontrare una parte dei propri colleghi almeno un giorno alla settimana, perché lavorare così a lungo da soli nella propria abitazione, con le dita sopra la tastiera per tutto quel tempo previsto dal contratto, fa sentire nel corso del tempo quasi degli estranei al mondo, dei personaggi come avulsi da tutto, come dei pesci che via via si ritrovano senza più l’acqua fresca e trasparente dove poter nuotare. Durante questi collegamenti LEI evita sempre con attenzione di passare davanti all’obiettivo: non le va di mostrarsi, preferisce restare nell’ombra, e lasciare che tutti pensino, com’è sempre stato, che LUI abiti ancora da solo dentro al suo appartamento. Farà una sorpresa, prima o dopo, a tutti quegli impiegati uniti dallo stesso mestiere e che ormai scambiano i loro dati semplicemente su quegli schermi, ma sarà LEI a scegliere il momento opportuno, senza lasciare questo compito al caso.

            LUI certe volte la osserva, mentre LEI si muove in perfetto silenzio sul retro dell’occhio vigile incorporato nell’elaboratore in funzione, e forse avrebbe voglia di dirle qualcosa, o farle un sorriso, però si trattiene, perché conosce i suoi sentimenti e non vuol certo farle una cosa sgradita proprio in quei loro primi mesi di convivenza. Si sono conosciuti tramite uno scambio fortuito di messaggi elettronici, senza avere delle conoscenze comuni, e poco per volta hanno accettato di svelarsi sempre di più certe piccole intimità, fino a desiderare di vedersi dal vivo, ed il resto è avvenuto quasi per un automatismo, considerate le condizioni. In fondo ci si sceglie per affinità, per un comune pensare, per una simpatia innegabile, o anche per una luce improvvisa che siamo sicuri di intravedere dentro allo sguardo dell’altra persona. Così vanno avanti le cose.

Comunque resta necessario in tutto quanto una buona dose di tolleranza, LUI lo comprende benissimo, ed anche riuscire a restare in silenzio tutte quelle volte che non è richiesta una propria opinione, specialmente se non appare in accordo con il parere di chi ci è vicino. Per cui, se anche rimane un suo forte desiderio quello di parlare con gli ALTRI di LEI, e riuscire a presentare almeno il suo bel viso davanti a quello schermo, alla fine è disposto a farne anche a meno, se non altro fino a quando le cose non sapranno mostrarsi mature e possibili anche per la sua donna. Comunque è chiaro che si parla naturalmente e soprattutto di lavoro in quei collegamenti virtuali, e forse non ci sarebbe neanche il tempo per lasciarsi andare a troppe incursioni nella vita privata, tanto che LUI anche oggi presenta i suoi dati, ciò che ha elaborato, e dice qualcosa degli aspetti su cui ha esercitato fino ad oggi le proprie competenze, limitandosi in margine ad osservarla ogni tanto con la coda degli occhi, sollevando con malcelato interesse la vista dal video, mentre LEI prosegue a muoversi leggermente dentro la stanza, mentre guarda qualcosa fuori dai vetri della finestra, o resta lì a rimirare qualcosa, quasi con un pizzico di indifferenza, tanto che forse una gran parte della propria attenzione, invece che dai problemi del suo mestiere, è proprio assorbita dal comportamento che ha LEI, da quel suo non fare, quel lento non occuparsi di nulla, tanto da doversi sforzare ogni poco per riprendere il filo di quello che viene detto e discusso tra tutti i colleghi.

Forse qualcuno di loro però nota qualcosa, magari la sua scarsa attenzione, oppure quel suo sguardo attirato su un lato, perché ad un certo punto gli chiedono in due o tre se abita sempre da solo, oppure se adesso abbia compagnia  dentro alla sua dimora; LUI arrossisce, non riesce a trovare una risposta pronta e adeguata, così si limita a cambiare immediatamente discorso, confermando qualcosa che sta girando immediatamente nella testa di tutti. Un attimo, ed è al centro di ogni interesse quanto non si riesce a vedere nella stanza da dove LUI è collegato, e non ci vuol molto a comprendere che la sua vita privata in questo momento stia come traboccando dai propri confini. “Sto qui da solo”, dice infine LUI con poca credibilità, “non sono neppure più abituato a stare con qualcuno”; e gli ALTRI immediatamente annuiscono, assolutamente senza problemi.

 

Bruno Magnolfi   

venerdì 18 dicembre 2020

Indignazione giustificata.

 

        

            Le scarpe dell’uomo seduto sul legno ben stagionato di una panchina dei giardinetti cittadini, appaiono immediatamente di buona qualità, praticamente quasi nuove, di sicuro ben pulite, e soprattutto indossate con la stessa indifferenza tipica di chi potrebbe riuscire a camminare a piedi nudi su di una levigata spiaggia marina dimenticandosi di avere delle gambe e dei piedi sotto al proprio corpo deambulante. Che poi lo stesso tenga tra le mani un quotidiano di grande formato che continua a sfogliare leggiucchiando qualcosa tra i titoli e gli articoli, è un elemento quasi secondario, così come il fatto che la sua giacca piuttosto elegante sia di un colore assolutamente appropriato al luogo, alla luce solare oggi assolutamente calda in questa tarda mattinata, alla pettinatura dei capelli ampiamente brizzolati, ed ai calzini che occhieggiano oltre l’orlo dei pantaloni ben stirati, sembra quasi superfluo, perché la cosa essenziale che si nota di lui è che le sue calzature sono assolutamente adeguate a tutto l’insieme. Certo è che sentirsi un buon paio di scarpe ai piedi è anche quasi sinonimo di voglia di camminare, ma l'uomo invece resta lì, quasi fermo sopra quella panchina, indifferente al fatto che in tutta la zona ci siano dei larghi marciapiedi, ed anche circondati da tanti bei negozi con le loro vetrine assolutamente da ammirare.

Quando poi giunge la signora col suo cagnolino, con ogni probabilità una vedova, o una separata brillante e ancora in forze, naturalmente non sembra che le cose siano capaci con facilità di escogitare un rapido accordo interpersonale, considerato soprattutto che questo tipo di animaletto con cui lei al momento si accompagna, tende per sua natura ad annusare immediatamente le scarpe di chi si trova vicino, se non addirittura usarle come angolo da prendere di mira per qualcosa di peggio. Ma fortunatamente non è questo il caso in questione, e la signora, una volta debolmente ricambiato il saluto dell'uomo che fa riemergere come dall’acqua lo sguardo da sopra quella sua carta stampata, mostra di volersi accomodare senza tentennamenti dalla parte più libera proprio di quella panchina, tralasciando ogni indugio riguardante l'indole della sua bestia al guinzaglio, ma registrando, senza assolutamente mostrare alcuna curiosità, da persona sicuramente sensibile ed attenta a certi dettagli, la buona presenza della persona accanto a cui sta per sedersi.

Il volpino color miele dal pelo lucido, in fondo ad una sottile cinghia di pelle rossa, pare in questo momento esatto del tutto indifferente alla compagnia scelta per trascorrere la prossima mezz’ora, ma con un piccolo guaito incoraggiante verso chi ne osserva le intenzioni, si lascia subito prendere in collo dalla sua padrona, preferendo di gran lunga il suo caldo abbraccio alla ghiaia spigolosa del vialetto. “Buongiorno”, replica infine l’uomo indirizzando adesso scherzosamente il proprio saluto proprio all’animale, e la signora, con un sorriso breve e assolutamente compiacente, dice subito, a giustificazione del proprio comportamento, che è piuttosto stanco il suo Duffy, in quanto “ha già ormai trotterellato persino troppo per questa passeggiata giornaliera”. “Deve essere giovane, però”, dice allora l’uomo tanto per allungare i complimenti all’animale pur dandogli implicitamente del viziato. “Non creda”, fa invece la donna; “ha già passato ormai i sei anni”, tirando un sospiro come se tutte le colpe del mondo fossero da addebitare al tempo che passa, il quale probabilmente trascorre troppo in fretta, secondo il suo parere. 

Infine l’uomo si alza, forse addirittura con un sottile dispiacere, considerato tutto, anche se certo non vorrebbe adesso vedersi costretto ad intavolare un vero dialogo sul tempo, sui cani, o sui giovani d’oggi, e poi con una signora dello stampo di quella che si è ritrovato vicino stamattina. Per lasciare un saluto, con un dito tocca per un attimo la fronte del cagnolino, lasciandosi rapidamente leccare dall’animale, poi dice che deve proprio sbrigare qualche commissione, ma quando ripiega il giornale e lo ripone in una tasca della giacca impeccabile, si accorge all’improvviso che la stringa della sua scarpa sinistra è indubbiamente slegata, e questo forse gli provoca un forte risentimento, anche se subito, con completa indifferenza, porge un saluto appropriato anche alla signora, e quindi si incammina, serio ma senza apparire indignato, anche se risoluto, nonostante tutto.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 17 dicembre 2020

Matite colorate.

 

            

            “Aprire nuovo documento”, dice LUI dentro al microfono portatile che gli pende da un orecchio mentre cammina nervosamente in casa sua osservando appena l’elaboratore acceso. Tutto funziona perfettamente, anche se non avere sottomano le lettere da digitare sopra la tastiera non è particolarmente stimolante. Poi riflette un attimo su quale possa essere l’attacco migliore per la relazione da leggere ai colleghi fra non molto, quando sarà in video conferenza insieme a tutti gli altri, ma nessuna frase per il momento gli sembra la più adatta. Si sofferma a toccare la sua collezione di matite colorate disposte in un capiente astuccio, ne muove un paio che adesso gli sembrano quasi fuori posto, poi dice con decisione: “dovremmo essere degli sciocchi per non renderci conto di quanto sia importante questa fase per la nostra azienda”, ma subito si interrompe riflettendo che un attacco diretto del genere possa venire giocato tutto sul timbro particolare che si dà alla voce, naturalmente insieme all’espressione decisa della faccia con cui ci si starà mostrando agli altri sullo schermo. Ci vuole uno sguardo fisso, pensa, e poi senza indugiare puntare diritti verso l’obiettivo senza mai sbattere le ciglia neanche per una volta. Riascolta subito le parole che ha appena registrato e la macchina le riproduce con estrema fedeltà, anche se gli appaiono adesso persino troppo teatrali. Però il senso va bene, forse deve soltanto ammorbidire la dizione.

            “Si può immaginare diverse soluzioni per superare questa fase”, dice ancora LUI al suo elaboratore; “però si può anche essere certi che sarà impossibile non definire esattamente da quale parte stare”. Un’affermazione del genere, con lo sventolio della doppia negazione in primo piano, è proprio la maniera per far venire allo scoperto anche i più recalcitranti, e se poi tutto questo è servito con delle maniere calme e anche piuttosto garbate, pur presentandosi come assolutamente ferme, il risultato può essere soltanto positivo. L’elaboratore prosegue a registrare in modo neutro, senza sollevare obiezioni, e già questo indica che la strada intrapresa può essere davvero quella giusta. Gira ancora avanti e indietro intorno alla sua scrivania, ed alla fine LUI solleva tra l’indice ed il pollice la matita del colore rosa geranio, osservandone la punta perfettamente conica e fresata. poi va a riporla tra il rosa flou e il rosa carne, nella stessa posizione dove era sempre stata.

            Non ci sono dubbi che le difficoltà del periodo portino tutti quanti i suoi interlocutori su posizioni più solidaristiche, ed è proprio per questo che il momento appare particolarmente adatto a forzare la mano anche dei più riottosi per accompagnarli verso un cambiamento vero ma nascosto, di misura storica per tutta la loro azienda, quella rappresentata da una serie di personaggi di cui quasi la metà sembra ogni giorno meno adeguata ai compiti assegnati. “Le modifiche ai nominativi dell’intero gruppo direzionale e la defenestrazione di almeno una parte di quello arriveranno soltanto in un secondo tempo, quando ormai non sarà possibile tornare indietro”, dice ancora LUI a voce alta, riproponendosi immediatamente di cancellare qualsiasi traccia della registrazione che sta proseguendo ad elaborare. Sullo schermo le sue parole vocali appaiono già decifrate e riprodotte a stampatello in maniera chiara e con caratteri di ampia leggibilità, e l’impostazione dell’intervento che LUI dovrà effettuare tra pochi minuti ormai sembra definito. Così si siede davanti alla tastiera dell’elaboratore e cancella ciò che non è utile, lasciando solamente la traccia effettiva da cui intende muovere. Poi si rilassa per un attimo, osserva di nuovo le matite, ed infine si collega.

“Ci sono già arrivate le tracce del tuo discorso”, gli dicono in due o tre che stanno già davanti ai propri terminali; “ci deve essere uno scherzo dietro a tutto questo”, gli dicono senza calcare troppo la mano, almeno per il momento. LUI si scusa, balbetta qualcosa di insignificante, appare a video estremamente imbarazzato anche nello sguardo, poi cerca di spegnere e riaccendere rapidamente qualcosa delle sue macchine per simulare una poco credibile intromissione piratesca. Infine resta in silenzio, rinunciando ovviamente al suo intervento, mentre adesso gli appare assolutamente certo che la matita di colore rosa geranio non stia proprio al posto giusto.

 

Bruno Magnolfi    

sabato 12 dicembre 2020

Notizia bomba.

 

       

            In sede oggi non c'è nessuno, esclusa LEI dentro all'ufficio piccolo, china sulla scrivania ingombra di carte, mentre sta leggendo dei ritagli di giornale e degli appunti che si è preparata con cura nei giorni precedenti. La rivista di quartiere per cui lavora da più di un paio d’anni, un giornaletto in edicola una volta al mese con degli articoli senza tante pretese, che attraverso le pubblicità capace di inserire è in grado soltanto di procurarle qualche rimborso di spesa e niente di più, poco per volta è diventato comunque per LEI l’impegno di ogni giorno, in cui si applica sempre al massimo, tentando ogni volta di scrivere in qualsiasi numero che venga messo in distribuzione, qualcosa di interessante e anche di arguto, un po’ per amore verso la sua città, e un po’ anche per cercare di essere notata nell’ambiente, con la speranza di fare carriera in qualche modo, insomma. Perché le piace modellare le parole e le frasi attorno alle scarse notizie che secondo il suo parere potrebbero forse andare ad incuriosire qualcuno che conta, una volta pubblicate, tra quei concittadini che abitano là attorno e che leggono le storie del rione, ed è proprio per questo, anche quando sembra abbia ormai finito di buttare giù uno qualsiasi dei suoi pezzi, che torna sempre a rileggerlo e a valutare con distacco professionale quelle informazioni e quei discorsi, in modo da poter correggere il più possibile ogni errore, e migliorare sempre tutto il risultato.

Quel paio di stanze fronte strada che la parrocchia di zona ha concesso di utilizzare a LEI insieme a quei quattro o cinque redattori della rivista, sia per la preparazione degli articoli, sia per impaginare il materiale, ed infine anche per dare alle stampe la pubblicazione terminata, sono senz'altro buie e fredde, ma secondo il suo parere è esattamente quella la gavetta che si deve fare in certi ambienti per sperare di assurgere ad una migliore vita lavorativa. Così è la persona che più di tutte frequenta quelle scrivanie, e quando c’è da fare una riunione per decidere una cosa o l’altra del giornale, LEI è sempre la prima a farsi vedere là dentro. Poi arriva il direttore. Dice svelto, dopo averla salutata: “dobbiamo ancora trovare l’argomento principale per questo mese”, senza neppure soffermarsi troppo a guardare il materiale su cui LEI sta lavorando. “Ci vuole qualcosa di forte”, prosegue, “pensavo ai lavori che devono iniziare quelli del Comune, però mi hanno detto che ancora non sono stati finanziati in Consiglio, perciò avranno tempi più lunghi del previsto”. A un certo punto si siede all’altra scrivania e tira fuori anche LUI qualche documento dalla sua cartella, tanto per far vedere che non è del tutto impreparato. Infine si volta a guardarla.

LEI sta digitando adesso qualcosa sul suo elaboratore portatile, ed ogni tanto si interrompe per guardare qualcosa tra i fogli sul suo tavolo, ma all’improvviso si ferma, volta la faccia verso la parte dove si è messo seduto l’altro, ed infine fa: “potremmo inventarci noi qualcosa di nuovo”, con una voce calma e impersonale, che quasi non chiede commenti. LUI non sembra darle retta, non riesce minimamente a comprendere a che cosa voglia alludere, ma gli sembra qualcosa buttata lì quasi per scherzare. “E’ facile”, continua lei; “potremmo inventarci una cosa che non esiste, ma che magari potrebbe piacere a tutti”. “Non capisco”, fa LUI dandole finalmente retta. “Forse intendi una notizia falsa che si capisca come scritta soltanto per attirare l’attenzione”. “Esatto”, dice LEI. “Come dire, per esempio, che i lavori del Comune che questo quartiere aspetta da vent’anni, adesso sono già iniziati, anzi, sono addirittura ad un buon punto, quasi terminati, via”. L’altro resta immobile. “Una provocazione”, fa adesso, guardando qualcosa di imprecisato sopra la parete.

Così cominciano a lavorare sopra quell’idea, come se da ora in avanti la loro piccola rivista, a corto sempre di notizie, inaugurasse con la notizia principale del mese una rubrica che potrebbe essere letta come -il mondo dei sogni-, dove infilare quello che molti cittadini vorrebbero vedere realizzato per davvero, anche se astruso o anche impossibile da essere compiuto. “Certo”, fa LEI, “un articolo in cui si parla in termini seri e precisi di qualcosa che se anche non vedrà mai la luce, in tutti i casi può sollevare molte curiosità e tanto interesse”.  “Mi piace”, fa allora LUI; “però dobbiamo lavorarci bene, e così il prossimo numero sarà una vera bomba”.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 10 dicembre 2020

Immagine inadatta.


 

            “Avevo un amico”, fa LUI mentre sistema delle carte nella libreria; “ma ci siamo persi”. Anche oggi fuori dai vetri la giornata appare grigia, con un cielo carico di nuvole e di pioggia, ma nell’appartamento all’ultimo piano di quel palazzo enorme dove  loro due sono andati ad abitare da circa un anno, adesso non giunge quasi niente delle voci e delle espressioni dei passanti lungo i marciapiedi cittadini, e neppure qualcosa di quegli evidenti rumori del traffico lungo la strada principale sempre congestionata. LEI sta seduta davanti al proprio elaboratore, digitando qualcosa ogni tanto e confrontando le informazioni che le servono per il suo lavoro. Poi dice: “mi spiace non averlo conosciuto”, con un moto di indifferenza ma anche con naturalezza. “Tutto risale a parecchi anni addietro”, aggiunge LUI tenendo in mano qualcosa che probabilmente gli ha riportato alla mente dei particolari proprio di quel periodo; “quando ancora io e te non ci conoscevamo neppure”. Poi ripone quanto si trova nelle mani, si volta e dice a voce bassa, come tra sé: “non so perché mi è accaduto questo: forse è colpa mia, ma da qualche anno a questa parte è come se poco per volta abbia continuato a perdere per strada tutti quelli che precedentemente avevo conosciuto”.  

            LEI sorride, come per aver ascoltato una spiritosaggine, e intanto continua a digitare qualcosa sulla tastiera davanti a sé. LUI alla fine si siede sulla poltrona con una specie di rivista, la sfoglia come per curiosità, ed infine: “mi piacerebbe adesso sapere qualcosa di tutte quelle vecchie conoscenze”, dice quasi di fretta; “però avrei anche paura nel ritrovarle, proprio per il confronto inevitabile delle cose tra il prima ed il dopo, e soprattutto per il dover ripensare alle belle aspirazioni che avevamo un tempo, quando eravamo tutti più giovani e migliori”. C’è anche un effetto nostalgia che va scansato in ogni maniera, pensa senza dire altro; soprattutto per la tristezza che inevitabilmente genera. Loro due si sono messi assieme soltanto dopo essersi lasciati alle spalle diverse altre relazioni reciproche, tutte naufragate male in un modo o nell’altro, senza alcuna possibilità di recupero, ed alla fine le cose sembrano aver trovato adesso un equilibrio un po’ più duraturo soltanto perché basato su quella maggiore tolleranza di coppia che hanno imparato ad avere. “Ho ancora qui alcuni suoi appunti del periodo universitario”, conclude poi quasi divertito.

  La stampante collegata all’elaboratore edita rapidamente alcuni fogli, mentre LEI si alza dalla scrivania, prende le carte pronte, poi si volta verso di LUI, come chiedendosi improvvisamente il motivo per cui non le stia dicendo altro di quel periodo a cui sembra tanto affezionato. “Peccato non essersi conosciuti in quel momento”, gli dice poi con noncuranza, forse per compiacerlo, ma quasi con ironia, mentre infila i quattro o cinque fogli di carta dentro una cartella. “Questo è vero”, fa LUI rimettendo nella libreria quell’inserto, come a voler chiudere in fretta l’argomento, o dispiacendosi addirittura di aver evocato in qualche modo quel passato, cercando così di recuperare in fretta l’impegno doveroso nel loro fondamentale presente. “Va bene”, fa LEI, però ora basta con questi discorsi, vado in cucina a prepararmi un caffè, se vuoi te ne porto una tazza”. LUI così, una volta da solo nella stanza, riprende in mano quegli appunti, tira fuori in fretta di nuovo quella foto che aveva notato prima ma che non voleva far vedere a LEI, e dà un’occhiata esauriente a tutta quanta l’immagine, per ricostruire bene il periodo in cui era stata fatta. Poi la mette via, dove era rimasta prima, per tutto quel lungo periodo.

Quando LEI torna ha un vassoio con i due caffè, e l’espressione sulla faccia di chi ha compreso perfettamente cosa sia successo in quei pochi minuti in cui non c’era. LUI la guarda, prende la sua tazza, cerca rapidamente un argomento tanto per parlare di qualcosa, ma poi resta in silenzio, senza neppure una parola adatta; mentre LEI, con un leggero sorriso apparso all’improvviso agli angoli della bocca, torna a sedersi al suo elaboratore.

 

Bruno Magnolfi

    

domenica 6 dicembre 2020

Normali abitudini.

 

 

            “Le restrizioni non mi spaventano, non lo hanno mai fatto”, dice LEI al telefono sorridendo, mentre contemporaneamente scorre sul suo elaboratore l’elenco dei messaggi di posta ricevuta durante le ultime ore. “E poi si tratta soltanto di fare l’abitudine a certi comportamenti”, conclude, dicendo questo come per rendere semplici e quasi naturali le cose che non si possono evitare. Quindi riattacca, con la solita frase fatta: “ci sentiamo dopo”, che indica il permanere attivo di un collegamento rassicurante, anche se poi di fatto ognuno sta da solo. “Dovrei sentirmi forte con me stessa, nella stessa maniera come riesco ad esserlo con gli altri”, pensa mentre cancella qualche pubblicità e qualche documento inutile. La solitudine non allevia di certo la sua depressione cronica e nascosta, ed occuparsi di qualcosa è soltanto un espediente tramite il quale allontanare il pensiero principale che la martella certe volte dentro la testa. “Aprire la finestra e buttarmi giù, ad occhi chiusi, senza guardare niente”, pensa in certi giorni quasi per ridere tra sé. “Come se questo palazzo fosse andato a fuoco, e non mi restasse nessun’altra possibilità per evitare da dietro di me le fiamme divoratrici”. Si alza dalla scrivania e come sempre va ad osservare la strada laggiù in basso. “Soltanto un altro problema per le autoambulanze e il personale di soccorso”, riflette nel silenzio del tardo pomeriggio. Il resto della giornata certe volte a LEI mette paura, come se il tempo nella sua scansione inesorabile scavasse un solco tra le sue cose. Poi torna  a sedersi.

            “In fondo che importanza può mai avere il mio riflettere continuamente su ciò che ruota attorno a questi pomeriggi insignificanti; la cosa giusta sta nel lasciarsi prendere dal ritmo lento del tempo, senza cercare di cambiarlo, ma anzi, accomodandosi sopra di lui come fa un gatto di casa sulla sua poltrona preferita”. Ecco, forse quello che le manca di più in giornate come questa è esattamente un esempio da seguire, un modello abbastanza preciso verso cui rifarsi; ed anche se spesso si convince come non le manchi nulla nelle due stanze dove abita, qualche volta si gira indietro all’improvviso, come avvertisse la presenza di qualcuno proprio lì accanto, quasi che la sua fantasia le ponesse vicino la materializzazione dei suoi desideri inespressi. “Forse più tardi qualcuno mi telefona”, pensa guardando l’apparecchio e scorrendo contemporaneamente sullo schermo del suo elaboratore la rubrica completa sincronizzata con il cellulare.

Silenzio. Un senso di vuoto permea la stanza dove LEI si trova, e di nuovo la prende quella voglia di scagliarsi fuori di colpo come uno sputo dalla bocca di un avvinazzato, ma in quel momento suona di nuovo il telefono, e così subito risponde, con voce improvvisamente allegra. L’amica di prima si scusa con un groviglio di parole, ma soltanto per dire in fretta, ricollegandosi ai discorsi precedenti, che non le piacciono le abitudini, e tutto quello che ha ascoltato poco prima adesso le sembra poco adatto alle circostanze. “Hai ragione”, fa LEI sentendosi sollevata da quella voce che adesso la fa sentire bene, lontana dai pensieri che la prendono quando sta da sola e non può neppure scambiare un’opinione con qualcuno. “Però talvolta anche le abitudini aiutano a sopravvivere”. L’altra non è d’accordo, dice che bisogna lottare per non abbandonarsi a quello che ora chiama “l’assuefazione all’esistenza”, e che tutti coloro che si adagiano a questo comportamento smettono prima o dopo persino di avere dei pensieri nuovi.

LEI resta in silenzio, non aveva mai riflettuto una cosa di quel genere, poi, sottovoce, dice che deve rifletterci meglio su questa opinione, perché in questo momento non sa decidere se sia giusto oppure sbagliato parlare in questi termini, e comunque, senza dirlo, le sembra di essere rimasta indietro rispetto a delle concezioni di quel genere. Si salutano, dopo qualche altro discorso più leggero, ed alla fine, una volta riagganciata la conversazione,  torna ad alzarsi dalla sedia e ad avvicinarsi alla finestra, per guardare un’altra volta qualcosa giù sulla strada. “Forse devo smetterla”, pensa adesso con forza. “Commiserarsi non ha mai aiutato nessuno, tantomeno me”.

 

Bruno Magnolfi

giovedì 3 dicembre 2020

Oscuramento.

 

         

 

            C’è un mistero dietro al groviglio inestricabile di figure che si affacciano ogni tanto sullo schermo, senza neppure un’apparente ragione precisa. Come se qualcosa avesse preso ad esercitare una funzione propria all’interno del suo elaboratore regolarmente collegato alla rete e per tutto il resto perfettamente funzionante. Come se al posto delle descrizioni che si potrebbero fornire quando si cerca di rappresentare qualcosa che si vede, o che si ricorda, oppure che si immagina, gli apparati elettronici avessero iniziato a mostrare per conto proprio un’interpretazione quasi personale delle parole e dei pensieri utili a caratterizzare una narrazione; ma non continuamente, questo no, soltanto a volte, probabilmente solo quando qualcosa di forte sembra suscitare la loro sensibilità.

            LUI osserva tutto quanto quasi con indifferenza, come se niente di anormale in fondo lasciasse semplicemente scorrere le immagini, o magari le generasse, immediatamente sotto la superficie dello schermo. “Qualcosa non risponde come dovrebbe”, pensa per un momento senza preoccupazione alcuna, come se ci fosse soltanto un banale problema elettrico, come una spina che non è stata inserita bene, o cose di quel genere; poi lancia il programma per la pulizia della memoria, tanto per provare, e nell’attesa di un rapido risultato positivo si alza dalla sua postazione per controllare comunque i cavi e le risorse a cui la sua unità appare collegata. Niente di diverso dal solito, nota con tranquillità; niente che almeno esteriormente possa indicare un vero problema.

Le figure, nonostante tutto, proseguono ogni tanto a svolazzare come farfalle davanti a LUI ed ai suoi occhi, peraltro con dei tempi propri, incalcolabili, al punto che diventa veramente difficile affrontare delle conversazioni video operative con qualcuno tra i suoi interlocutori, perché mostrare con indifferenza delle apparizioni strane sullo sfondo, è qualcosa che appare evidentemente fuori luogo. Certo non si può far decadere ogni impegno lavorativo soltanto per il malfunzionamento di una sciocchezza del proprio elaboratore, così LUI esce dalla sua stanza per un attimo, e tornando con le braccia ingombre, posiziona sul suo tavolo, per poi accenderlo immediatamente, un vecchio portatile piuttosto lento e anche privo di qualche programma non essenziale, ma che comunque in questo difficile momento può sostituire in qualche modo la sua macchina di fiducia.

Niente da fare, dopo appena un attimo anche questo schermo inizia a dare i medesimi problemi, come se la trasmissione dei dati avvenisse in maniera eguale per tutti gli elaboratori collegati dentro quella stanza, quasi che all’interno della sua piccola abitazione si fosse accasato un folletto capace di produrre figure e colori a proprio piacimento. Telefona, si scusa per la mancata partecipazione alla videoconferenza, aggiunge che ha dei seri problemi informatici in questo momento, poi riattacca e si prende una pausa meditativa spegnendo tutto. “Non posso permettere che una stupidaggine del genere mi metta sotto scacco”, pensa con un certo nervosismo. Ma dopo un momento torna davanti alle sue macchine, ne riaccende una di scatto ed appena accertato il verificarsi del medesimo problema, inizia a schiacciare i tasti assolutamente a caso, come se per una combinazione casuale e magica di impulsi si potessero risolvere le cose. Lo schermo allora si fa buio, e niente d’improvviso sembra più funzionare, se non una piccola spia verde che indica l’accensione regolare della macchina, nonostante tutto, e di tutto il sistema.

“Va bene”, dice LUI allora, con voce piuttosto alta, come per avvertire il folletto immaginario dell’avvenuta vittoria dei suoi scherzi sulla propria razionalità, la stessa con cui di fatto ha sempre cercato di affrontare tutte le sue cose fino ad oggi. Quindi si alza dal tavolo, si guarda attorno, e poi con passo lento arriva fino all’ingresso accanto alla porta di entrata, allorché osserva il quadro elettrico in cui passano tutti i collegamenti elettrici presenti nell’appartamento, ed infine spegne di colpo l’interruttore generale, provocando un totale oscuramento di ogni apparato e di ogni lampada di casa. Poi, con la fioca luce che giunge dall’esterno tramite una finestra, va a sedersi sopra una poltrona, senza decidersi per il momento a fare altro.

 

Bruno Magnolfi

 

 

martedì 1 dicembre 2020

Indifferente alle provocazioni.

 

  

 

            “L’immobilità del corpo, dinanzi all’elaboratore ed allo schermo che permettono sempre di più lo scambio di emozioni ed informazioni, veicola spesso una progressiva paralisi mentale, riducendo le capacità cerebrali degli individui fino a poche astrazioni possibili, sempre le stesse, sempre riprodotte quasi nella stessa esatta maniera”. LEI legge queste parole così dirette, poi sorride mentre lascia scorrere alcune immagini irrealistiche giocate su dei colori forti, come una cascata di pigmenti attorcigliati alla rinfusa mentre circuitano senza soluzione davanti ai propri occhi. Forse il suo primo desiderio sarebbe quello di rispondere immediatamente al messaggio digitato chissà dove e chissà da chi, ma dopo un attimo le priorità le appaiono differenti, e le pare fondamentale il fatto che alla fine ognuno alla propria scrivania sia padrone di dire quello che vuole all’interno delle connessioni di interscambio. Perciò va ancora avanti alla ricerca di qualcuno con cui dialogare per la prossima mezz'ora, tanto per perdere un po’ di tempo, quando infine dovrà collegarsi con gli altri del lavoro e sorbirsi tutte le sciocchezze che avranno da dire sullo sviluppo dell'azienda nel periodo a medio termine. "Sei una sciocca", appare scritto improvvisamente sullo schermo con caratteri piccoli ma evidenti. Bé, in fondo non è proprio un'offesa, però è insolito che qualcuno si prenda la briga di dire certe cose in uno spazio neutrale, tanto più che LEI neppure può rispondere, visto che non sa da chi arrivano certi messaggi, o se addirittura sia la macchina autonomamente a generarli.

“In ogni caso”, pensa, “questo è quanto accade; e forse soltanto perché non sono riuscita ad avere una reazione certa alla prima frase che mi è capitato di leggere, tanto più che avrei anche potuto ignorarla del tutto e cancellarla e basta”. Si sente sempre sicura di poter scartare le cose che non le piacciono, LEI; di poter scegliere quello che vuole, di mettere qua e là delle distinzioni che per suo parere lasciano apparire tutta la sua personalità, qualcosa che sta in netto risalto, rispetto alla normalità di tutti coloro che scambiano proprio come adesso dei messaggi a video. Salvo ignorare quasi completamente alcune materie, certi argomenti, alcune prese di posizione magari fondamentali per qualcuno. “Per quale ragione dovrei preoccuparmi di qualcosa che non mi interessa e non so neppure da dove giunga”, pensa adesso con soddisfazione, scartando in questo modo alcuni siti che le sono apparsi in una lista di collegamenti momentanei.

Quindi si alza dalla sua scrivania, gira per un attimo dentro la sua stanza riflettendo come in questo pomeriggio non ci sia nessuno di particolarmente interessante con cui riuscire a scambiare qualche frase o al quale far vedere qualche immagine tra quelle che si scelgono come propria personale presentazione, anche se non rappresentano mai naturalmente qualcosa davvero di se stessi. Ha una cartella di forme e di colori che ha scelto in questo ultimo periodo con grande cura ed attenzione, ed è sicura, una volta trovata la persona giusta che dovrà essere cortese ed anche sensibile, di riuscire facilmente a farsi ammirare per la propria selezione compiuta, anche se adesso in fondo non ha poi molta importanza, perché come quasi tutte le cose, persino questa galleggia in una specie di limbo, nonostante sia sicura di come prima o dopo dovrà trovare una propria collocazione, anche se nessun segnale dimostra che tutto ciò dovrà realmente succedere. Già, perché il punto è che “ci può essere qualcuno che ti segue, che si interessa a te per i tuoi modi di essere, per come cerchi di presentare la tua postazione video, ma è anche possibile che a nessuno importi niente, e che ogni sforzo che tenti tutti i giorni non sia minimamente preso in considerazione”.

L'unico elemento degno di nota rimane quella frase strana, quella specie di provocazione senza mittente, ma è troppo diretta e negativa per essere davvero una proposta. “È soltanto una frase fatta”, pensa LEI adesso, “un semplice proclama, una pubblicità. E poi che cosa importa, non si può certo dar retta a chiunque arrivi a dire delle cose del genere sul conto di chi neanche conosce”. Infine torna a sedersi e a riattivare il proprio elaboratore, che adesso mostra un’altra frase, questa volta però tesa solo ad invogliare l’acquisto di una certa marca di sapone detergente. “Così va meglio”, pensa subito LEI rassicurata, e collegandosi in videoconferenza.

 

Bruno Magnolfi 

venerdì 27 novembre 2020

Profonda distanza.

 

         

 

            Senza il canale giusto niente sarà ormai possibile, si dice spesso in giro. Nessuno purtroppo potrà tornare indietro, si aggiunge a volte, e le cose procederanno spedite sempre in questo modo nel tempo a venire, lasciando ogni persona praticamente seduta davanti ad un tavolo o ad una scrivania, nell’attendere il proprio turno per comunicare agli altri individui collegati le proprie competenze e i propri crucci, ogni tanto sottoponendo, magari a chi ne ha voglia, qualche frase recuperata dai testi scritti sopra qualche libro vero, e  modulando delle espressioni di sorpresa davanti alla propria fotocamera, nella speranza di dare un significato più profondo ad uno schermo assolutamente freddo e razionale. Questo pensa ancora LUI tutte le volte che apre il suo elaboratore di interscambio per veicolare la propria attività, mediante i programmi di riunione o di conferenza, verso alcuni colleghi sparsi chissà dove, dei quali in fondo non conosce quasi niente. Poi sorride quando riflette che tutto alla fine resta abbastanza divertente, e che il sistema è così aperto ad ogni evenienza da lasciare piena libertà ad ognuno di spegnere la propria macchina in qualsiasi momento, e negarsi in seguito di fronte a qualsiasi chiamata di ripristino.

            Certo è che qualche volta sembra proprio come si stesse insinuando in ognuno una evidente logica depressiva che porta verso una sorta di indifferenza nei confronti di tutti gli altri, e soprattutto toglie la volontà di essere sempre così efficienti come si vorrebbe. Così LUI oggi non si sente del tutto a posto neppure con se stesso, ed anche se è rimasto per quasi tutto il giorno davanti al proprio elaboratore nel cercare dei punti d’intesa con dei colleghi dai modi in qualche caso quasi recalcitranti a svolgere le funzioni a cui sono destinati, adesso non prova più alcuna voglia di mandare ancora avanti le proprie attività, anche se ritiene siano necessarie, perciò chiude con tutti quanti le comunicazioni in corso ed indossa rapidamente dei vestiti adatti a farsi un giro fuori dal suo appartamento, magari giusto intorno all’isolato. Gli piace sentirsi davvero solo mentre cammina nella serata inoltrata della sua città, quando tutto sembra più immobile e rilassato, ed anche se adesso non gli possono giungere in tempo reale le notizie di cui prova costantemente il desiderio di essere tenuto al corrente, sa che tutto riprenderà il suo corso fra non molto, quando tornerà tra le sue stanze, e quindi in questo momento può prendersi abbastanza tranquillamente quella pausa di vuoto.    

            Giunge fino al fiume, che scorre naturalmente tra gli argini di pietra e cemento come ha fatto sempre, e LUI osserva per qualche attimo l’acqua brillante rispecchiare sulla propria superficie la luce bianca dei lampioni, quindi si ferma per un attimo a respirare l’aria fredda. Una donna viene senza fretta verso la sua parte, sembra quasi una persona che sta cercando le stesse cose che LUI desidera, e con un pensiero di questo tipo, che gli riempie improvvisamente la testa, attende che LEI arrivi fino alla sua altezza lungo il marciapiede, forse per lanciarle un timido saluto, e magari scambiare qualche parola senza grandi pretese. Prepara tra sé anche qualche frase adatta alla circostanza, forse potrebbe invitarla addirittura in un caffè della zona a bere qualcosa, magari discorrere delle proprie difficoltà, di quel senso di inutilità che prova certe volte, della necessità di respirare quell’aria aperta, quel gusto momentaneo di libertà, ed immergersi in quelle chiazze di luce cittadina come fosse un attraversare gli stessi pensieri oscuri che a volte gli affollano la mente.

            Volge così lo sguardo altrove, proprio per non sembrare troppo insistente, quasi per mostrare di accorgersi solo all’ultimo momento di quella donna che sicuramente sente le sue stesse cose, percorre gli stessi metri di strada, prova le medesime sensazioni, come se loro due avessero qualcosa di evidente in comune, delle volontà, delle idee, uno spirito del tutto simile. Ma poi LEI d’improvviso cambia marciapiede, attraversa la strada forse senza neppure averlo notato, e d’improvviso lo restituisce alla sua profonda solitudine.

 

            Bruno Magnolfi

mercoledì 25 novembre 2020

Sufficiente una parola.

 

 

Gli elaboratori subiscono un sobbalzo di energia: alcuni si spengono, altri azzerano i programmi in corso. Molti utenti delle applicazioni di intercomunicazione appaiono immediatamente disperati, anche se diversi tra di loro lanciano immediatamente i piani previsti per il riallineamento delle attività su ogni macchina, mostrandosi questi piuttosto lenti, anche se, pur con una certa fatica, le cose sembrano poter prendere rapidamente la strada verso una normalità almeno fittizia. LEI si alza quasi subito dal suo sgabello ergonomico, e gira per la sua stanza varie volte nell’attesa che giunga, almeno su qualcuno tra i suoi schermi, qualche messaggio tranquillizzante da parte delle autorità che gestiscono tutte le attività di comunicazione. Per qualche attimo, mentre tutto quanto prosegue a mostrare una desolante luce grigia indefinibile, l’azzeramento di ogni operazione possibile tramite i mezzi in dotazione, porge una sensazione nuova di profonda solitudine, quasi il senso di una terribile segregazione alla quale nessuno riesce a porre con definita sicurezza un termine temporale. “Potrebbe essere così per giorni e settimane”, pensa già qualcuno forse nell’osservazione sconfortante di quel vuoto elettronico che si ritrova davanti agli occhi. Naturalmente nessun altro mezzo di comunicazione anche semplice appare in questo momento funzionante, e l’isolamento in cui si sente cadere il numero enorme di persone che resta comunque attaccato al proprio schermo con la speranza di un ritorno rapido alle consuetudini, rimane comunque fortissimo.   

“Potrei scendere direttamente in strada”, pensa LEI mentre cerca di porre un qualche freno all’angoscia che sente alzarsi rapidamente dentro di sé. Con questa idea si avvicina ad una delle sue finestre, naturalmente oscurata, per osservare dai palazzi che ha di fronte se stia giungendo qualche segnale incoraggiante, o magari l’evidente dimostrazione della ricerca spasmodica di qualcuno immerso nel tentativo di una soluzione possibile al problema capitato. Nessuno però in questo momento sembra essere presente dietro a tutte le prese di luce naturale che riesce a vedere dalla sua postazione, ed anche in basso, sull’asfalto alla base delle costruzioni, non si apprezzano dei movimenti tali da indicare un vero cambio nell’ordinarietà delle cose di ogni giorno. A questo punto perciò, giusto forse per tentare qualcosa, LEI decide di uscire dal suo appartamento e di verificare il funzionamento regolare degli ascensori disposti lungo il pianerottolo. Tutti fermi anche loro, come già stava immaginando. Così, quasi senza pensare, decide di bussare con le nocche di una mano alla porta blindata del suo vicino, simmetricamente di faccia al proprio ingresso. 

Non trascorre molto tempo, ed alla fine ecco, con una certa timidezza, che si affaccia LUI, esattamente uno degli interlocutori con i quali LEI si intrattiene quasi ogni giorno quando sta davanti al suo elaboratore per lo scambio di opinioni, soprattutto per dar seguito, come previsto espressamente dai piani governativi, al programma di connessione e correlazione dei cittadini tra di loro in quella esatta zona geografica del paese. Sembra sorpreso, e probabilmente appare poco abituato ad avere degli scambi reali di persona con altri utenti. Resta fermo per un attimo nell’osservazione della donna che si trova di fronte, poi dice soltanto: “abbiamo dei problemi comunicativi”. La sua voce esce flebile dalla bocca, la sua espressione non pare effettivamente tesa alla ricerca di un diverso argomento con cui iniziare una trasmissione diretta di opinioni con la sua vicina di appartamento. Ma in fondo questo è quanto LEI si aspettava esattamente di trovarsi di fronte, ed anche se l’angoscia che seguita a provare per l’isolamento dai suoi contatti le rimane come un elemento fermo, adesso le basta di sapere che c’è qualcuno in carne ed ossa nella sua stessa situazione, e questo al momento sembra più che sufficiente.

 

Bruno Magnolfi   

martedì 24 novembre 2020

Proponimenti indispensabili.

 


 

            Dimenticarsi di lanciare il programma di comunicazione interpersonale non è particolarmente grave, anche se ci sono degli individui che davanti ai propri schermi si chiedono con insistenza il motivo per cui una donna estroversa e relazionale come è sempre stata LEI, nell’arco di una giornata com’è quella di oggi, lasci il suo apparato per i contatti completamente spento, e diventi quindi irraggiungibile praticamente a tutti gli altri. Ma sentire il bisogno improvviso di starsene per i fatti propri ed evitare deliberatamente lo spazio interpersonale dedicato proprio alla sua fascia di scambio, persino negli orari canonici designati a questo scopo, appare per qualcuno quasi offensivo. Per tutto il giorno invece rimangono proprio così, come sono apparse da subito, le cose che normalmente la riguardano, laddove almeno LUI, ma alla fine anche l’ALTRO, che sono generalmente i più attivi fruitori esattamente di quel canale dedicato, proseguono a chiedersi quale sarà mai il motivo di questa pesante assenza da parte di una come LEI. Infine giunge un semplice comunicato in rilievo su uno sfondo composto da vari colori neutri sfumati tra di loro, qualcosa che semplicemente chiede scusa del comportamento tenuto, senza aggiungere comunque nessuna spiegazione. “Per me è già sufficiente”, dice subito l’ALTRO dentro al suo brillante vivavoce, lanciando nello stesso momento sopra al proprio schermo una serie di aquiloni colorati digitali che tendono a rallegrare l’etere di coloro che lo stanno ricevendo.

            “Non so, forse non è proprio così semplice la soluzione”, dice LUI lasciando scorrere le immagini del gioco di una piccola battaglia militare, dove la sua espressione corrucciata campeggia in mezzo agli ufficiali della guarnigione posta in difesa. “Negarsi è sempre grave, a mio parere”, dice ancora, “anche perché resta comunque possibile scegliere una fase più o meno densa di passività in un ambito interlocutorio”. Segue un silenzio pensieroso, in cui ognuno tenta di dar corso ad una propria idea personale delle cose, anche se non cambiano i riquadri degli schermi e non si dà voce ad alcun ulteriore intervento, neppure registrato. “Sono qua”, dice allora LEI improvvisamente nel vivavoce, lasciando apparire la propria faccia a video pieno, pur filtrata da una serie di ritocchi elettronici che ne alterano visibilmente le caratteristiche, rendendola quasi un fumetto animato. “Vorrei essere il più possibile neutrale”, fa LUI cercando di commentare quell’intromissione che si sforza di apprezzare, quasi catalogando il gesto come un tentativo ulteriore di un ritorno verso la normalità, “ma non posso certo negare come tenda a rimanermi in testa una leggera irritazione che svanirà soltanto a tempo debito”.

“Non credo sia il caso di imprimere all’accaduto delle impostazioni di grado del tutto soggettivo, definite nient’altro che da una personalità soprattutto suscettibile ed ombrosa”, fa l’ALTRO mentre imposta lo sfondo del suo schermo verso una navigazione lenta su dei toni rilassati, dove la propria espressione adesso è impersonata da un piccolo e curioso abitante di un bosco immaginario in cui tutto appare oltremodo semplice e privo di conflitti. “Non so”, fa LUI; “però mi sembra che essere troppo permissivi su dei comportamenti che per loro natura devono sempre mostrarsi il più possibile chiari e trasparenti, non sia esattamente la base migliore su cui impostare i dialoghi e le nostre comunicazioni”. Loro tre comunque sanno che possono accedere al sistema persino dei video spettatori che restano inibiti alle conversazioni, e che in ogni caso assistono a quanto viene scambiato, e possono apprezzare una parte oppure l’altra di coloro che invece riescono ad intervenire attivamente, e quindi resta difficile non avere, da parte di questi ultimi, dei comportamenti il più possibile obiettivi su qualsiasi problematica.

“Va bene”, dice LEI alla fine; “la responsabilità è mia che mi sono sentita in grado di godermi una giornata di piena libertà, senza dover spiegare molto ad ogni mio interlocutore”. Lo schermo mostra un colore chiaro, prossimo al verde acqua, e la sua immagine appare adesso senza filtri né ritocchi, pur contenuta in una davvero piccola asola sistemata in alto. Gli altri adesso restano in silenzio. “Comunque credo proprio non accadrà più; neppure un’altra volta”, conclude.

 

Bruno Magnolfi 

domenica 22 novembre 2020

Silenzio interattivo.

         

 

            Soltanto con un certo ritardo sull’appuntamento precedentemente pattuito lei finalmente si siede davanti al suo elaboratore casalingo e lancia l’applicazione per la comunicazione interpersonale. Naturalmente si è momentaneamente scordata i codici d’accesso dei programmi da usare, e quindi ci vuole anche altro tempo affinché tutto sia messo perfettamente in funzione, almeno fino al punto di lasciarle scegliere persino uno sfondo adeguato da far apparire sugli schermi degli altri, tale che nasconda le condizioni vere di disordine in cui lei normalmente è immersa anche quando comunica, ferme restando le sue espressioni facciali sempre in primo piano ma affidate ad una specie di sosia composto da un numero imprecisato di disegni sintetici molto somiglianti all’originale, ed impostato in maniera da mimare piuttosto bene i suoi rispettivi stati d’animo. “Ciao”, le dice lui mentre già sta intrattenendo una vivace discussione con l’altro che a sua volta prosegue ad affidare a dei colori pastello alcuni sfondi panoramici che ogni pochi secondi svaniscono e vengono immediatamente sostituiti. “Immaginavo non riuscissi a raggiungerci”, fa subito dopo con una voce camuffata da vecchio lettore di racconti per l’infanzia, mentre la sua faccia campeggia su un immenso campo agricolo appena lavorato dalle macchine. “Mi spiace”, fa lei; “ma sono piuttosto impegnata in questo periodo”.

Seguono rapidi e numerosi scambi di vedute da parte di tutt’e tre sui vari modelli lavorativi da applicare nel prossimo futuro, e le loro opinioni non tendono per nulla a convergere, restando semplicemente impostate sui loro iniziali pensieri di fondo. “Ci stavamo chiedendo quali progressi ci stiano aiutando in questo momento per superare il formidabile richiamo ad usare sempre più spesso i processi mentali a cui individualmente tendiamo ad abituarci, ma sotto questo profilo sembra che non ce ne siano, tolta la volontà egocentrica che almeno qualcuno tra noi tende a manifestare, di scombinare ogni gioco”, fa lui lasciando brillare il proprio sfondo monotono con macchie evanescenti di color oro sul nero, ferma restando la sua coerente espressione ridotta in un piccolo spazio basso nell’angolo destro. L’altro pare riflettere senza mostrare alcun tentativo per intervenire, ed anche lei non sembra di voler prendere la parola nel suo vivavoce applicato all’orecchio, ma si perde almeno per qualche secondo nella ricerca di un senso da dare all’immagine di un bosco verde ripreso per mezzo di un’ottica aerea mobile che ha impostato da due o tre minuti sopra al suo schermo. La pausa si protrae per un tempo apprezzabile, quasi una lungaggine senza importanza, fino a quando un lieve armonia di sintesi parte automaticamente dal sistema di comunicazione.

“Non sono del tutto d’accordo”, fa lui forse soltanto per interrompere quella musica insignificante che pare fatta apposta per addormentare i pensieri. “Tolta la spinta personale a trovare nuove strade in tutto ciò che completa ogni nostra abitudine, non vedo altre possibilità per opporre ulteriori sbarramenti ad un discesa inarrestabile del quoziente intellettivo”. Lei dopo queste parole ha uno scatto, una specie di dissenso da quello che ha appena ascoltato nel proprio vivavoce, così preme immediatamente il pulsante per intervenire, ma qualcosa di elettronico sembra inibire il flusso della sua necessità, tanto da lasciare il suo interfono assolutamente silenzioso, come se fosse d’accordo su tutto quello che è stato appena dichiarato. Pigia più volte e nervosamente il tasto del sezionatore, senza ottenere però alcun risultato, fino a quando fortunatamente uno dei due suoi interlocutori non apre il suo corridoio comunicativo, chiedendosi contemporaneamente il motivo di tanto silenzio.

 

Bruno Magnolfi     

          

sabato 21 novembre 2020

Organigramma dei pensieri.

 

 

            “La politica non mi ha mai interessato”, dice lui d’improvviso con un’espressione stentorea nel vivavoce senza filo che indossa sopra un lato della propria faccia. Lo sfondo dello schermo dell’elaboratore che ha davanti sta trasmettendo una fluttuazione tra dei colori che ricordano ironicamente le onde del mare, pur essendo solamente delle simulazioni sintetiche, mentre all’interno di queste variazioni di colore giganteggia la sua immagine ritoccata e sovraesposta, come se lui in questo momento stesse godendo di un pieno sole tropicale, evidenziando nell’espressione anche una vaga aria sonnacchiosa tipica di chi cerca un dialogo senza trovare le parole giuste da adoperare. Forse non è neppure quello che effettivamente vuole intendere quando usa una frase di questo genere, riflette mentre tenta un cambiamento dei colori nella scenografia elettronica, però tende a sfilarsi dalla schiera degli incalliti che vorrebbero ridurre ogni tendenza popolare ad una macchinazione elaborata a tavolino, ed in questo modo dimostrare la mancanza completa di libertà del sistema. L’altro, un suo vicino di casa in termini di distanza assoluta, eppure forse piuttosto lontano dal punto di vista delle identità di vedute, sembra riflettere a fondo mentre osserva qualcosa fuori campo, inquadrato dall’ottica del suo elaboratore in un momento in cui sembra sfogliare con lo sguardo un libro mentale che dovrebbe suggerirgli probabilmente i termini più adatti, ma finendo soltanto per rispondere: “non è un argomento, oppure una semplice materia però”, mentre lancia a margine, sulla sua macchina elettronica, alcune immagini in rigoroso bianco e nero di svariati gruppi di persone in movimento. 

            Lui allora si alza dalla propria postazione comunicativa, lanciando sullo schermo una programmata sequenza iterativa composta da vari spezzoni di riprese digitali di se stesso tutte effettuate negli ultimi tempi, quasi a voler sostituire la sua assenza con qualcosa che ne colmasse momentaneamente il vuoto, dando l’impressione di una certa linearità di intenti e di idee nei suoi comportamenti, quasi una coerenza effettiva da ritrovare nei gesti, nelle espressioni, nei vari movimenti del corpo all’interno dello spazio che ha avuto attorno a sé in tutti quei casi, e per prosecuzione quindi anche in questo esatto momento. Il dialogo appare quasi inceppato, praticamente incapace di produrre frutti, e nel momento esatto in cui lui torna a presidiare la propria area interagente con l’esterno, è pronto ormai a digitare lo sviluppo seguente del proprio pensiero, anche se gli restano dei dubbi sulla sua effettiva capacità di sostenere delle teorie talmente individualistiche da non lasciare alcuna possibilità di vera discussione. “Forse sbagliando”, conclude come per recuperare un tema dal quale non ha mai avuto l’intenzione di prendere davvero le distanze.

“Proprio adesso è il momento migliore per cercare delle intese”, scrive l’altro in fretta sullo schermo, imprimendo questa frase su di un lato del proprio spazio comunicativo, mentre la sua immagine da mezzobusto si fa lentamente sfumata in un contorno di città preda di macchine e motori, e del traffico caotico tipico del tempo appena trascorso, degno di una ipotetica rivoluzione industriale attualizzata. Il pensiero così si fa magmatico, e l’allentarsi delle risoluzioni a cui dar seguito quasi delle semplici masse di aria calda in movimento senza possibilità di essere imprigionate da concetti metabolizzati degni dei congressi di partito. “La vicinanza dei concetti diventa una vera e propria forza, anche se non può essere certo lo scopo finale”, conclude l’altro allontanandosi di colpo dal piano su cui interagisce tramite l’elaboratore. “Sono d’accordo”, fa subito lui mostrando adesso un gioco di bambini per evidenziare la soddisfazione con la quale sembra ritrovare il filo dei pensieri.

 

Bruno Magnolfi     

 

        

giovedì 19 novembre 2020

Sporco.


 

"Immagina di essere qui, adesso, nel tuo caro studio circondato dai libri; intere pareti di scaffali pieni zeppi di volumi di qualsiasi genere, da leggere e da consultare, disposti sui piani per semplice analogia, o per similitudine, ma mai in modo del tutto casuale". “Non mi stimola in questo momento”, risponde lui nel vivavoce. “Piuttosto, per esatto contrario, vorrei disinteressarmi una buona volta di qualcosa che mi trovo a riflettere spesso, e qualche volta si presenta nella mia mente come una vera ossessione”. Segue una lunga pausa durante la quale nessuno dei due sembra trovare la parola giusta da dire, come se quell’espressione che stanno cercando non esistesse, o se nessuna tra le frasi pensate fosse esattamente quella maggiormente adeguata. L’altro seleziona in fretta qualcosa sul suo elaboratore, così cambia per evanescenza l’immagine di fondo, lasciando apparire sullo schermo una panoramica statica del deserto dell’Arizona in pieno giorno. “Va bene”, fa lui, “ho compreso perfettamente il messaggio; però devo ammettere che sei un osso duro, e che non lasci facilmente la presa”. L’altro fa una leggera risata, poi si alza dallo sgabello ergonomico e per una manciata di secondi si avvertono solamente dei piccoli rumori fuori campo, per niente adatti a quanto resta inquadrato.

“Purtroppo le ore della giornata appaiono sempre più lunghe, e riempirle con elementi di vero interesse è sempre più complicato”, fa lui. “Vorrei spesso avere talmente tante cose da fare da dimenticare che possiedo anche un apparato pronto a pensare in maniera autonoma, appena si presenta uno dei vuoti occasionali”. Riappare l’altro bevendo qualcosa da una tazza dai colori tenui, torna a sistemarsi seduto, poi senza fretta gli chiede quale sia il pensiero ossessivo a cui accennava soltanto poco fa. Ma prima che lui parli sottolinea come tutti abbiamo delle riflessioni ricorrenti che forse non servono a nulla, ma che si installano autonomamente nel nostro cervello e sembrano voler accompagnare con la loro presenza parecchi momenti del giorno, e in certi casi persino della notte. “Ultimamente mi sono fissato di vedere la polvere depositarsi dappertutto, ad esempio, e che questa tematica che tento di risolvere, sia assolutamente una lotta impari, dove non riesco mai ad avere la meglio”. “No, no”, fa lui scuotendo la testa in un campo azzurrino composto da un mosaico di piccoli elementi tutti simili. “Per me è completamente diverso. Si tratta del mio sangue che sento scorrere per vibrazione dappertutto nel corpo, e quando non ho impegni impellenti sembra rallentare il suo corso, fino a smettere del tutto il suo moto”.

“Cioè: devi sentirti impegnato per evitare di spegnerti”, fa l’altro mentre sorseggia dalla tazza. “Esatto”, fa lui. “Come dovessi cadere inevitabilmente in una specie di letargo, se non trovo rapidamente qualcosa da fare o di cui occuparmi”. L’altro volta gli occhi verso un lato dello schermo, che intanto ha mutato colore virando verso un indefinibile grigio neutrale di fondo. “Non c’è alcuna soluzione ad un problema del genere, è evidente”, pensa mentre osserva la tastiera che tiene di fronte, “e qualsiasi sensore puoi farti impiantare sotto pelle per il rilevamento di un pericolo del genere, non darebbe mai nessun risultato apprezzabile”. Perciò resta in silenzio lasciando scorrere più volte alcune variabili di tonalità dell’immagine che tende a rappresentare il suo stato d’animo, incapace in ogni caso di trovarne una che sia più definitiva di altre. “Sono le solite sequenze irrisolvibili”, dice poi nel suo vivavoce. Quindi con la mano toglie lentamente qualcosa di sporco dal piano del tavolo di fronte a sé, ed infine immobilizza la sua immagine sullo schermo, lanciando semplicemente il ripetersi di un saluto formale.  

 

Bruno Magnolfi

 


mercoledì 18 novembre 2020

Neanche una sola parola.


Nel condominio la conoscono tutti. Una ragazza timida in apparenza, ma che sa nascondere, almeno così dicono alcuni, una personalità contorta, poco comprensibile, certe volte sfuggente. Lungo le scale, quando scende dal suo appartamento, tiene lo sguardo basso, raggiunge rapidamente l’uscita e poi, senza mai indugiare, se ne va lungo la strada, evitando di intrattenersi a parlare con qualcuno del vicinato che magari la conosce da sempre e la saluta con enfasi ogni volta che lei attraversa la soglia del portone perennemente spalancato. “Ciao Silvia”, dice qualche volta con voce profonda al suo passaggio anche un amico della sua infanzia che lei conosce da sempre ma non ha mai frequentato, e Silvia accenna un sorriso e poi basta, proseguendo con decisione per il luogo verso cui è diretta, senza tentennamenti, come se ogni distrazione fosse soltanto una perdita di tempo. Non le piacciono le persone che si fermano là, sul marciapiede, a parlare per ore del più o del meno, a malignare su coloro che conoscono, a dare giudizi su tutti quelli che capitano da quelle parti. La ritiene una proibizione di libertà quel loro guardare anche verso di lei con insistenza, e poi spiccicare sottovoce aggettivi più o meno appropriati, per sentenziare i loro pensieri come fossero frutto di grande saggezza.   

Poi dimentica tutto e raggiunge rapidamente la fermata del bus, ne attende l’arrivo e si lascia portare generalmente fino al capolinea, in quella strada dove risiede suo padre, in una piccola casa da solo, separato com’è costretto a vivere da quasi vent’anni, ed ultimamente preda di un profondo stato di depressione che spesso lo lascia per intere giornate privo di qualsiasi volontà, abbandonato privo di forze sopra una sedia, senza fare niente né vedere nessuno, se non appunto sua figlia, che gli porta se può qualche novità, e che lo sprona ad uscire, a prendersi cura di sé, a curare in qualche maniera quel suo disagio. La mamma non ne vuole sentir parlare di lui, ritiene di aver sbagliato tutto a sposarsi quando era giovane, e l’unica cosa di cui non si pente è quella di aver avuto una figlia, a suo parere perfetta, anche se forse un po’ troppo ombrosa. Per Silvia vivere con sua madre non è stata una scelta, ed appena le sarà possibile sa che andrà via da quell’appartamento immerso in un condominio che sente così freddo e distante. Poi però rientra a casa ogni volta e subisce quella quotidianità quasi in silenzio, senza mai affrontarla davvero, lasciando che tutte le cose scorrano il più possibile senza mettersi mai di traverso.

Ma stasera incontra sul bus quel medesimo ragazzo che conosce da sempre, lo stesso che a volte la saluta, e lui si avvicina subito a Silvia con dei modi cortesi, pacati, quasi gentili, anche se poi resta in silenzio accanto a lei, quasi intimidito, praticamente senza chiederle niente, come provando la sottile paura di recarle qualche disturbo. Lei, mentre stanno ambedue in piedi come molti altri passeggeri, osserva le mani di lui aggrappate ai sostegni di quel mezzo pubblico, ed improvvisamente le appaiono calde, belle, sicuramente forti quando serve, ma adesso dolci, morbide, quasi da stringere. Neppure lei ha voglia di parlare, ma adesso prova piacere nello starsene lì insieme a quel ragazzo, ed alla fine loro due rimangono in questa maniera per tutto il viaggio, fino a quando non scendono, giunti ormai nel loro quartiere, per prendere a piedi con passo calmo quell’ultimo piccolo pezzo di strada necessario per tornarsene a casa. Silvia gli dice senza mezzi termini che non le piacciono quelle persone che stazionano sempre davanti al portone a parlare con tutti, ed il ragazzo le sorride per questo, comprendendo appieno il suo punto di vista, e forse ricambiando in parte quel suo sentimento. “Ma non stasera”, le dice difatti in un soffio; e quando sono ormai vicini al loro condominio, lui dolcemente le prende la mano, ed attraversando la soglia del solito portone, nessuno tra tutti quelli che sostano là anche stasera si prende la briga di dire loro qualcosa, nemmeno una semplice, sola parola.  

 

Bruno Magnolfi