giovedì 30 gennaio 2020

Materiali aridi.

           

            "Sono io a sbagliare”, dice con piglio. Poi si prende una pausa durante la quale si sposta di circa un metro. “Anche se la differenza tra essere giusti o in errore è sempre minima, quasi una stupidaggine", conclude. L'operaio sul ponteggio prosegue a parlare con un altro operaio, ma senza guardarlo, mentre ambedue continuano a stendere l'intonaco fresco sulla facciata, lavorando con ritmo, senza risparmio, senza mai smettere. Dieci metri più in basso qualcuno prepara la malta per loro, in maniera che non ci siano mai delle perdite di tempo. “Mio figlio certe volte mi guarda, e forse pensa che non avrei mai potuto far altro che questo mestiere. E’ come se tutto fosse inamovibile nella sua mente: pensieri fatti e poi definiti, senza variabili”. Il ponteggio si muove ogni tanto, quando i due operai si spostano a destra o a sinistra, per via della flessibilità dei ferri e dei piani, ma tutto è ben solido, non ci sono problemi.
            “Lui crede che il lavoro sia quello che uno si merita”, fa ancora lui, “ed io non so proprio spiegargli cosa ci sia di sbagliato in questo schema”. Di sotto qualcuno urla di tirare su il verricello, la carretta è già pronta, piena fino all’orlo e di giusta consistenza. Lui si accende una sigaretta mentre pigia il pulsante azzurro del macchinario, ed osserva venir su la merda grigia, fredda, scostante, pronta a cadere da tutte le parti se non la sai trattare nella giusta maniera. L’altro intanto raschia i residui nei cassoncini, poi li sbatte sui piani, ed infine ripulisce le zone dove loro mettono i piedi. Arriva la roba e i due ricominciano, riprendendo a stendere dallo stesso punto dove si sono interrotti. “E’ difficile parlare con questi ragazzi”, fa lui. “E’ come se ci fosse tra lui e noi una distanza molto maggiore di una semplice generazione”.
            Qualcuno poi dice qualcosa da sotto: sembra che in cantiere sia appena arrivato il geometra a controllare i lavori, ma nessuno trova niente di cui preoccuparsi, i lavori procedono, tutto va bene. "Certe volte gli dico che è solo la passione; è l'entusiasmo che metti nelle cose che fai, a produrre tutta la differenza. Ma lui ride e basta, sembra non gli interessi nulla di niente". Arriva il geometra sotto al ponteggio, chiede con voce alta se tutto proceda come previsto, loro si affacciano un attimo, gli dicono: “certo; è tutto sotto controllo”. Quello dopo poco se ne va, e loro continuano come sempre. “Non vorrei mai facesse il mestiere di suo padre”, fa lui; “però neppure quello di uno stronzo come il geometra”. L’intonaco nelle zone più lontane da dove stanno loro comincia a tirare, e lo si vede schiarire già dalle sfumature di grigio.
            Arriva mezzogiorno, e loro scendono, dopo aver sciacquato con cura tutti gli utensili che hanno sopra al ponteggio. Si siedono dentro all’edificio senza finestre, sopra dei mattoni forati appoggiati in mezzo alla polvere, ed aprono le loro borse, tirano fuori con attenzione le cose che devono mangiare. “Vorrei tanto che qualcuno mi desse una dritta”, fa lui; “che esistesse un sistema sicuro per non sbagliare mai con i figli”. L’altro lo guarda, ed anche se non ha figli comprende tutta la sua preoccupazione, mentre addenta qualcosa. “Potrei fare come tanti”, prosegue; “fregarmene; e lasciare che fosse lui a scegliere la propria strada. Ma non sarei tranquillo se almeno non gli spiegassi cosa c’è da scansare, cosa non vorrei mai che facesse nella sua vita. Perciò voglio farlo venir qui qualche volta, per fargli mangiare anche a lui un po’ di questa polvere arida, e comprendere meglio le parole che adesso non so proprio dirgli”.


            Bruno Magnolfi
           

          

mercoledì 29 gennaio 2020

Importanza della noia.


       

            “Sono stanca”, fa lei; “stanca di avere di fronte sempre le medesime cose”. L’amica annuisce mentre ambedue continuano a camminare lentamente lungo quel marciapiede, senza neanche avere una meta precisa, soltanto per compiere una semplice passeggiata. “Lui rientra tardi, è il suo lavoro, lo capisco; però di tutto il resto sono io a dovermene occupare”. Poi attraversano la strada, si fermano davanti ad una vetrina e si scambiano alcune opinioni su quanto vedono esposto.
            “Non si tratta di cattiva volontà”, dice ancora lei; “però adesso mi vedo stretta in un ruolo che non credo di aver mai desiderato”. Infine, dopo aver indicato l’un l’altra qualcosa, decidono di entrare dentro al negozio, guardare meglio gli articoli in bella mostra, individuare le cose che sembrano più interessanti. L’amica prende un golfino da sopra un espositore, sorride, dice soltanto che quello è un colore che le piace moltissimo. La commessa chiede se può essere utile, ma loro si limitano a scuotere semplicemente la testa. Lei forse vorrebbe provarsi una gonna, ma non riesce a trovare la taglia giusta, così ci rinuncia. Anche l’amica riappoggia il golfino, pur mostrando ancora una certa titubanza, ed alla fine escono da lì, salutando con cortesia la ragazza che sta alla cassa.
            “Però tuo marito faceva il giornalista anche prima di conoscerti”, dice adesso l’amica. “E’ vero”, fa lei; “ma sai come vanno le cose: pensi sempre che tutto migliorerà, oppure che ti potrai abituare a questa vita, prima o dopo. E poi non avevo proprio considerato che con un mestiere del genere lui si ritrovasse a stare continuamente al telefono con qualcuno, a cercare notizie ed aggiornamenti, anche quando è con me, tanto che con la testa rimane perennemente da qualche altra parte. Per lui sembra non esistere altro che il suo lavoro, ma certe volte diventa difficile anche soltanto parlarci”. Poi decidono di prendere un caffè in una pasticceria luminosa poco più avanti, così entrano, si siedono ad un tavolino e guardandosi in giro aspettano il cameriere.
        "Forse dovrei cambiare atteggiamento", fa lei; "iniziare a disinteressarmi completamente della nostra abitazione, di tutte le faccende da portare avanti: mettere in ordine, sistemare gli armadi, occuparmi della spesa quotidiana che resta in parte perennemente ancora da fare, ed alla fine anche di cucinare, e sempre con nuove ricette ". L'altra sorride, ordina al cameriere un tè ed una fetta di torta, poi fa: "potresti chiedergli l'aiuto per tutti i giorni, piuttosto che due volte alla settimana come hai adesso". Lei prende un sorso del suo caffè macchiato, poi fa: "a mio marito gli pare già di spendere troppo così, figuriamoci se gli dico una cosa del genere". Poi qualcuno con cortesia saluta loro due con un gran sorriso, e loro rispondono alla stessa maniera. "Potrei farmi desiderare", fa lei sottovoce, proseguendo a sorridere. "Qualcosa magari potrebbe anche smuoversi".
       Infine, dopo qualche piccola risata intorno a quel tema, loro due decidono di uscire dal locale e tornarsene con calma alle loro rispettive abitazioni. Lei subito sbuffa, mostrando con ciò di non dimenticare in nessun momento di essere sempre da sola durante certe serate, e di scocciarsi parecchio per questo. L’altra la guarda, “si potrebbe andare a cena fuori, io e te”, le dice con leggerezza. “Magari farci soltanto uno spuntino, e subito dopo arrivare con la mia macchina fino ad un locale che conosco, dove a una certa ora si balla”. “Perché no”, fa subito lei; “se torno a casa non troppo tardi mio marito non se ne accorge nemmeno”. Ridono, camminano più svelte sui tacchi adesso che si sono trovate d’accordo. Poi arrivano fino all’automobile, ci salgono sopra, e all’improvviso si sentono libere, come se non ci fosse più nessun obbligo. “Va proprio bene”, fa lei chiudendo il suo sportello; “cambiare qualcosa è sempre un momento importante”.

            Bruno Magnolfi

domenica 26 gennaio 2020

Rinvio motivato.


          

            "In questo periodo non ho proprio voglia di uscire", dice lei con voce monotona alla sua amica durante una telefonata di cortesia. "Non mi va di vedere nessuno", conclude. "Forse in seguito passerà rapidamente questo periodo negativo, magari persino domani; comunque, almeno per adesso è così". Poi si salutano senza enfasi, e lei si alza dalla sua comoda sedia dove di solito trascorre la maggior parte del tempo leggendo, ascoltando la radio, qualche volte guardando qualcosa in televisione, e va adesso ad accostare l’orecchio ad una parete dell’appartamento vicino, attraverso la quale si avvertono distintamente le voci di qualcuno che sta litigando. Lei cerca di decifrare qualche parola per comprendere il motivo della discussione, ma dopo poco tutto torna ad essere piuttosto silenzioso. Il suo appartamento certe volte le sembra una spugna pronta ad assorbire gli elementi che gravitano in aria, ed anche se le piace sentirsi isolata da tutti, al contempo le interessa sapere cosa accade da quelle parti.
            Si tiene però lontana dalle finestre, quasi per paura di essere osservata da qualcuno lungo la strada oppure dalle case di fronte, ed è come se le persone che abitano e frequentano la città fossero chiaramente dei suoi avversari, gente abituata a coltivare abitudini, pensieri già codificati, facili giudizi certe volte terribili, che impongono etichette di tipo indelebile, quasi un marchio da applicare sopra la pelle degli indifesi. Ecco, lei spesso si sente esattamente così: indifesa, come se al giorno d’oggi tutto si manifestasse contro qualcosa, o peggio ancora contro qualcuno. Ci sono spesso degli elementi che paiono convergere per creare una cortina intorno ad un semplice individuo; poi qualcuno cerca di scrollarsi di dosso quanto gli è stato esageratamente caricato, ed ecco che subito si abbassa lo sguardo, tanto fa pena.
            "Vorrei uscire da qui a testa alta", dice tra sé. "Andare in mezzo a tutti gli altri con la capacità di sentirmi al di sopra dei loro giudizi, indifferente a qualsiasi loro pensiero". I vicini di casa tornano a farsi sentire, come se a nulla valesse il suo impegno per tenersi al di fuori dei loro battibecchi. Paiono quasi sciocchezze quelle che si dicono, ma è il modo aggressivo di dirle che fa diventare ogni parola praticamente una vera e propria minaccia. Non ci sono delle cose irreparabili, pensa lei; con della buona volontà tutto si può sistemare, ed anche la convivenza si può riuscire a trasformarla in un progetto di tanti piccoli elementi piacevoli. Si siede: "certe volte le giornate sono persino troppo lunghe quando corre l'obbligo di trascorrerle da soli", riflette. "Me ne vado da qui", si dice quasi urlando nell'appartamento vicino, e lei pensa subito che in fondo non è necessario avere dei buoni motivi per realizzare una cosa del genere.
            Poi torna di nuovo la calma, lei si disinteressa dei problemi di coppia da lato opposto del muro, così finge di accendere la radio ed inizia ad ascoltare le notizie che la sua fantasia desidera dettarle. Spesso sono informazioni senza capo né coda, elementi tutti identici, che non portano a nulla di particolare. La sua mente continua ad elaborare qualcosa, come se la realtà fosse il frutto maturo di molti pensieri, fino a quando rimane spossata sulla sua sedia, senza altro da aggiungere al proprio mondo inventato. 
            Suona qualcuno alla porta, lei si guarda attorno come fosse ormai in trappola. "Sono senz’altro i vicini", riflette, "giunti da me per comprendere cosa io abbia compreso dei loro problemi, per tirarmi nel mezzo, magari darmi anche un ruolo, attribuirmi forse delle responsabilità di chissà quale natura". Infine, dopo parecchi ripetuti squilli, lei si decide ad aprire. È la sua amica, venuta di persona a vedere come sta, ed adesso le propone di uscire, di andare insieme a prendere un caffè in un locale, fare due chiacchiere, vedere la gente che ci sta in giro. "Rimandiamo", risponde lei; "non mi pare sia il caso in un momento del genere".

            Bruno Magnolfi

mercoledì 22 gennaio 2020

Via d'uscita.


                  

            "Ci sono", urla la ragazza arrivando dal fondo del corridoio. Poi, toglie rapidamente il suo giubbotto, entra nel ripostiglio dei detersivi, ed indossa subito, quasi di fretta, sia i guanti di gomma già pronti, che la sua spolverina da lavoro. L'altro impiega un bel po' di tempo prima di farsi sentire a sua volta, ma alla fine ecco che dice: “sono qua", mentre manovra con il carrello tra alcuni uffici ed il lungo corridoio. "È il mio collega", pensa lei quasi sorridendo. "La persona più stravagante ed incomprensibile tra tutte quelle che conosco". Generalmente lui entra un'ora prima tra quei locali che a quell’ora oramai sono deserti, ed inizia con lo svolgere tutti i compiti preliminari per quegli ambienti, dando aria con l’apertura sapiente delle finestre, ad esempio, e poi svuotando subito i cestini ed anche i posacenere, e accendendo con metodo tutte le luci che servono per svolgere bene le operazioni. Quando poi arriva anche lei allora si dedicano insieme alla pulizia dei tavoli, delle attrezzature, dei bagni e di tutti i pavimenti.
            "Sei arrivata tardi", le fa lui tanto per stuzzicarla. Lei non gli risponde, sa che non è vero e che quello è soltanto un vecchio gioco che le fa spesso, tanto per vedere cosa cerca di rispondergli. Lui è avanti con gli anni, ma ancora si crede di poter fare il ragazzo spiritoso. "Oggi sono stanca", fa invece lei con una smorfia quando si avvicinano tra loro; ""è come se poco per volta stessi perdendo qualsiasi entusiasmo, e prendesse il sopravvento soltanto il fastidio, il nervosismo, e poi la fiacca". L'altro la guarda mentre spinge ancora un po’ in avanti il suo carrello: "una come te non dovrebbe mai neanche pensarle queste cose", le fa. "Eppure sono vere", dice lei; "e posso dirti anche che non ho intenzione di proseguire ancora per molto con questa vita, perché se mi accontento adesso di questa semplice manciata di stupidaggini, in seguito non sarò più neppure capace di desiderare qualcosa d’altro. E poi non si tratta del lavoro: è tutta questa monotonia di orari, di gesti, di comportamenti; di questi giorni tutti identici, che finiscono inevitabilmente per snervarmi". "Certo", le fa subito lui annuendo;, "dovresti dare alle tue giornate una bella scrollata, così magari puoi ripartire con un maggiore entusiasmo". Lei lo guarda mentre con l’elastico sistema un sacco nel cerchio del carrello.
            Non è facile parlare così di queste cose, pensa lei; ci vuole niente ad essere fraintesi, e poi ognuno di noi sta sempre in bilico, tra la voglia perenne di piantare tutto, ed il bisogno di resistere per non dover affrontare qualcosa anche di peggio. “Voglio morire”, dice lei all’improvviso con la faccia seria, dopo aver lasciato indietro soltanto una piccola pausa. “Non trovo più molti motivi validi per spingermi oltre questo punto, ed anche se sembra assurdo quello che ti dico, eppure mi sta abbandonando la volontà di tirare ancora avanti”. Lui la guarda, commosso, profondamente colpito dalle sue parole. Non trova da ribattere, e forse non tenta neppure, ma dopo qualche attimo dice soltanto: “ti capisco, è un sentimento che nasce dal profondo; probabilmente qualcosa che non ti porterà mai a nulla, e chissà quante persone hanno provato la tua stessa sensazione prima di te. Però adesso sei tu che stai così, e già soltanto sapere che esiste sempre e comunque una via d’uscita da questa specie di ingorgo privo di significati, è qualcosa che almeno in parte può risollevarti. Ed io spero proprio che sia in questa maniera, perché tutte queste scemenze che portiamo avanti, non valgono una briciola della tua vita”.

            Bruno Magnolfi

       

lunedì 20 gennaio 2020

Tolleranza zero.

          

            "Ogni tanto mi capita di fare qualche stupidaggine", dice lui ad un conoscente del suo quartiere che ha incontrato proprio all'ufficio postale, mentre ambedue stanno facendo la fila per pagare qualche bolletta allo sportello. "Forse dovrei addirittura smetterla di andare sempre allo stadio,  perché quando sto da quelle parti perdo quasi completamente il senso delle cose", dice con una certa sincerità; “però non saprei cos’altro fare”. Poi abbassa la voce, e per farsi grande dice: "mi capita di odiare profondamente quelli che se ne stanno a fare casino alla curva opposta alla mia, e se la mia squadra perde le cose certe volte sembrano subito complicarsi".
            Poi tocca a lui presentare i fogli all'impiegata dietro lo sportello, così tira fuori i soldi che ha già preparato, quindi prende le matrici e qualcosa di resto, ed infine se ne va, salutando l'altro senza mostrare comunque un grande entusiasmo. “Non è facile avere dei vicini di casa quando tutti attorno a te sanno che hai delle amicizie esclusivamente tra i tifosi”, pensa lui adesso; “è come se ti salutassero soltanto con una parte del loro corpo, perché l’altra si tiene già sulla difensiva, come se tu potessi affrontarli fisicamente da un momento all’altro, senza neppure un motivo valido per farlo. A me non interessa passare per un violento durante i normali momenti della giornata. Posso anche parlare di calcio con qualcuno, ascoltare altre opinioni e così via, non ci trovo niente di male. Però quando mi trovo insieme agli altri ragazzi e ce ne andiamo allo stadio con le nostre bandiere, le sciarpe ed anche tutto il resto, allora le cose cambiano parecchio.
            Perché alla fine non puoi permettere a della gente come quella che si fa vedere ai cancelli opposti ai tuoi, di provocarti come sempre fanno: non è possibile, non lo puoi proprio tollerare. Ognuno sostiene la sua squadra, questo è normale, però gli altri sono diversi da noi, hanno qualcosa che non riesci proprio a sopportare, nemmeno se ti impegni, e poi ti provocano quando vengono qua, nel nostro stadio, come se avvistando noi si aspettassero soltanto di avere di fronte dei ragazzetti senza una spina dorsale, persone che agli insulti non sanno rispondere per bene e per le rime. Non ci possiamo permettere di fare una figura così, è più che evidente, perciò dobbiamo sempre sapere a che cosa ed anche a chi andiamo incontro ogni volta.
            Certe volte ci è scappato pure qualche ferito, questo è vero, ma sono state sempre tutte cose di poco conto, senza troppa importanza, perché a noi ci basta dare una bella lezione a tutti coloro che vengono fino qui per provocare, quelli che ci urlano ‘mezze cartucce’ come a volte fanno, quasi che non avessimo un nostro modo preciso di schierarci e di tenerci sempre pronti per qualsiasi evenienza. Perché non abbiamo mai paura quando siamo insieme, sappiamo bene come difendere la nostra squadra, e non tolleriamo che qualcuno parli male dei nostri giocatori”.
            Poi lui arriva davanti casa sua, con questi pensieri che gli girano ancora nella testa, e ritrova per combinazione lo stesso conoscente di poco prima, quasi si fossero dati un preciso appuntamento. “Tutto a posto?”, gli chiede l’altro con un mezzo sorriso quasi ironico; e lui risponde, con serietà, che gli pare proprio di sì, e che non ci sono dei problemi; anche se all’improvviso vede dietro quella faccia che ha di fronte, qualcosa che non gli va del tutto a genio. “Forse dovrei sapere meglio questo cosa fa”, riflette. “Forse non è neanche dei nostri”.


            Bruno Magnolfi  
      

        

domenica 19 gennaio 2020

Come tra ebrei.



Si ritrovano almeno un paio di volte la settimana a casa di una di loro, sempre nei pomeriggi dopo la scuola, e si sistemano sedute sul divano o nelle tante comode poltrone di una zona dell'ampio salone dell'abitazione della famiglia di lei, e lì generalmente si parlano, ridono, si divertono, si scambiano opinioni relative agli insegnanti e ai loro compagni di classe, anche se quando c'è da studiare per qualche compito di una certa importanza da affrontare in qualcuno dei giorni seguenti, allora si piazzano con impegno su un grande tavolo là accanto, con i loro libri e anche i quaderni dei propri appunti, e si mettono sopra quelli con la testa bassa, senza perdersi in altro. Sono quattro ragazze del liceo, ormai giunte all'ultimo anno, che sembrano proprio avvertire l'importanza del periodo, ma pur non rinunciando a studiare e a prepararsi, cercano di stare il più possibile vicine tra loro, perché sanno che solo così può manifestarsi dentro se stesse la spinta di cui spesso e volentieri avvertono la necessità. Non è facile reggere il peso di tutte le preoccupazioni che le sovrastano, ed anche per questo forse cercano sempre di non perdere mai in nessun caso il buonumore che spesso si fa vivo per sostenerle.
Poi giunge nella loro classe questo insegnante supplente laureato da poco, un tipo alla mano, simpatico, ed una delle quattro, quasi scherzando a fine lezione, lo invita per quel pomeriggio al solito ritrovo in quel loro salone. Tutte naturalmente sono mezze innamorate di lui, non fosse altro che per la sua immagine di bravo ragazzo poco più grande di loro in età, però già sistemato in qualche maniera, avendo passato tutte le prove che loro al contrario devono ancora affrontare. Lui ride, le rassicura con un modo scherzoso, dice che devono stare assolutamente tranquille, non c'è niente di particolarmente preoccupante nel loro futuro. Le ragazze ci credono, lo apprezzano, vedono dietro alle sue espressioni rilassate il punto di arrivo a cui aspirano anche loro, ed ascoltano ammirate le sue opinioni su tutto, non permettendosi mai di interromperlo mentre continua a parlare come fosse ispirato.
Mentre lo accompagnano tutte insieme verso la porta, dopo un pomeriggio davvero piacevole, una di loro dice qualcosa che lo fa improvvisamente oscurare. "Non c'è niente di male nel fatto che tutte noi siamo di origini ebraiche, non è vero?", spiega lei quasi ridendo. Lui non risponde, le osserva un momento, si vede da lontano però che è vagamente turbato, anche se è inconcepibile pensare che ad una persona così carina e così intelligente possa creare problemi una cosa del genere. Giungono presto fino all'ingresso principale di quella abitazione, e si vede che il professore vorrebbe aggiungere qualcosa a tutto ciò che ha già detto in quel pomeriggio, ma appare contrastato, perplesso, incapace di affrontare ciò che invece vorrebbe spiegare. Alla fine si salutano, si danno appuntamento naturalmente per la mattina seguente, al liceo, dove tutti dovranno assumere, per il loro ruolo, un atteggiamento meno amichevole e meno cordiale.
Le ragazze rimaste da sole non sanno che cosa pensare, ma tutto viene presto ammorbidito dalle cose piacevoli ed interessanti di cui le ha parlato quel loro insegnante, tanto da cancellare la brutta impressione provata alla fine. Ma è la mattina seguente che tutto viene chiarito, quando il professore in sostituzione sale alla cattedra con espressione tirata, lo sguardo deciso, anche se sembra non posarsi mai su nessuno in particolare tra gli studenti. “Questo è il mio ultimo giorno di supplenza”, spiega per tutti; “spero di tornare tra voi prima o dopo; in ogni caso è stata un’esperienza importante, che non credevo quasi possibile”. Poi se ne va, senza salutare nessuno individualmente. Ma non ha molta importanza comunque, oramai pensano tutti: era soltanto un giovane insegnante, per una semplice sostituzione.


Bruno Magnolfi



mercoledì 15 gennaio 2020

Certezze insolute.


           

            L’elemento fondamentale è la certezza. Quella di un elenco di cose da fare, ad esempio, ordinate per importanza o per priorità. E poi quel sentirsi perfettamente coscienti di essere capaci di affrontare con adeguatezza quello di cui ci siamo riproposti di occuparci; avere perciò già preparato gli strumenti più adatti, e poi conoscere perfettamente verso che cosa andiamo incontro, intraprendendo ogni minuta faccenda a cui vogliamo dedicarci. Lui, considerato che possiede pure una buona memoria, parte ogni volta sempre con un leggero sorriso sopra la faccia, quando osserva quasi distrattamente quanto ha annotato al primo punto della scaletta su quel quaderno che tiene soltanto per queste sue attività, ed anche se conosce già bene quanto del proprio tempo dovrà dedicare a quei compiti, ugualmente intende segnare il momento esatto in cui ciascuno sarà terminato, in modo da avere per la prossima volta dei riferimenti maggiormente precisi.
            Il mondo è composto da sole certezze: se tutto è stato previsto nella maniera adeguata, non è possibile ritrovarsi a sbagliare; un piccolo margine di errore è comunque messo nel conto, ma fa parte anch’esso di tutto il meccanismo, naturalmente. Così questa mattina lui intende uscire da casa con la sua borsa contenente dei documenti da consegnare all’impiegato di banca del suo quartiere, una persona che conosce superficialmente ma di cui si fida abbastanza, per avere più tardi la possibilità, con un assegno circolare che si farà consegnare, di compiere un acquisto di una certa importanza, almeno per lui: una bicicletta nuova fiammante che ha già visto diverse volte nella vetrina di un negozio poco lontano, e addirittura negli ultimi giorni ha potuto provare, dopo varie insistenze con il commerciante, lanciandosi ad esibire qualche pedalata sulla strada là attorno.
            La certezza più grande sarà quella che finalmente, nel pomeriggio, potrà compiere una bella passeggiata con la sua bicicletta ben lucida, e mostrare a tutti coloro che incontrerà lungo le vie del quartiere, quanto sia stato capace improvvisamente di disegnarsi addosso un ruolo del tutto nuovo, come cittadino perfettamente rispondente alle regole imposte: quello del ciclista, che percorre le strade senza sporcare, senza emettere vapori inquinanti, senza produrre fastidiosi rumori, ed infine mostrando a tutti gli altri anche un modello sicuramente da seguire. Perciò prepara quanto gli serve, immaginando con lungimiranza le piccole difficoltà a cui potrà andare incontro. 
            Con certezza esce di casa con la sua borsa, convinto com’è della direzione da prendere, ma una vicina lo incontra proprio appena chiuso il portone di quel condominio, e siccome lo conosce da anni, gli fa subito presente che occorrerà al più presto possibile finanziare dei lavori sulla facciata, perché da qualche giorno si sta scrostando l’intonaco, ed ora rischia di cadere addosso alle persone che percorrono quel marciapiede. Improvvisamente, lui che non aveva mai volto lo sguardo al disopra del primo piano dove è sito il suo appartamento, resta sconcertato da quella scoperta che non aveva mai ipotizzato, e sostiene adesso che non ci sia un solo minuto da perdere, perché le cose possono degenerare di colpo. Perciò rientra nel suo appartamento e telefona all’amministratore del condominio, fissando un appuntamento con lui da lì ad un’ora. Poi rassicura la vicina, suonandole il campanello e facendole presente quello che dovrà essere immediatamente deciso.
            Quando poi resta solo, la sua certezza improvvisa è che per questa giornata non potrà proprio fare quello che si era prefissato: ma cosa importa, pensa senza rammarico; si tratta soltanto di aggiornare l’elenco delle cose da fare, e impostarne in altro modo le priorità e l’importanza; il resto è soltanto questione di tempo: anche un rinvio, in fondo, è un elemento del tutto prevedibile.

            Bruno Magnolfi

lunedì 13 gennaio 2020

Numeri e basta.


          

            Anche questo tardo pomeriggio è come sempre: i ragazzi annoiati stazionano sulle panchine della piazzetta, qualche anziano poco lontano sembra osservarli per curiosità, ma con la faccia di chi li vuole soltanto compatire. Non c’è molto da dirsi, oltre a parlare della scuola: le solite battute spiritose, i soliti argomenti di sempre, solo qualcuno più timido tra loro da prendere in giro. Le ragazze a braccetto due a due invece, se ne vanno su e giù lungo il corso per guardare qualcosa di nuovo nelle vetrine e parlare dei loro argomenti, ma naturalmente si limitano e tornare indietro poco prima di arrivare fino a quella piazzetta, proprio per evitare che qualcuno tra quei mezzi teppisti le faccia arrabbiare con le solite maniere sguaiate che oramai conoscono bene.
            Prima di andarsene a casa, qualcuno dice a voce un po’ alta che non c’è alcuna soddisfazione a trascorrere il tempo così, senza alcun fine; ma gli altri lo guardano e ridono subito di lui, perché sanno di non avere alcuna alternativa, o perlomeno di non essere capaci di trovare qualcosa di diverso da fare. Perciò si dividono, è l’ora di tornarsene a casa, ognuno per conto proprio, e senza neppure un’idea. Ma uno di loro rimane, da solo, seduto su di una panchina, e non sembra preoccuparsi proprio di nulla, soltanto cercare come di scomparire nella sua posizione rilassata, tenendo lo sguardo per terra, le braccia abbandonate sui fianchi, e le mani dentro le tasche. E’ lui che si è lamentato, perché vorrebbe che tutto fosse diverso, ma non sa proprio da che parte iniziare, soprattutto non sa che cosa potrebbe cambiare.
            Un anziano gli dice che è brutto restare da soli, ma lui alza le spalle come se non gli importasse poi molto. Un attimo dopo però all’improvviso si alza e va verso quell’uomo, gli chiede che cosa gli sembra se qualcuno facesse un elenco delle persone che frequentano quella piazzetta. “Non so”, fa l’altro, “non ne capisco lo scopo”. “Si tratta di rendersi conto di tutta la forza che riusciamo a sprecare nel rimanercene qui sfaccendati”, fa lui; “e per comprendere questo è necessario aprire gli occhi, esserne completamente coscienti”. L’anziano capisce che quelli sono argomenti che non lo riguardano e così si allontana, ma il ragazzo si sente investito in prima persona del problema che ha sollevato, e per questo tira fuori dal suo zaino un quaderno su cui inizia ad annotare i nomi di tutti i ragazzi che sono stati presenti nella piazzetta quel pomeriggio.
            Non c’è niente di male, riflette; si potrebbe iniziare a scrivere accanto ad ogni nome gli argomenti che ognuno dei ragazzi ha portato fin qui, di quali temi ha voluto parlare, che cosa probabilmente ciascuno cercava trascorrendo in questo posto insignificante tutto il tempo che è rimasto con gli altri. Potrebbero venir fuori in questa maniera certi discorsi più ricorrenti di altri, certe esigenze che forse a prima vista sembravano proprio sfuggire, e probabilmente, inserendo poco per volta questa attività di prendere appunti quasi come si fosse di fronte ad un vero e proprio dibattito, sarebbe possibile sollecitare argomenti mai presi in esame in precedenza, e trovare così addirittura delle vie diverse di comunicazione, o tirare fuori delle parole che non si usano spesso.
            Tutto al giorno d’oggi è composto da elenchi, pensa adesso il ragazzo; tanto vale iniziare a formarne anche noi uno nostro, in completa e totale autonomia, qualcosa che possa servirci, che ci faccia uscire anche di poco da questo torpore in cui siamo caduti. In fondo oggigiorno siamo tutti delle semplici prede di qualcuno che ci sorveglia e che riesce a conoscere sempre più a fondo le nostre abitudini e preferenze: possiamo farlo anche noi con noi stessi, almeno per renderci perfettamente conto di quanto possiamo finire per essere soltanto un numero nelle mani degli altri.

            Bruno Magnolfi  
           

sabato 11 gennaio 2020

Niente da fare.

            

            "Ci sono", dico mentre arrivo trafelato nella saletta del circolo dove con i ragazzi ci ritroviamo quasi ogni sera. Diversi tra i presenti rispondono con un'esclamazione, anche se in quattro continuano a giocare a boccette come se niente fosse. Sono in ritardo come sempre, loro probabilmente mi hanno aspettato a lungo per la sfida pattuita, poi però si sono messi a giocare senza di me. "Non ho fatto un grande ritardo", piagnucolo scherzando tanto per giustificarmi, "e poi la colpa è vostra che non avete mai da fare nient’altro che venire qui". Proseguono a giocare senza guardarmi e senza ribattere, perché lo conoscono tutti il mio limite, lo sanno cosa penso, ma io però non posso certo essere diverso da come realmente sono. Vado di là, nel locale, prendo una birra, torno nella saletta e mi metto a sedere, profondamente deluso.
            Poi ad un tratto me ne vado, senza dire niente a nessuno, mi faccio un giro per qualche strada della zona con il mio motorino, e quando torno loro sono ancora lì, come se non fosse trascorso neanche un minuto. Uno però mi dice che devo imparare ancora molto su come ci si comporta, e che probabilmente nessuno avrà più voglia di giocare con me almeno per un pezzo. Vorrei arrabbiarmi con qualcuno, ma lascio perdere, mi metto in un angolo e non ribatto nulla. Si siede accanto a me un tizio della mia età che si fa vedere solo qualche volta nella nostra saletta, e mi dice sottovoce che può anche capitare di fare tardi, non c’è da farla così lunga. Non so se sta prendendomi in un po’ giro oppure se stia parlando proprio sul serio, così provo a rispondere soltanto a monosillabi, dicendo soltanto che questi ragazzi certe volte tendono ad esagerare.
"Io non sono amico di nessuno", mi fa lui. "Certe volte vengo qui e ascolto cosa dicono tutti. Però difficilmente sono d'accordo, perché penso sempre qualcosa di diverso da loro, anche se un po' forse mi dispiace, perché è difficile andare avanti senza degli alleati. Non lo dico mai a nessuno che mi sento differente da loro, però è vero, difatti i miei non mi hanno ancora preso il motorino e spesso mi tengono a casa, perché non vogliono che io stia sempre in giro come fanno tutti gli altri". Io lo guardo, non avevo mai pensato a delle cose di quel genere, per questo provo un certo stupore, anche se da un lato credo che questo tizio sia soltanto uno di quelli che resteranno sempre ai margini di tutto, perché incapaci di stare al passo con tutti gli altri. Poi però usciamo assieme, si fa un giro con il mio motorino passando per il centro, si dà noia ad un paio di ragazze che fanno un po' le sceme, e mi accorgo che lui si diverte veramente, forse non si è mai appoggiato a qualcun altro, penso, forse non ha neppure un vero amico.
"Torniamo al circolo", gli fo; "magari hanno finito di fare tanto il muso e mi fanno entrare anche a me nella partita". Lui non ribatte niente, mi guarda un attimo, fa cenno di si e poi basta, e probabilmente avrebbe fatto uguale anche se gli avessi detto qualcosa esattamente contraria, penso. Arriviamo di nuovo lì e non sta giocando più nessuno, e tutti i ragazzi adesso sono seduti con loro la birra, così ci sediamo anche noi senza dire niente. Quelli continuano a parlare per conto proprio, come se noi non fossimo neppure insieme a loro, perciò guardo il mio amico e vedo dalla faccia che lui si aspetta adesso che io dica qualcosa, mi faccia sentire, dimostri a tutti di cosa sono capace. Invece gli fo soltanto un cenno, solo uno sguardo deciso, e lentamente così ci alziamo dalle seggiole, e senza neppure salutare ce ne andiamo via da lì, visto con evidenza che non abbiamo proprio niente a che fare con tutta questa gente.


Bruno Magnolfi
           

          

giovedì 9 gennaio 2020

Fuori casa.


        

            Esce presto la mattina con il suo cagnolino. Gira un paio di volte attorno ai giardinetti poco lontano da casa sua, riflette qualcosa sulla giornata che l'aspetta, poi rientra per prepararsi ed andare infine a lavorare. Il suo tempo è composto e scandito da tanti piccoli elementi che secondo il suo parere vanno saputi modulare e disporre adeguatamente l’uno insieme all’altro, in modo che tutto quanto scorra in maniera lineare, evitando degli strappi, degli intralci, delle eccessive e brusche accelerazioni. Non è esattamente quello che avrebbe voluto, ma forse adesso non sa più neppure lei che cosa desiderasse dall’inizio, quando era stato il momento delle scelte. In seguito tutto è andato avanti quasi per conto proprio, senza che sia stata mai capace di modificare troppo il percorso che ad un certo punto si è come messo in moto autonomamente. Adesso si fa bastare quello che ha, e finge di essere soddisfatta, quasi sempre.    
            Abita da sola, ma questo non avrebbe in fondo alcuna importanza, visto che continua a sostenere, anche con i pochi colleghi di lavoro, che la sua è stata una scelta, e che in considerazione anche del proprio carattere, non avrebbe mai saputo organizzare una propria famiglia. Non ci pensa neanche più ad una cosa di quel genere oramai, considerati gli anni, ed anche se qualcuno tempo fa le si è avvicinato con qualche intenzione, lei ha subito saputo tenerlo al proprio posto, senza concedere così alcuna speranza. La sua giornata, ad uno sguardo distaccato, potrebbe apparire anche monotona, se non fosse che lei si fa vedere da tutti sempre allegra e soddisfatta, nonostante, quando poi resta da sola dentro la sua casa, si ritrovi certe volte a provare un’amarezza profonda che ultimamente non tenta più neppure di spiegarsi.  
            Da qualche giorno poi arriva sempre con il cane fino a sedersi su una panchina del giardino che resta un po’ in disparte, nel pomeriggio una volta terminato il suo orario di lavoro. Quel luogo lo trova congeniale alla sua personalità, perché difficilmente c’è qualcuno da quelle parti, e lei può osservare in lontananza il viale trafficato, oltre una cortina di alberi e anche qualche siepe. Le piace osservare gli altri senza essere notata, ed anche il vialetto pedonale principale di quel parco, che passa ad una trentina di metri dalla sua panchina, lei può guardarlo mentre c’è chi corre per tenersi in forma, gli anziani che passeggiano, coloro che camminano tenendo il proprio cane ben stretto al guinzaglio, senza che ci sia per esempio chi le vada a chiedere qualcosa. Ci vorrebbe poco per parlare con qualcuno, scambiare qualche impressione, fare conoscenza, magari per poi darsi appuntamento da quelle parti nei giorni seguenti. Ma tutto questo non fa per lei, e preferisce che nessuno la veda, per restarsene da sola sopra la panchina.
            Stasera ha pensato addirittura di sdraiarsi lì, una volta sopraggiunto il buio, e approfittando del freddo intenso di questo periodo, lasciarsi morire nel sonno o nel dormiveglia, proprio come accade agli sfortunati che non hanno un posto dove ripararsi. Ha sorriso naturalmente di questo pensiero, però poi ha sentito dentro di sé il brivido profondo di quel ritrovarsi così vicina al limite, e di avvertire per la prima volta l’incapacità di reagire alla prosecuzione incessante della propria monotonia. Poi il suo cagnolino le è andato più vicino, e lei ha riflettuto subito che era meglio riportarlo a casa.


            Bruno Magnolfi  

martedì 7 gennaio 2020

Ottusità vincente.


          

            Adesso abbassa semplicemente la testa lui, ad evitare ulteriori guai sul suo posto di lavoro, quando il capoturno con serietà gli fa presente, mentre loro due stanno da soli, in piedi, ancora tra i macchinari ed i nastri trasportatori, alla fine dell'orario della giornata, che è giunto il momento di smetterla con le continue lamentele sull'organizzazione delle squadre. Non è mai stato un tipo troppo semplice: ha sempre cercato di evidenziare quelle che secondo il suo parere sono le magagne di programmazione del lavoro in quella fabbrica, anche oltre qualsiasi opinione sindacale, cercando di portare il più possibile verso il proprio punto di vista anche gli altri operai, almeno quelli con le sue medesime mansioni. Non si aspettava certo dall'alto una reazione forte come questa, perché naturalmente è da lì che vengono le direttive, anche se a fargli presente in questo momento le questioni sollevate, è soltanto il suo superiore alle macchine.
            Ne va del suo futuro là dentro, questo è il punto, perciò è il momento di smetterla, di restare in silenzio, di accettare tutto quello che verrà deciso, anche se lui sa fin da adesso che non sarà d’accordo. Non ha mai creduto di poter fare carriera in quella azienda: in fondo non gli piacerebbe neppure fare il caposquadra o il capoturno, o addirittura assumere un profilo da intermedio. Però ha sempre pensato con la propria testa, senza dare mai niente per scontato, e tutte le volte che ha scoperto di poter anche di poco migliorare un’attività del suo reparto, lo ha sempre fatto subito presente, certe volte persino con una certa insistenza.
            Non piacciono le persone come lui alla direzione, lo sa benissimo; anche se loro negli uffici devono anche sapere che lo svolgimento delle lavorazioni è sempre qualcosa di suscettibile ai miglioramenti, e che più adeguati ad evidenziare gli snodi critici di coloro che portano avanti dal basso ogni minuta attività, non ci può essere nessuno. Mai un colletto bianco è sceso davvero nelle officine per toccare con mano gli aspetti migliorabili che qualcuno tra i suoi colleghi di lavoro si è ogni volta preoccupato di andare a riferire indicandone la fonte; il buon comportamento aziendale deve essere quello di uniformarsi quanto più è possibile alle direttive impartite, è stato detto a volte negli spogliatoi da qualcuno ben informato; tutto il resto sono chiacchiere inutili e spesso anche negative. Talmente negative certe volte da portare gli operai fin sulla soglia della cassa integrazione, esattamente come capita a lui in questo momento.
            Ma lui sa quando fermarsi, sa quando non è più il caso di scagliarsi contro quelle bende che stanno sopra gli occhi: il lavoro in questi periodi è merce rara, inutile davvero rischiare il posto; e poi la propria opinione la può continuare a meditare per conto proprio, specialmente fuori dall’orario della fabbrica, proprio come sembrano suggerirgli tutti, dai colleghi agli alti ranghi. D’accordo, certo, farà così; anche a dimostrazione del fatto che dentro ai cancelli di un grande posto di lavoro come quello, ci può stare qualsiasi cosa, persino degli errori programmatici evidenti, che a nessuno viene in mente di portare all’attenzione di chi li ha compiuti e prosegue a compierli, solo perché deve essere sempre l’ottusità a vincere su tutto.

            Bruno Magnolfi   

sabato 4 gennaio 2020

Probabile digiuno.



La sua sedia preferita è bassa, con dei comodi braccioli, le zampe ben piantate sul pavimento di marmo, ed anche se certe volte il legno con cui è stata fabbricata scricchiola forte, comunque è corredata con due bei cuscini morbidi a fiori, uno per lo schienale, ed uno per la seduta. Con quelle fattezze ce n'è soltanto una in quel salone al piano terra dove tutti generalmente trascorrono l'intero pomeriggio a giocare a carte e a parlare, e gli altri presenti comunque non si siederebbero mai, per nessuna ragione, al suo posto. Lei difatti sta lì seduta anche quest'oggi, da sola, come sempre distante, quasi in una differente dimensione, non tanto fisicamente, quanto con i propri pensieri, quasi che la sua mente avesse la rara attitudine di eclissarsi a comando verso chissà dove, lasciando presente insieme a tutto il gruppo di anziani, soltanto la sua presunta incapacità, almeno in quei determinati momenti, ad essere minimamente socievole. Certe volte al mattino la dottoressa sostiene come ognuno di loro abbia il dovere primario di sforzarsi per non essere assente, di seguire sempre gli argomenti di chi sta parlando, oppure anche le notizie che vengono diffuse dalla radio o dalla televisione, e poi impegnarsi a leggere qualcosa manifestando la comprensione completa delle parole e delle frasi sotto ai propri occhi, perché la mente rapidamente si abitua ad essere altrove, fino a non tornare in seguito quasi più ad essere presente insieme con gli altri.
Lei però ogni volta è sempre pronta ad interloquire con la dottoressa, mostrando ad ogni sua osservazione la propria indubbia capacità di riflettere sempre adeguatamente su quanto le viene detto o spiegato, certe volte mostrando una abilità critica ed un piglio degni di chi proprio non ci sta a prendere tutto per buono. Poi però, quando improvvisamente le gira, ecco che si piazza su quella seggiola magica, e come per incanto le si spenge qualsiasi indole colloquiale, mostrando una profonda e momentanea inidoneità ai comportamenti relazionali. Nessuno la disturba in quelle mezz’ore, questo è chiaro, ma anche se qualche volta questo avvenisse, ed a qualcuno le girasse di porle una domanda qualsiasi, così come già è accaduto, lei non si degnerebbe neppure di rispondere.  
Perciò se ne sta lì, indisturbata, forse meditando sul proprio passato, sui suoi ricordi, su quanto forse avrebbe voluto fare negli anni passati o che magari non è riuscita né a compiere e neppure ad iniziare. Sembra come prendere appunti nella sua mente, riordinare le cose, forse catalogarle, farne degli elenchi precisi, sistemare tutto quanto in maniera che ogni minuto elemento divenga nei tempi seguenti più accessibile e facile da ritrovare. Non è una donna che parla molto, questo è chiaro, ed anche quando tutto il gruppo si siede per pranzo o per consumare la cena leggera, soltanto a volte lei dice davvero qualcosa, scegliendo con accuratezza ogni argomento. Anche stasera si siede a tavola, si lascia servire un po' di minestra, guarda nel piatto per qualche secondo, poi dice sottovoce, senza riferirsi a nessuno in particolare: "è la memoria il centro di tutto. Fin quando potremo permetterci di ricordare le esperienze dei molti aspetti della realtà, saremo invincibili, capaci di qualsiasi altro pensiero". Gli altri annuiscono, sembrano tutti d'accordo, non c'è neppure bisogno di dirlo: ci sarà ancora tempo prima di cadere nell'oblio e nell'incapacità di essere ancora degli animali sociali. Intanto però siamo qui, di nuovo davanti ad un'altra minestra, una delle tantissime sorbite in tutto questo tempo, con il nostro cucchiaio e la volontà, proprio come questi nostri sensi, sempre più deboli, quasi una nuova mancanza, una disappetenza probabile, qualcosa che forse progressivamente si farà, magari già da domani, un vero e proprio digiuno.


Bruno Magnolfi