giovedì 27 febbraio 2020

Avanti così.


  

            "Tu; si, sei proprio tu che mi fai confondere". Dentro la stanzetta adibita ad ufficio si prendono le telefonate di richiesta dei preventivi, e certe volte quando il lavoro della giornata termina particolarmente presto, ci si ritrova a chiacchierare, in quei cinque o sei che fanno parte della squadra, per spiegare ciò che è stato fatto in quei giorni, dare qualche giudizio sul lavoro svolto, magari mettere alla gogna quei clienti esigenti e insopportabili, e poi ricordare le difficoltà con il mobilio più pesante e voluminoso, mentre i guanti di ognuno ancora fanno capolino da qualche tasca dei calzoni o del giubbotto. Il titolare ascolta tutti mentre sta seduto alla piccola scrivania, anche se qualcuno alza anche la voce per un motivo o per l'altro, subito però riabbassando i toni delle proprie proteste. Sono dei traslocatori, tutti ragazzi muscolosi, semplici, persone a cui non fa paura quasi niente di ciò che devono affrontare in ogni giornata. Ce n'è poi uno tra di loro che deve sempre lamentarsi, e trovare la maniera di incolpare gli altri di qualcosa che secondo il suo parere è venuto male, oppure gli ha richiesto una fatica superflua. "Sei sempre tu a dirmi cosa fare", fa ad un altro, "e così riesci soltanto a confondermi".
            “Calma ragazzi”, dice sempre qualcun altro, tirando fuori un maggior buon senso che non guasta mai. Quando si dividono per andarsene da lì, ed ognuno filare verso casa propria, lasciano alle loro spalle appena un accenno di saluto, un piccolo gesto amichevole, perché l’appuntamento è già fissato per il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, o in certe stagioni, quando è ancora buio. Ognuno di loro sa di portare avanti un mestiere umile, in cui farsi male è una cosa semplicissima, per questo c’è bisogno di essere affiatati, e di poter contare in ogni momento uno sull’altro. Il titolare sta tutto il giorno in mezzo a loro, e lavora anche lui come tutti, limitandosi a dare qualche direttiva che gli altri volentieri seguono. Forse è il più dritto di tutti, naturalmente è anche quello che si mette in tasca qualche soldo in più, però va a parlare con le famiglie, prende accordi, stabilisce le date e ogni altro dettaglio, ed i ragazzi lo rispettano.
            Non c’è niente di nascosto dietro il loro lavoro, c’è soltanto da smontare i mobili, mettere ogni oggetto ben incartato negli scatoloni, trasportare tutti i pezzi con l’autocarro, e poi rimettere ogni cosa al proprio posto così come desidera il cliente. Lui ha imparato a distinguere a prima vista la persona che gli farà girare l’anima, oppure l’altro che al contrario si affida a chi ne sa di più. Assume sempre l’espressione seria e l’atteggiamento di chi naturalmente farà del suo meglio per andare incontro ad ogni esigenza. E poi spesso resta per un attimo in silenzio quando qualcuno gli dice qualcosa, come prendendo tempo, riflettendo il più possibile su ogni argomento, in maniera da aprire bocca solo quando è sicuro di quello che potrà rispondere. Non è un mestiere facile, e spesso viene la voglia di abbandonarlo e mettersi a fare un’altra cosa, pur di non dover spartire ogni giornata con famiglie angosciate dai problemi, oppure altre, che siccome pagano, credono di essere proprietarie di ogni cosa, e anche delle persone.
            Alla fine ci sono i ragazzi, che si fidano di lui e lo seguono senza mai battere ciglio, ma anche loro certe volte mostrano dei limiti, ed è allora che la fiducia in tutto viene a calare. In fondo lui è solo, specie quando rimane a fare due conti nel suo piccolo ufficio, ed anche se sa perfettamente cosa lo aspetta il giorno seguente, e poi anche le altre date più in avanti, però sa pure che ci dovrà essere comunque lui in tutti quei giorni, ad affrontare ogni più piccolo problema, e niente dovrà mai sfuggirgli, nulla dovrà essere lasciato al caso, e nessuna stanchezza dovrà mai prendergli le braccia, se vuole davvero tirare ancora avanti.  

            Bruno Magnolfi

mercoledì 26 febbraio 2020

Meno di niente.

  

            "Il controllo delle persone quando arrivano qui è un'attività della massima importanza", dice la donna attempata al giovane volontario che risulta da oggi in forze presso quella mensa per i poveri. "Qualche attaccabrighe mezzo ubriaco lo trovi quasi sempre in mezzo a tutti gli altri, purtroppo non c'è niente da fare". Il ragazzo la guarda, annuisce, comprende benissimo cosa ci sia da fare in quei casi; fino adesso immaginava di doversi occupare di altre cose in quel centro di volontariato, ma va bene anche così, l'importante per lui è semplicemente sentirsi utile agli altri. Per questa giornata staranno in due a regolamentare l'afflusso delle persone, ed anche per fornire le solite informazioni essenziali a chi le richiede, ma probabilmente già da domani lo metteranno all’entrata principale da solo. Si tratta anche di tenere a mente diversi dati, specialmente riguardanti coloro che mostrano l'aspetto più trasandato, e che non si fanno vedere quasi mai da quelle parti, per cui è necessaria anche una buona memoria per ricordarsi le facce di coloro che scorrono tra i nastri, ancora prima che ognuno di questi rilevi il proprio vassoio. "Qua dentro fai la pacchia", gli dice subito un tipo sorridente che deve essere abitudinario della mensa e sembra proprio conoscere tutti là dentro. Lui sorride a sua volta, tradisce un sottile moto di vergogna davanti a quell'umanità in parte timorosa di tutto, ed in parte già disperata, però sa che deve fare l'abitudine a qualsiasi situazione, e lo deve fare anche in fretta.
            “Ciao amico”, gli dice un altro che mostra con orgoglio al suo fianco una donna probabilmente straniera, con un’espressione sopra la faccia di chi ne ha passate di tutti i colori. “Buongiorno”, fa lui alle persone che stanno già facendo la fila, per poi osservare con maggiore attenzione coloro che appaiono sfiduciati di tutto, malmessi, quasi abbandonati al loro destino sin nella maniera di essere. Uno poi sembra parlare da solo, e visto che resta fermo, senza neanche avviarsi dietro alle altre persone, lui gli si avvicina, pur con metodo. “Non lo so”, fa quello tra sé, “io non lo so”. Lui gli pone allora qualche domanda generica, ma quello non dice altro, soltanto ripete di nuovo la stessa frase. Allora cerca di tirarlo da una parte per cercare di saperne di più, e quello lo segue, senza opporre alcuna resistenza. Appare magro, lo sguardo vuoto, il vestiario un disastro, i piedi gonfi dentro a scarpe sformate e a brandelli. Lui fa un cenno all’altra persona che lo aiuta, e l’altro si avvicina, dice che non lo conosce, forse non è della zona. “Se vuoi mangiare puoi metterti seduto ed io ti porto qualcosa”, gli fa lui. Ma l’uomo risponde ancora nella stessa maniera, di non saperlo, di non sapere neppure di che cosa abbia bisogno.
            Lo accompagnano in qualche modo tutt’e due ad un tavolo, praticamente sorreggendolo, lo fanno sedere, poi gli portano i piatti già pronti, e l’uomo inizia a spiluzzicare qualcosa, ma senza quella foga che si sarebbe potuta facilmente immaginare. “Mi dispiace”, dice quell’uomo a un certo punto, e dopo più niente. Gli si fanno altre domande, si cerca di conoscerne almeno il nome, la provenienza, di cosa abbia bisogno, ma lui nulla, non spiega niente a nessuno, continua soltanto a ripetere: “non lo so”. Poi smette del tutto, allontana leggermente da sé il piatto ancora quasi pieno, si guarda per un attimo attorno, e quindi, accostandosi a lui che è rimasto a seguirne con attenzione i comportamenti, gli fa: "dobbiamo stare attenti. Ci spiano, osservano la nostra condotta, vogliono sapere qualsiasi cosa di noi, tutto ciò che riguarda chiunque, anche quelli come noi che non siamo proprio nulla, appena un’inezia; perché in fondo è proprio vero che se anche cerchiamo di essere ancora persone, di fatto oramai non contiamo un bel niente".


            Bruno Magnolfi


     

giovedì 20 febbraio 2020

Finalmente a casa.

          

            “Ha visto che bella frutta, signora”, fa lei ad una donna che passa, mentre continua instancabilmente a sistemare le arance e i mandarini nelle cassette sopra la sua bancarella del mercato rionale. Ormai sono anni che fa quella vita, ma non si lamenta, anche se c’è da alzarsi presto ogni mattina, stare tanto tempo all’aperto, e poi ci sono anche altri sacrifici da fare; però il pomeriggio ci si può riposare, ed in qualche maniera si riesce a tirare avanti. Sua sorella è meno estroversa di lei: le piace di più stare dietro la cassa, sorridere quando si mette a contare i soldi, o fare velocemente e con precisione il resto con le monete, e poi curare le forniture dei grossisti; ma per quanto riguarda incoraggiare i clienti, è meno portata di lei. In una giornata di pioggia come quella di oggi si vende pochissimo, però non si può farci niente, loro due stanno sotto la pensilina assegnata, ed ogni tanto guardano il cielo nella speranza che proponga almeno una tregua.
            Arriva questo tizio che si fa vedere ogni tanto, ed in genere prende una cassetta intera o anche due di mele grosse e di qualità, ma certe volte si orienta anche su qualche altro tipo di frutta. Guarda con attenzione cosa ci sia esposto oggi sopra quella bancarella che predilige, lancia un semplice buongiorno alle due sorelle, poi lascia che lei si faccia avanti per chiedergli che cosa in questo momento possa servirgli. “Mi piacerebbe avere il vostro spirito”, fa lui sorridendo mentre continua a guardare la frutta nelle tante cassette disposte inclinate in maniera molto invitante. Lei gli sorride: “con un tempo così anche noi però ci sentiamo un po’ tristi”, gli fa. "Conoscevo vostro padre", fa l'uomo; "una persona amante del proprio lavoro, che è riuscito in voi due a trasmettere i suoi sentimenti migliori". Le due sorelle ora assumono un sorriso malinconico, una cliente intanto chiude l'ombrello mentre si avvicina, e sceglie rapidamente un piccolo sacchetto di frutta.
            "Stare qui al banco probabilmente per certi clienti che ci vedono significa non avere neppure una vita diversa da questa. È come se tutto della nostra personalità si esaurisse nel ruolo che abbiamo in questo mercato", dice lei sottovoce e ridendo, una volta sistemate le cose con la signora. L'uomo annuisce, indica la cassetta di mele che ha scelto, la sorella gli fa un piccolo sconto sul prezzo indicato nel cartellino, così l'uomo paga, prende la frutta, ringrazia, e quindi se ne va. "Vorrei essere a casa", fa lei. Sua sorella la guarda con l'espressione di chi disconosce un pensiero del genere. "Forse quando è stato il momento di prendere delle decisioni, noi due potevamo anche scegliere qualcosa di diverso", aggiunge dopo qualche secondo. Si guardano, non hanno molto da dirsi intorno a quell'argomento. È avvenuto tutto di fretta, la scomparsa improvvisa di loro padre, loro due giovinette o poco più, che subito hanno cercato di sostenersi a vicenda nella decisione di portare avanti il mestiere della loro famiglia. Già, perché se una delle due avesse tentennato, probabilmente non ne avrebbero fatto di niente, ed ambedue si sarebbero occupate di altro.
            “Cosa ti importa adesso rivangare quello che è stato”, dice la sorella riordinando con cura i pochi quattrini dentro al cassetto. “Non lo so”, fa lei, “però a volte ci penso a come le cose riescono a prendere una propria strada, quasi in completa autonomia, e tu puoi soltanto andar dietro a quanto in qualche modo sembra già stabilito”. La sorella non dice niente, si limita a guardarla un momento e poi basta, perché non le piace sentir parlare in questa maniera: secondo lei non c’è stata una decisione migliore o peggiore di altre, ed anche se in apparenza loro due non hanno scelto un bel niente, proseguendo con semplicità a fare quello che faceva loro padre, di fatto c’è stata un’importante presa di coscienza di quanto era possibile o meno tenere nel pugno in quel preciso momento. Lei guarda sua sorella con espressione seria, e l’altra le fa: “comunque tieni duro”, chiudendo momentaneamente la cassa: “tra non molto ce ne andremo davvero; finalmente a casa”.


            Bruno Magnolfi 
            

          

martedì 18 febbraio 2020

Giuste opinioni.


            

            L’agenzia delle assicurazioni non è molto grande, ed esclusa una sala ampia che tramite una vetrina opaca si affaccia sulla strada adiacente, per il resto ha soltanto due uffici sul retro. In tutto sono in quattro i dipendenti a lavorare là dentro, escluso il dirigente della compagnia che comunque si fa vedere soltanto per un paio d’ore al massimo ogni settimana. Lei, nonostante vanti la maggiore anzianità di servizio là dentro, non è mai troppo contenta di quello che fa, anche se le sue amiche, quando si incontrano dopo la fine dell'orario di lavoro, le dicono tutte che il suo è un posto d’oro, un mestiere coi fiocchi, qualcosa di cui andare orgogliosi. A lei invece pare triste occuparsi ogni giorno delle medesime cose, fingere con la clientela e con i colleghi di essere sempre felice, sorridere a chiunque le si presenti davanti, e vestirsi ogni volta in maniera impeccabile, quasi fosse lei la direttrice. Talvolta se la prende per un attimo con gli altri impiegati dell’agenzia, mostra qualche scatto di nervosismo di cui in genere subito si pente, e si rende conto di essere sempre un po’ tesa. Però quello è il suo lavoro, ed almeno per il momento non può proprio fare niente di diverso.
            Poi arriva questo tizio, mai visto prima d’ora, in sostituzione di una collega ammalata, e dice con grandi gesti ed in mezzo a tante altre cose, che ognuno deve mostrarsi agli altri così come si sente. “Non sempre è possibile”, fa lei con un sorrisetto. La stampante principale continua a produrre gli elenchi aggiornati che arrivano direttamente dalla direzione della compagnia, e tutti là dentro sembrano concentrati sul proprio lavoro. “Non si può fingere a lungo”, fa lui; “ed ogni finzione produce nel tempo un gradino di incomunicabilità”. Lei non risponde, è abituata ad ingoiare le proprie opinioni, gli altri colleghi se ne stanno tutti buoni alle loro scrivanie, senza trovare su quell’argomento qualcosa da dire. Poi loro due vanno a prendersi un caffè in un locale poco lontano a metà mattinata. Lei dice che forse non ha tutti i torti, lui le sorride, come sapesse perfettamente cosa sta immaginando. “Certe volte sono stufa di questo lavoro”, fa lei in uno sfogo di cui subito si pente. Lui si limita a guardarla, non ha più alcun bisogno neppure di parlarle.
            “Non si può fare della semplice psicologia per inquadrare gli individui”, le dice dopo un bel po’ subito prima di rientrare. “Però sentirsi fuori posto certe volte è qualcosa che appare anche troppo evidente”. Lei si sente irritata, non le pare neanche possibile che arrivi uno qualsiasi a tirar giù dei giudizi sugli altri senza conoscere un po' meglio le persone. Riprendono le loro attività, lei naturalmente non ha più alcuna voglia di scambiare una sola parola con l’ultimo arrivato, ed in questo momento neppure con gli altri. Il lavoro va avanti, le polizze sono la normalità quotidiana là dentro, inutile fingere, sono loro che mandano avanti le cose in quell’ambiente.
            Poi arriva una telefonata, ed è lei pronta a rispondere: è il dirigente della loro compagnia assicurativa che spiega come questa settimana sicuramente non potrà farsi vedere in agenzia per una serie di impegni importanti. "In ogni caso vi ho mandato il mio braccio destro", dice senza calcare troppo le parole. Lei si sente arrossire di rabbia, saluta con cortesia e poi riattacca il telefono con gesto disperato; infine, dopo aver fatto trascorrere parecchi minuti, rialza la testa e lo sguardo dalla sua scrivania. Il sostituto è lì, in piena tranquillità, e quando lei si volta lui le sorride. Scoperta nei suoi pensieri più intimi, lei cerca di raccogliere tutti i suoi comportamenti maggiormente professionali, ma le viene quasi da piangere per la superficialità dimostrata. Lui poi si alza, le va vicino, dice che non ha trovato niente che non vada nel lavoro che portano avanti in quella agenzia. "Bisogna comunque sapersi accontentare", le fa adesso con un nuovo sorriso; "in fondo soltanto permettendo a noi stessi di essere quello che siamo, potremo trovare prima o dopo un vero equilibrio, anche se questa è soltanto un'opinione qualsiasi, non certo quella più giusta".

            Bruno Magnolfi

sabato 15 febbraio 2020

Giro di giostra.

          

            Pomeriggio. Lui entra nell'ufficio postale affollato e prende il numero per il turno allo sportello. Poi si libera un posto a sedere accanto ad una signora coi capelli probabilmente tinti ed il vestito sgargiante. "Sempre pieno di gente", fa lei. Lui si limita a sorridere, non sapendo cos'altro dire. I numeri scorrono lentamente sullo schermo di un grande visore, e le persone presenti, in maggioranza degli anziani, si alzano con regolarità dai loro posti e vanno a sistemarsi davanti ai vetri degli impiegati lungo il bancone. "Bisognerebbe non venire mai qua dentro", fa lui. Adesso è la signora che si limita a sorridere, forse per non apparire una chiacchierona. Lui tira fuori da una tasca alcuni fogli ed una busta, e si mette ad osservarli con attenzione, non sapendo cos'altro fare. Intanto ci sono delle persone che litigano in fondo alla sala, ma hanno almeno il buon gusto di non alzare troppo la voce, pur tenendo tra loro un evidente tono irritato. Lui vorrebbe alzarsi ed andarsene fuori per fumare una sigaretta, come già altri stanno facendo, però nel dubbio di dover intrattenersi con dei tabagisti insopportabili, resta seduto, in pratica senza prendere una vera decisione. "Ho il numero subito prima del suo”, dice lei, come fosse un destino già scritto. “Purtroppo io devo venire qui almeno una volta alla settimana", fa adesso la signora. Lui si volta un momento a guardarla, non volendo porre alcuna domanda da curiosi. "Sono vedova", aggiunge lei, come se questo stato giustificasse tutto.
            "Devo soltanto pagare una bolletta ed inviare una lettera", fa invece lui. "Ma se avessi saputo di dover perdere tutto questo tempo, probabilmente avrei rimandato". Poi qualcosa si muove, i litiganti adesso hanno quasi smesso di discutere, e sul visore sono scorsi in avanti diversi numeri, forse perché gli utenti di turno sono già andati via, però sono entrate diverse persone dentro la sala, quasi tutte insieme, come per un appuntamento preciso. Qualcuno dei nuovi arrivati poi si lamenta subito per l’attesa che si prospetta, ma tutti alla fine si piazzano buoni da qualche parte ad attendere. “Aspettare comunque non mi fa molta paura”, dice la signora interpretando l’argomento dei pensieri di tutti. “So essere paziente”. Lui si volta per un attimo a guardarla, come cercasse qualcosa in lei che le ultime parole gli hanno ricordato. “Non è poi così anziana”, pensa in questo momento; “avrà all’incirca la mia stessa età. Potrei averla già conosciuta da qualche parte”. Infine lui si alza e decide di andar fuori a fumare, visto che adesso gli argomenti con quella donna potrebbero diventare troppo personali e stringenti.
            Si accende subito una delle sue sigarette, e quattro o cinque tizi là attorno lo guardano come fossero delle mucche che ruminano, circondati dalla loro nube personale di nicotina. Lui si appoggia con una spalla ad un infisso dell’ingresso agli uffici, e guarda a terra, rendendosi conto con un certo disgusto che quel marciapiede è già pieno di mozziconi fumati. Quando torna ad alzare la testa gli pare che non manchi molto al suo turno, così rientra dentro dopo aver schiacciato con il piede il resto del suo tabacco. La signora di prima è ancora al suo posto ed adesso lo guarda, come per fargli capire che lo ha quasi aspettato, ma che anche lei adesso deve proprio alzarsi dalla sua sedia e presentarsi allo sportello. Lui l’osserva un momento avvicinandosi, poi le fa: “pare proprio che fra poco ci siamo”. Lei lo guarda con l’espressione un po’ triste, poi dice in un soffio: “è proprio vero; anche se a me adesso quasi dispiace”.


            Bruno Magnolfi    
        

mercoledì 12 febbraio 2020

Disposizione amichevole.


          

            “Certe volte vorrei proprio andarmene da qui”, dice lui. “Non è solo il lavoro, ma soprattutto è questa mentalità che c’è in giro che non riesco più a sopportare”. Così tira un sasso nell’acqua del fiumiciattolo che lentamente gli scorre davanti, e guarda le piccole onde che subito si formano, fino a far tremolare l’erba dell’argine. L’altro non dice niente, però anche lui guarda l’acqua con interesse, come se sotto quella superficie ci fosse quasi la spiegazione di tutto. Poi ambedue si voltano, restano per qualche attimo senza dire niente, e alla fine riprendono con calma quel sentiero che corre sul terrapieno, prendendo la direzione verso la strada vicina, dove hanno parcheggiato la macchina. "Sono andato anche dal medico e gli ho chiesto come si faccia ad essere un po' meno demoralizzati, ma lui ha solo sorriso, e neppure mi ha risposto".
            Poi loro due decidono di prendersi un caffè prima di risalire sull’auto, così attraversano la strada per entrare in un piccolo locale della zona. "Qui tutti quanti sembrano fare il tifo solo per vederti andare alla malora; non c'è quasi mai della solidarietà per i tuoi problemi, soltanto gesti finti e qualche parola di circostanza", fa lui. L'altro annuisce, mette lo zucchero dentro alla tazzina, poi muove il cucchiaino. "Ormai solo i pessimisti come me riescono a vedere le cose con obiettività", prosegue lui. "Agli altri normalmente non conviene, quindi si voltano semplicemente da un'altra parte". Poi loro due lasciano i soldi sul bancone, tornano ad uscire per strada, e in un attimo salgono sopra la macchina. Lui ingrana la marcia, si immette nel traffico, poi dice: "ti accompagno a casa". “Si grazie”, fa l’altro; “purtroppo mia moglie mi sta aspettando, adesso devo tornare”.
            Si fermano ad un semaforo, un barbone chiede loro qualche spicciolo, lui trova una moneta ed abbassa il finestrino, lasciando il soldo nella mano bisognosa. Poi prendono a destra, attraversano una piazza piuttosto trafficata, ed infine si vanno a fermare lungo una via nei pressi dell’abitazione dell’amico. Quando si arresta il mezzo al fianco del marciapiede, ci sono dei ragazzi che urlano e ridono correndosi dietro. "Sono stanco", fa lui; mi sembra di aver esaurito ogni possibilità di miglioramento". L'altro lo guarda per un attimo, gli batte una mano sopra la spalla, poi esce ed infine chiude la portiera. Lui lo guarda mentre apre il portone e subito sparisce nell'andito.
            Poi torna ad ingranare la marcia della vettura, e quasi senza volerlo si ritrova esattamente dove erano stati loro due poco prima; così senza riflettere trova un posto per la sua macchina, e poi ritorna con calma sul terrapieno per riprendere quello stesso viottolo, ma dopo poco si ferma, e per rilassarsi va a sedere sulla riva del fiumiciattolo. Gli piace starsene lì, in quella calma subito fuori dal traffico, ad osservare la debole corrente dell’acqua che gli scorre davanti. Tutto uno di questi giorni dovrà passare, pensa con lo sguardo su quella superficie, e forse tra non molto ritorneranno le giornate serene, ed insieme la voglia di fare, di spingersi in avanti, di vedere ancora i colori nelle cose grigie che adesso mi stanno attorno. Probabilmente devo soltanto ritrovare la fiducia in me stesso, guardare al futuro, lasciare che il tempo poco per volta migliori le mie giornate.
            Infine si alza, riprende la sua passeggiata, cammina lungo quel corso d’acqua che adesso sembra proprio incoraggiarlo con la sua pur debole forza, che però è costante, e non sembra conoscere ostacoli. Quando torna a voltarsi per tornarsene indietro, scorge con sorpresa il suo amico. “Sono tornato a vedere se avevi bisogno di qualcosa”, gli dice quello, “e per chiederti se per caso avevi anche voglia di venire un po’ a casa mia, magari per mangiare insieme qualcosa. Potremmo parlare ancora della tua situazione, sempre che ti vada, e magari discutere insieme di qualche idea che ci possiamo far venire alla mente”. Quindi lui si ferma, lo guarda, sorride. “Certo”, gli fa; “sono a tua disposizione”; ed insieme si avviano.        

            Bruno Magnolfi

martedì 11 febbraio 2020

Spiegazioni superflue.

            

            In certe serate si fanno vedere anche le due sorelle, presso il solito circolino dove tutti i ragazzi trascorrono il tempo, in genere lasciandosi andare a delle battute di spirito piuttosto scontate, o restando semplicemente seduti davanti ai tavolini di plastica, con una lattina di birra in una mano, e conservando una calma quasi proverbiale, adatta per prenderne un sorso ogni tanto, naturalmente solo per farla durare più a lungo. Stanno ai margini della compagnia, e nessuno si è mai preoccupato di sapere se loro due siano veramente sorelle; di fatto non si assomigliano quasi per niente, però ridono spesso all’unisono, come mostrando una medesima sensibilità. Non parlano mai in quei pochi minuti in cui si trattengono lì, però ascoltano gli altri, sorridono, si guardano in giro, come fossero semplicemente due timide, trattenendosi ogni volta dal dare ogni minima spiegazione possibile sulla loro origine e sulla propria famiglia. Insieme poi si alzano, dicono ciao, quindi se ne vanno, senza neppure consultarsi fino a quell’attimo stesso.
            Qualche volta sono ben vestite, truccate, con i capelli legati ed in perfetto ordine, però di un colore diverso l’una dall’altra. Qualcuno dei ragazzi che per caso si è trovato a seguirle per un pezzo di strada, sostiene che parlano molto tra loro, e sembra anche di argomenti importanti, come si interessassero di problemi sociali, oppure di politica, o anche di affari di stato. Nessuno ha mai compreso che corso di studi frequentino, e se qualcuno lo chiede ad una delle due, loro si mettono subito a ridere, sfuggendo così alla domanda. Infine una dice: “ci sono argomenti di cui è difficile parlare pubblicamente”. Così uno incalza subito colei che ha parlato, e le fa: “però qui non siamo in un luogo veramente pubblico, visto che siamo sempre i medesimi a ritrovarci a questi tavolini”. Loro ridono adesso. Poi l’altra fa: “forse sarebbe necessario conoscersi meglio prima di affrontarli”. I ragazzi sorseggiano la birra, perplessi; a nessuno viene a mente di controbattere.
            Qualche sera più avanti poi, le sorelle tornano a farsi vedere. I ragazzi non si sentono del tutto in vena di sciogliere quegli enigmi che per natura si portano dietro, così le salutano e basta, senza parlare di niente, ed anzi restando a lungo tutti quanti in un completo silenzio. Una però dice qualcosa all'orecchio dell'altra, come si consultassero prima di un intervento già concordato. Poi l'altra fa: "non siamo veramente sorelle; una di noi due è stata adottata diversi anni fa dai nostri genitori. Ma non fa alcuna differenza, possiamo scambiare facilmente i nostri ruoli". I ragazzi rimangono ancora in silenzio, in un colpo solo queste due hanno chiarito quasi tutti i dubbi che circolavano sulla loro identità, ed anche se qualcuno si sente curioso su quale potrebbe essere davvero la figlia naturale, tutti però prendono un sorso di birra senza aggiungere nulla. Infine loro vanno via, con un semplice ciao, un sorriso usuale, e i loro modi consueti e precisi, quasi sincronizzati tra tutt’e due. "Ci hanno preso in giro", fa uno dei ragazzi. "Secondo me non c'è una sola parola di verità in quello che dicono". “Non ne capirei il motivo”, fa un altro con convinzione.
            La sera seguente le sorelle tornano ancora nel circolino, ma pur passando proprio davanti a tutti i ragazzi, adesso neppure si fermano, come se tutto quello che potevano aver avuto da dire a quella combriccola che si ritrova a quei tavolini, lo avessero in qualche modo già detto, e da adesso in avanti ogni altro discorso si mostrasse solamente una ripetizione. “Vedi come sono”, fa uno; “adesso si vergognano di aver chiarito le cose con noi”. Poi prende un sorso di birra. “Non credo”, fa un altro; “a me sembra che la loro fantasia le abbia portate a costruirsi un mondo di favola, ed ora sia diventato difficile per loro farlo combaciare con la realtà di ogni giorno”. Nessuno dopo questo ha da aggiungere altro, neppure quando le sorelle ripassano per andarsene chissà verso dove, perché le parole per tutti i ragazzi appaiono all’improvviso semplicemente superflue. 


            Bruno Magnolfi
         

          

sabato 8 febbraio 2020

Completamente guarita.

        
            “Oggi sto bene”, dice lei mentre l’infermiera entra dentro la camera per farle la solita iniezione e raccogliere i parametri di base del suo stato di questa mattina. Sorride, ma non è una grande novità, visto che anche sotto agli attacchi di dolore più forti riesce a resistere e a non lamentarsi. “Forse ho soltanto qualcosa che non va dalle parti dello stomaco”, dice mentre cerca di muoversi nel suo letto attrezzato, facendo oscillare i tubicini con cui è collegata alle macchine. Fuori dai vetri di quella stanza la giornata appare radiosa, con un sole caldo ed intenso che fa venir voglia di fiorire anche le piante che non producono fiori in questa stagione. La notte è trascorsa in maniera normale, soltanto una volta, quando è passato il controllo, il collega l’ha trovata in debole aritmia cardiaca, come se lei in quel momento stesse facendo un brutto sogno, peraltro smentito.
            Ci sono numerose operazioni ordinarie da affrontare, come ogni mattina, dall’igiene del corpo, ai cambi degli aghi e anche dei sensori, ma il dolore allo stomaco di adesso è un segnale che pur non essendo fondamentale, non può essere certo trascurato. Così l’infermiera cerca di indagare più a fondo quale possa esserne il motivo, ma intanto le somministra un leggero succo di frutta da bere, per rendersi conto se non sia soltanto lo stomaco vuoto a produrlo. “Va meglio”, dice lei dopo un po’; “e poi il cortisone mi ha sempre procurato una certa acidità”. L’infermiera sorride, alla fine ne inizia a sapere di più la paziente che tutte le unità ospedaliere che le girano attorno; lei risponde al sorriso, le piace che chi le sta maggiormente vicino si renda conto che non è affatto un’ameba ormai abbandonata al proprio destino. Anzi, vorrebbe fare ogni giorno un sacco di cose, e spesso le fa: lèggere, avere notizie, scambiare opinioni con chi sia possibile, e poi tenere un diario, anche se la maggior parte delle volte si limita a dettare qualche frase, da scrivere dentro un quaderno, ad uno dei suoi familiari che vengono fin qui ogni tanto a farle una visita. 
            Per coloro che amano appuntarsi le cose, anche un'esperienza sanitaria del genere diventa una fonte importante a cui attingere. L'infermiera di turno per esempio non la guarda quasi mai in fondo agli occhi: “forse è troppo impegnata nelle cose da fare per permettersi un lusso del genere”, pensa lei qualche volta; "e poi non può certo lasciarsi coinvolgere dal caso umano che ogni volta si ritrova di fronte. Deve essere neutrale, al disopra dei sentimenti, e la sua professione per forza di cose la porta ad esaminare ogni corpo che si trova a trattare, come qualsiasi altro, senza fare mai differenze". Ecco, questo è un buon argomento da annotare sul suo diario: la contraddizione implicita che sta nel cercare la maggiore indifferenza verso una qualsiasi persona, nello stesso esatto momento in cui ci si sta occupando appieno e con dedizione del medesimo individuo. “Un lavoro difficile il vostro”, le fa lei sorridendo a quell’infermiera mentre cerca di osservarla nel compiere tutte quelle operazioni indispensabili che il suo mestiere le continua a dettare.
            “Che cosa importa adesso tutto questo”, pensa poi lei mentre prosegue nel suo momento di completo abbandono alle volontà altrui; “tra non molto passerà il medico di turno, forse ci sarà anche il primario di questo reparto insieme a qualche tirocinante, e tutti mi guarderanno, consulteranno la mia cartella, sentenzieranno qualcosa, ed io comunque resterò perfettamente in silenzio, lasciando con naturalezza a tutti coloro che mi ausculteranno il compito alto di decidere qualcosa della mia vita futura”. Questo è il passaggio maggiormente difficile: quello in cui ci si abbandona completamente a qualcun altro. “Come l’amore”, pensa lei all’improvviso; “quando la fiducia nella persona che sei convinta di amare è tale che quasi non tieni più neppure a te stessa, e lo scioglierti completo in questo sentimento, di colpo ti fa sentire bene, a posto, magnificamente. Quasi completamente guarita”.


            Bruno Magnolfi 
          

          

mercoledì 5 febbraio 2020

Vicino limite.



            Quando infine giunse a salire sopra al vagone ferroviario, lei si sentì già stanca, nonostante la luce del giorno non si fosse ancora del tutto diffusa nell'aria fredda della mattina. Era comunque sufficiente un'ora circa di treno locale per arrivare a destinazione, e lei confidava di trovare un buon posto caldo e comodo nello scompartimento, dove riposarsi e magari prendere anche lo slancio di cui aveva bisogno, e che in quella giornata pareva mancarle. Il suo sonno leggero della scorsa notte, difatti non le aveva permesso di riposare come avrebbe voluto: troppi pensieri avevano proseguito a svegliarla più volte e a circolarle a lungo dentro la testa per riuscire a concederle di dormire bene come avrebbe desiderato. Ma in fondo tutto questo adesso non aveva alcuna importanza, perché lei, mentre il treno già ripartiva dalla piccola stazione del suo paese, una volta seduta accanto ad un finestrino da dove avrebbe potuto osservare pur senza grande interesse il semplice panorama ordinario di quella provincia, si sentiva capace di darsi la spinta di cui c’era bisogno, nel concentrarsi pienamente su quanto era richiesto da lei, e riprendere così, insieme alla sua determinazione, anche il fiato, l’energia, il coraggio, la fiducia in se stessa, proprio per essere pronta ad affrontare al meglio anche quella giornata.
            Dal letto dell’ospedale il bambino era già stato svegliato per la colazione, insieme a tutti gli altri, più grandi e più piccoli, che affollavano quel grande reparto, e se qualcuno di loro era rimasto provvisoriamente a digiuno, era soltanto perché era previsto che l’infermiera gli facesse un prelievo di sangue, sempre antipatico e purtroppo non rinviabile, come tutte le cose organizzate da una volontà non propria, provocando comunque nei ragazzetti di turno una evidente piccola sofferenza, a volte quasi una vera tortura, almeno per alcuni. Diversi di loro nella camerata già parlavano a voce più alta, come cercando dall’attenzione degli altri un sollievo alla costrizione di essere ancora in un letto di tutti, senza gli oggetti ed i giochi della loro abitazione, senza l’ambiente per loro più abituale, e soprattutto senza le loro mamme ed i loro papà lì vicino. Tutti sapevano che era più tardi l’orario del passo ospedaliero, a fine mattinata, e per questo motivo, ed in funzione proprio di quello, cercavano di distrarsi e resistere, come per essere pronti ad aspirare tutta la felicità di quel prossimo attimo magico.
            Lei rifletteva: certe volte dei pensieri pessimistici le transitavano improvvisi dentro la mente, ma quasi sempre riusciva a ricacciarli subito indietro, concentrandosi piuttosto sulle terapie da affrontare, i medici che doveva consultare, le cose importanti di cui soprattutto doveva ricordarsi. Però non era facile tenere insieme la famiglia in una situazione del genere, ed anche se le era stato concesso un periodo di aspettativa al lavoro, a lei sembrava che il tempo per occuparsi di tutto le mancasse continuamente, tanto da sentirsi ogni giorno più stanca, spossata, priva di qualsiasi energia. Poi si scrollava rapidamente di dosso quelle sensazioni negative, e subito ricominciava ad occuparsi dei suoi familiari, senza mai mostrare a loro la sua sofferenza, il proprio disagio, a volte anche il dolore. Infine, carica di questi pensieri, era giunta lì, in ospedale, come ogni giorno, in attesa dell’orario giusto per poter essere ammessa in reparto. E per un attimo si sentì quasi svenire, tanto da doversi sorreggere ad una parete: era vicino il suo limite, lo sapeva benissimo. Dopo un attimo però si riprese, così assunse subito il suo sorriso migliore, e poi infine entrò, radiosa come una mamma, per il suo bambino.

            Bruno Magnolfi 

lunedì 3 febbraio 2020

Ritmo benigno.

  

            Il pedale di destra produce un piccolo rumore, una specie di leggero scricchiolio metallico che non dà alcun luogo a conseguenze, ma nel girare forma come un ritmo costante, una musicalità monotona e identica nel tempo, a cui ci si affeziona con rapidità, mentre prosegue ad accompagnare come un sottofondo sonoro il breve viaggio che lei compie dalla abitazione della sua famiglia fino al negozio dove lavora da più di due anni. Ogni giorno, quando sale sopra al sellino, dice tra sé che deve decidersi a passare prima o dopo da un riparatore di biciclette, perché probabilmente per eliminarlo basterebbe solo un po' di grasso sopra la catena, oppure sull’ingranaggio della ruota, ma poi non lo ha mai fatto fino ad oggi, rimandando continuamente l’intervento ad un altro momento, tutte le volte che ha pensato di occuparsene, fino a ritrovarsi praticamente abituata a quel debole fastidio che adesso è diventato poco per volta quasi un compagno abituale. Così quel suono costante l’accompagna sempre avanti e indietro nel breve tragitto che tutti i giorni deve compiere, ed è diventato così usuale che quando a fine orario esce dal negozio dove trascorre tutta la giornata, sa che quello in qualche modo sarà il suo ritmo della libertà, quello che segnala il tempo del riposo. 
            Quando rientra a casa sua però, lei ritrova subito il medesimo clima di ogni sera, con sua madre perennemente nervosa che scova in qualsiasi sciocchezza il motivo per far scatenare la propria rabbia verso tutto, e suo padre che quasi sempre si costringe a stare in silenzio e non rispondere a quelle provocazioni della moglie, proprio per non far degenerare le cose verso l’irreparabile. Lei però prosegue a sentire nella sua testa quel ritmo così personale, quello scricchiolio metallico della bicicletta, e le pare sempre meglio di qualsiasi discussione accesa che certe volte infiamma casa sua. Si chiude spesso nella sua cameretta di ragazza, e lì normalmente ascolta della musica per coprire le parole a voce alta che provengono dalle altre stanze, mentre tenta di rilassarsi dopo un’altra giornata a contatto con le clienti molto esigenti della profumeria dove lavora. Qualche volta si sente anche stufa di quella casa, della sua famiglia, di quelle serate pesanti. Ed in quelle occasioni ha già pensato più volte di andarsene, in fondo il prossimo anno sarà già maggiorenne, e potrebbe decidere proprio da quel momento del suo futuro. Ma poi nel dopo cena si assopisce nella sua cameretta, e forse riascolta nella sua testa quel ritmo abituale che la porta lontano, alleggerendola di tutto, anche delle scenate a cui spesso deve assistere.
            Che cosa importa se non ha voluto studiare, potrebbero dire gli altri di lei. Ha trovato un mestiere, si è fatta apprezzare, è stata capace di resistere ogni volta che si è sentita abbattuta davanti a qualche cliente di quel negozio di profumi, creme e detergenti, ed adesso proprio su quel suo stipendio può puntare per mettere in piedi un proprio alloggio, e formarsi una vita, in seguito forse anche una famiglia propria, anche se per il momento potrebbe semplicemente convivere, e dividere le spese di due stanze in affitto senza pretese con qualche ragazza che sta nelle sue stesse condizioni. Questo è il progetto, questo è tutto quello per cui adesso fa il tifo, cercando comunque di mettere davanti un pezzo alla volta, come una costruzione edificata con calma e proprio per questo pensata per bene. Con l’aiuto anche della sua bicicletta, naturalmente, pronta a seguirla dappertutto, e a darle ancora il suo ritmo necessario.


            Bruno Magnolfi
            

          

domenica 2 febbraio 2020

Discorsi sbagliati.


           

            “Non posso credere che tutto possa finire così”, fa lei. Poi accosta una mano al muretto e ne accarezza le asperità delle pietre da cui è composto, come per rendersi conto che quello che sta guardando in questo momento corrisponda realmente a ciò che può anche sfiorare. Lui resta appoggiato di schiena, osserva la strada di fronte, cerca le parole più adatte per esprimere quello che pensa, ma poi resta in silenzio, come non avesse del tutto fiducia in ciò che eventualmente potrebbe dirle adesso. “Mi pare quasi una cosa ridicola”, conclude lei con un gesto di stizza. “Priva di senso”. Poi lui si stacca dal muro, compie un passo in avanti come a mostrare il proprio desiderio di allontanarsi, e nel momento esatto in cui si volta verso di lei, è proprio lei ad anticiparlo di un attimo, incamminandosi lungo il marciapiede, dandogli le spalle con apparente indifferenza, e mostrando una calma ed una fermezza che lui forse in questo attimo non si sarebbe aspettato.
            Lui allora, proprio mentre lei se ne va senza voltarsi, attraversa rapidamente la strada, cercando forse qualcuno dei ragazzi della comitiva che normalmente frequenta, ma non c’è proprio nessuno, ed allora si ferma da solo davanti al solito chiosco dei panini, guardandosi attorno quasi sgomento, come se quella solitudine improvvisa che adesso avverte, fosse quasi una trappola tesa per ridere dei suoi comportamenti. “Vuoi le patate?”, gli fa l’uomo con indifferenza dietro al banco dei salumi e delle lattine di birra, e lui scuote subito la testa, rendendosi conto di essere completamente fuori da ogni sintonia, tanto da non riuscire a comprendere bene neppure cosa sia meglio fare. “Si, certo”, risponde alla fine senza pensare, così prende dei soldi, li mette sul piano d’acciaio, e poi si fa consegnare il resto e la vaschetta di plastica colma in un attimo.
            Poi si volta, la cerca ancora lungo la strada con uno sguardo veloce, mentre con la forchetta di plastica si porta qualche patata fritta alla bocca. Lei adesso non c’è, quello che si era impegnato a spiegarle è rimasto a mezz’aria, ed anche se avrebbe voglia di alzare le spalle e dirsi che in fondo è meglio così, in realtà non è soddisfatto, forse sta soltanto facendo la figura del superficiale. Si sposta con calma fino ad una panchina, si siede e pensa che rimarrà a presidiare quel luogo fino a quando lei non si farà rivedere, perché ancora c’è da parlare, spiegare, chiarire tutto quello che è rimasto insoluto. Perché non è che lui volesse davvero interrompere la sua storia con lei, quando le ha detto che era solo un po’ stufo di quelle abitudini, soltanto avrebbe voluto da parte della sua ragazza, almeno un semplice guizzo di novità, qualcosa di diverso dalle solite cose.
            Anche soltanto vedersi ogni giorno dopo la scuola all’angolo di quella strada, compiere la solita passeggiata, fermarsi alla panchina dei giardinetti, parlare dei soliti argomenti, tutto negli  ultimi giorni sembra diventato di una noia infinita, quasi una ripetizione costante di una stessa matrice. Ogni tanto ci vuole una scossa, pensa semplicemente adesso mentre finisce le sue patatine fritte; “è una necessità dello spirito”, vorrebbe forse spiegarle in questo momento. “Sarebbe sufficiente trovare ogni tanto nuove cose da fare, nuovi argomenti, piccole variabili attorno a cui riflettere in due, e tutto assumerebbe di colpo un diverso sapore, delle nuove colorazioni”. Lei però non si vede, è sparita dalla sua vista e non torna più indietro, forse lui senza volerlo le ha detto qualcosa capace di ferirla; o magari anche lei si sentiva adesso un po’ stufa delle solite cose, e avrebbe voluto lamentarsi per prima di ciò che anticipandola le ha detto lui. Così si alza, getta dentro un cestino i rimasugli di ciò che ha già deglutito, inizia a percorrere rapidamente quello stesso tratto di strada che ha compiuto con lei chissà quante volte da quando si vedono nei pomeriggi, fino ad arrivare a quella stessa panchina dei giardinetti; e lei è lì, seduta, tranquillamente, con un libro aperto sopra le gambe, come se il suo bisogno di lasciare alle spalle quei discorsi sbagliati, fosse in fondo il medesimo che ha provato anche lui.

            Bruno Magnolfi