domenica 29 marzo 2020

Opinione generale.




"Mi sento depresso", fa Toni mentre sembra quasi rilasciare tutti i suoi muscoli sistemandosi comodamente sopra una delle sedie poste quasi a cerchio. Degli altri presenti dentro la stanza qualcuno volge per un momento lo sguardo su di lui, ma qualcun altro sembra ignorarlo del tutto, oppure semplicemente fingere al momento di ignorarlo, sia nei modi o nell’espressione che lui ostenta, che in quelle sue stesse parole. Nessuno difatti sembra abbia niente da chiedere in questo momento, anche se quello che è stato affermato appare in modo evidente come necessiti almeno di un chiarimento o di una spiegazione ulteriore da parte di Toni. "Dopo la separazione stavo quasi bene", riprende difatti lui quasi svogliatamente; "forse mi annoiavo appena un po', da solo come mi ero ritrovato in quei momenti, ed è proprio per questo motivo nella sostanza che mi sono iscritto a questo gruppo, per farmi degli amici nuovi, per conoscere persone che si trovassero nella mia stessa situazione". Gli altri lo guardano, fino a qui non c'è niente di storto in ciò che dice Toni, nessuno lo interrompe, nessuno ha niente da ridire. "Poi però ho capito che venire per due volte alla settimana ad ascoltare i vostri problemi e a raccontarvi per filo e per segno tutte le mie cose, è soltanto un segno di profonda debolezza, ed anche se fino adesso ho cercato di allontanare da me questo pensiero, di fatto non mi è più uscito dalla testa, ed adesso questo pungolo sembra deprimermi sempre di più".
Il moderatore di turno a questo punto dovrebbe prendere la parola, ma invece di dire qualcosa per tranquillizzare Toni in qualche modo, dice soltanto: "è comprensibile, è tutto assolutamente comprensibile", parlando come bofonchiasse qualcosa tra di sé. Gli altri appaiono perplessi: non soltanto da queste parole pare che il loro incontrarsi non sia positivo come credevano fino adesso, ma addirittura sembra, da tutto ciò che ognuno ha appena ascoltato, che scambiare con gli altri le proprie difficoltà, inserisca nelle menti del gruppo dei nuovi e più gravi problemi, tanto da farne un’attività deprecabile, qualcosa addirittura da cercare di evitare. A molti sembrava piuttosto utile e carino confrontare la propria quotidianità con altri mariti separati, e per alcuni, specialmente agli inizi, tutto quanto era apparso come un valido sostegno alle loro personalità così traballanti in quei momenti difficili, e spesso prive di un vero appoggio morale. Diversi di loro perciò in questo attimo preciso vorrebbero non aver ascoltato per niente le parole di Toni, e ad altri forse avrebbe fatto più piacere che lui non si fosse neppure presentato stasera a portare tra di loro un disfattismo di questo genere; ma per ultima opinione, forse generale, per tutti la colpa adesso è proprio di Toni, che non riesce ad approfittare nella maniera più adeguata dell’opportunità che gli viene offerta per ben due volte alla settimana.
Per questo nessuno dopo di lui prende la parola, come se l’argomento per gli altri fosse già archiviato, fuori dai veri temi che il gruppo ha davvero intenzione di affrontare. Toni guarda tutti quasi stupito di quel silenzio, saggiando un vuoto di opinioni che sembra indicare soltanto un auto isolamento da parte sua, un tirarsi fuori dai ragionamenti seri che gli altri intendono affrontare oggi come ogni volta, senza lasciar inserire in quelle serate qualcosa che non è adatto, è fuorviante, una problematica che può solo aspirare a rimanere fuori dalle loro riflessioni. Il moderatore adesso lo guarda, sembra quasi volerlo rimproverare con la sua espressione seria, ed in fondo evidenzia, con il suo silenzio, l’opinione generale che si snoda in aria come il respiro. Poi Toni si alza, torna ad indossare la sua giacca, ed infine se ne va, senza neppure salutare.

Bruno Magnolfi

mercoledì 25 marzo 2020

Qualità della giornata.



Il furgone ondeggia come una barca sulla strada statale deserta, e Corrado lo guida mantenendo la sua solita velocità moderata a cui ormai si è conformato da anni, anche in considerazione però delle condizioni imperfette di quell'asfalto, e pure del fatto che in fondo non ha proprio alcuna fretta. La radio accesa in sottofondo accompagna come ogni volta questo suo viaggio, anche stavolta con musichette di moda a cui peraltro non si ritiene minimamente interessato, visto che per lui è sufficiente la presenza, nell'aria dentro l'abitacolo, di qualcosa che copra almeno in parte la monotonia del ruggire costante e antipatico del motore del mezzo, e anche delle ruote che proseguono rumorosamente a rotolare in avanti. Al prossimo paese si fermerà, accosterà il furgone vicino al negozio degli alimentari che ha già visitato altre volte, e poi come sempre, dopo aver parlato e preso accordi con la proprietaria che conosce da tempo, scaricherà la fornitura quindicinale da lei richiesta di latticini e di formaggi.
È il suo lavoro quello che porta avanti, lo stesso che gli ha permesso di mantenere in piedi la sua famiglia fino ad oggi, e che a Corrado comunque è sempre piaciuto: guidare, parlare con le persone, creare relazioni, continuamente convincere qualcuno della bontà dei prodotti che porta in giro dentro al suo furgone. Poi però si ferma ad un distributore di carburanti, mette gasolio dentro al serbatoio quasi vuoto, e quindi si prende un caffè nel piccolo ristoro di fianco alle pompe. C'è una ragazza adesso dietro al banco, una che lui non conosce: "buongiorno", le fa, "anche se il cielo oggi è un po' grigio". "Non importa", fa lei con un largo sorriso; "la giornata può essere bellissima comunque". Gli piace a Corrado quella filosofia così ottimista, perciò si siede al bancone per osservare anche meglio la persona che lo sta servendo.
"Periodo fiacco questo", fa lui tanto per dire qualcosa. "Non saprei", gli risponde con malcelata indifferenza la ragazza, "sono qui solamente da una settimana". Ci sono individui ai quali riesce facilmente mostrare un'espressione facciale notevolmente appropriata ad ogni cosa che dicono, pensa Corrado; e questa barista è esattamente una persona così. "Mi piace trovare in giro ogni tanto dei cambiamenti", fa lui mentre mescola lo zucchero della bustina dentro al suo caffè. "Giro spesso da queste parti con il mio furgone, ma vedere sempre le medesime facce a volte mi dà un po' di tristezza, come se non succedesse mai niente di nuovo". "Capisco", fa subito lei; "ma sono qui soltanto per un breve periodo, una sostituzione forse di un paio di mesi in tutto, ecco; poi tornerò in città per riprendere a studiare recitazione". "Perbacco", fa lui, "un'attrice in formazione; non capita spesso di trovarsi di fronte qualcuno così". Lei adesso non sorride più, alza soltanto le sopracciglia appena per un attimo mentre lo guarda fisso, quasi per dire che non sono tutte rose e fiori come si potrebbe facilmente immaginare. Lui è meravigliato da quella maniera di esprimersi senza dire neppure una parola, così sottolinea soltanto che comprende perfettamente. Infine lei inizia a sistemare delle bibite sotto al bancone, e Corrado sente che il suo lavoro lo sta già richiamando al proprio dovere.
“Arrivederci allora”, le dice mentre mette i soldi sul piano di legno. “Spero davvero di rivederla, magari quando avrò minore fretta”. La ragazza allora lo guarda un istante, strizza gli occhi come per lasciargli un saluto, ed alla fine dice soltanto: “il vero palcoscenico comunque è qui, in mezzo a noi, ed ogni giorno siamo chiamati a recitare una parte, che ci piaccia o meno”. Lui sorride, apre la porta, ed una volta con i piedi sopra al piazzale, pensa subito che sia proprio così, e che quel giudizio sia veramente perfetto, tanto che tra poco per lui ci sarà tutta la necessità di dimostrare una volta di più, anche soltanto con i gesti, la bontà e la qualità dei suoi formaggi.


Bruno Magnolfi



sabato 21 marzo 2020

Difficili equilibri.


         

            Davanti alle due finestre del suo piccolo appartamento al primo piano dove abita da sempre, Consuelo può vedere, dal lato opposto dalla strada cittadina, un piccolo supermercato, un caffè, ed un laboratorio artigianale di bigiotteria. Sono in quattro a produrre collane ed orecchini là dentro, compreso il proprietario, e da quasi un anno c’è anche un ragazzo alto e con un’espressione interessante, che sembra quasi sprecato per stare tutto il giorno sui tavoli da lavoro a perdere la vista su delle minutaglie. Lei lo ha incontrato qualche tempo fa al supermercato poco dopo le cinque del pomeriggio, all’ora in cui probabilmente il laboratorio chiude, e da quello che lui ha acquistato quando ha fatto passare gli articoli alla cassa, le è parso che fossero tutti generi alimentari preparati per un’unica porzione, come se lui abitasse da solo insomma, esattamente come lei. Perciò, senza esagerare, ha scelto diverse altre volte di recarsi esattamente in quello stesso orario a fare acquisti nel supermercato davanti casa sua, ed avendolo incontrato di nuovo, proprio come immaginava, l’ultima volta lo ha quindi salutato con uno dei suoi larghi sorrisi.   
            Consuelo fa la segretaria di un anziano commercialista, un lavoro oltremodo noioso e anche monotono, ma l’orario che rispetta nel suo piccolo ufficio è più o meno lo stesso del laboratorio di bigiotteria. Certe volte, quando esce di casa al mattino, si ferma per fare colazione nel minuto locale accanto al supermercato, ma almeno fino adesso non le è mai capitato di incontrarci anche il ragazzo del laboratorio. Non è facile trovare l’occasione buona per scambiare due parole con una persona che sembra peraltro piuttosto riservata, ma lei è una signorina paziente, e sente che prima o dopo il momento giusto le dovrà pur capitare. Stasera difatti, quando è tornata a casa dopo il lavoro, si è fermata per l’ennesima volta ad acquistare qualcosa nel supermercato, e sopra al marciapiede prima di entrare, mentre stava uscendo dalla bigiotteria, ecco che arriva proprio lui, quasi scontrandosi con Consuelo. “Buonasera”, fa lei soffermandosi con il suo sorriso, e lui, che appare confuso e forse intimidito, la saluta a sua volta, ma con modi leggermente buffi ed impacciati. “Ci siamo già incontrati altre volte al supermercato, mi pare”, dice lei cercando di dare un seguito a quel momento fortunato. “Già”, fa lui; “si potrebbe festeggiare l’avvenimento”, gli scappa di dire.
            Così vanno nel bar a fare due chiacchiere e a prendersi un caffè seduti ad uno dei tre tavolini del locale, poi si infilano dentro al supermercato per acquistare qualcosa per la cena, ed infine vanno a casa di Consuelo per cucinare qualcosa e mangiare assieme. Non c’è niente di male, pensa lei adesso: è soltanto una conoscenza da perfezionare, forse un’amicizia in formazione, uno scambiarsi idee e riflessioni che possono anche mostrare delle affinità utili e carine. “Sono sola”, dice lei senza mezzi termini. E lui sorridendo risponde solamente: “anche per me è così in questo momento”. Il futuro può essere davvero tutto da definire per loro due, le cose possono diventare rapidamente serie e durature, e i loro pensieri difatti marciano veloci, l’intensità che impiegano nel darsi le risposte e nel formulare piccole domande, mai troppo dirette o pesanti, mostrano subito di valutare molto quell’incontro così casuale, ed evidentemente anche ciò che ne potrebbe conseguire.
            Infine lui va via, la ringrazia fortemente e la saluta nella maniera migliore che conosce, e le garantisce che potranno rivedersi senza dubbio in uno dei giorni che seguiranno, e casomai lui le suonerà il campanello di casa uscendo dal lavoro. Consuelo è contenta, le pare che le cose siano andate estremamente bene per ambedue, e che in futuro ci potranno essere degli sviluppi su cui adesso non vuole neanche riflettere. Poi lo guarda andare via dalla finestra, lo saluta con la mano, e d’improvviso però si rende conto, come svegliandosi da un sogno, che in fondo lei non vuole affatto che qualcuno le venga a rompere di colpo tutti i suoi equilibri. 

            Bruno Magnolfi

martedì 17 marzo 2020

Presenza necessaria.



Certe volte lui si mette fermo ad osservare le persone che gli sfilano vicino, quelle che entrano o che escono dal locale alla buona che è solito frequentare, mentre resta seduto su una seggiola di plastica sopra al marciapiede esterno, davanti alla via principale del paese, dove ogni tanto transita qualche macchina sferragliante che in seguito lascia ricadere ogni rumore, subito dopo quel passaggio, lasciando in aria un silenzio monotono e usuale. Gli piace a lui stare lì senza avere null’altro da fare: è come se quelle poche persone che gli circolano davanti quasi sopra ai piedi, e che spesso comunque lo salutano sfiorandolo, gli portassero ogni volta quasi una ventata di novità, persino coloro che non gli dicono niente, solamente con quella loro rapida presenza. “Oggi mi sento stanco”, fa lui senza guardarlo ad uno che si è soffermato per battergli amichevolmente una mano sopra ad una spalla; “mi sembra di aver fatto chissà cosa, anche se in effetti mi sono occupato soltanto delle cose normali di ogni giorno”. L’altro sorride, “capita, sentirsi così”, gli fa; “non c’è da prendersela tanto”.
Poi rimane solo, osserva una nuvola di polvere in fondo allo stradone, dove sta manovrando senza fretta un autocarro, poi però si accascia lentamente su se stesso, ed alla fine cade a terra, proprio davanti alla sua sedia, senza dire niente, senza neppure chiedere alcun aiuto. Passa qualche minuto ed alla fine qualcuno lo vede così, appoggiato su di un fianco sopra al marciapiede, ed in tre o quattro lo tirano subito su, cercando in fretta di fargli riaprire gli occhi, di fargli dire qualche cosa, di comprendere che cosa sia che non va improvvisamente in lui, in quel loro bravo concittadino. Viene portato un bicchiere con dell’acqua, una salvietta inumidita per rinfrescargli il viso, mentre già qualcuno più esperto gli sente il polso e gli apre la camicia. Lui alla fine muove la testa, si guarda attorno con estrema calma, socchiude le labbra senza ancora dire niente, mentre intorno gli esprimono parole di incoraggiamento.  
Infine torna a rimettersi seduto, esattamente come stava prima, e beve un sorso d’acqua senza neanche avere troppa sete, mentre chiede in giro a voce bassa e con uno scarso interesse che cosa realmente sia accaduto. “E’ la noia di starsene sempre qui”, fa qualcuno per sdrammatizzare, “che certe volte ti porta a perdere la testa”. Altri ridono, le cose rientrano poco per volta nella piena normalità, anche se a lui viene chiesto, casomai, se desiderasse andare a casa sua, oppure da un medico a farsi visitare. “No, non ha importanza”, fa lui senza più muoversi; “forse me ne vado per i fatti miei tra una decina di minuti, ma per adesso vorrei stare ancora qui”. Tutti riprendono le loro consuetudini, e solamente uno che lo conosce da sempre gli si siede accanto per parlargli di qualcosa che, per come è fatto lui, a dire la verità sembra neanche interessarlo. “Le cose vanno in questo modo”, lo interrompe però a un certo punto. “Ci guardiamo attorno per imparare dagli altri quanto sia possibile, e poi non serve più, tutto è annullato, così, all’improvviso”. “Si, è proprio in questo modo, fa l’altro, e sembra quasi che il nostro arrabattarci sia solamente una maniera per ingannare il tempo, per riempirlo di significato, per dare un qualche senso a questa corsa”. Poi rimangono tutt’e due in silenzio, forse riflettendo a quanto si sono appena detti. “Allora adesso me ne vado”, fa lui alla fine; “tanto mi pare che per stasera non ci sia più neppure bisogno della mia presenza”.


Bruno Magnolfi



domenica 15 marzo 2020

Momenti complicati.


           

            “Non so più come dirtelo”, fa lui mentre si sposta lentamente nella stanza, come riflettendo profondamente su ciò che è meglio fare o anche solamente dire in una serata noiosa come questa. “Senti”, fa la moglie restando seduta ad osservare le immagini che continua a trasmettere il suo televisore con l’indicatore dell’audio del tutto azzerato. “Quest’attesa è snervante anche per me; non credo proprio accapigliandosi tra noi si possa risolvere qualcosa”. Fuori dalle finestre, lungo la strada bagnata di pioggia, sembra adesso non ci sia rimasto proprio nessuno, se non un uomo con una divisa scura che resta fermo come a pattugliare l’incrocio poco lontano, in fondo alla strada principale. “A me non interessa se tu non vorrai muoverti da qui: io più tardi farò una tranquilla passeggiata con l’ombrello, almeno fino dalle parti della piazza ai caduti, naturalmente passando per le strade minori e meno frequentate”, fa lui con un tono quasi di sfida. “Va bene”, fa lei, con i modi di chi ragionevolmente vuol porre termine a qualsiasi discussione. “Ed allora verrò con te, se è proprio questo quello che desideri”. Poi lui si versa qualcosa da bere, prendendo una bottiglia di liquore e un bicchierino da dentro il mobile scuro impreziosito da  quattro piccole vetrine.
"Io comunque non ho fame", dice lei adesso con tono neutrale. "Però se vuoi posso prepararti qualcosa, tutto quello che ti va, visto che abbiamo ancora molte cose in frigorifero". Lui sorride, butta giù in un sorso il contenuto del suo bicchierino, poi dice soltanto: "non importa, più tardi mi farò semplicemente dei crostini col formaggio". Al piano superiore si sente debolmente qualcuno che si muove sopra delle scarpe con i tacchi, come se ci fosse bisogno di addobbarsi chissà in quale maniera per rimanersene semplicemente in casa. “La nostra vicina esce”, fa lui con un vago modo sarcastico. Lei si gira, si sente quasi punta sul vivo, ma conserva il suo tono tranquillo: “cambiarsi per la cena può anche essere una maniera di interpretare questi tempi”, gli fa con voce bassa. Lui sorride, gira per la stanza, poi va a sedersi vicino alla porta-finestra adesso chiusa che immette sopra la terrazza. “Magari aspetta qualcuno”, dice alla fine.
Trascorre appena un attimo, forse due minuti, ed ecco che si sente suonare alla porta, un breve squillo di chi potrebbe pensare di essere atteso, o che comunque non è certo un estraneo in quella abitazione. Va lei ad aprire, e con un gran saluto cortese immette subito nella casa la vicina del piano superiore. “Scusate”, dice quest’ultima; “ma devo uscire, e non so se è meglio avventurarmi fuori con la macchina, oppure se sia il caso di andarmene direttamente a piedi”. Interviene lui senza indugiare: “con la macchina, cara signorina, la fermerebbero immediatamente; la cosa migliore è prendere a piedi lungo le vie meno frequentate a quest’ora, e comunque tenere a mente una buona scusa nel caso qualcuno le chiedesse dove vada”. “Certo”, fa la signorina non rivolgendosi però direttamente a lui, ma guardando adesso sua moglie. “Anche io pensavo la medesima cosa, tanto più che non devo andare lontano, in dieci minuti o poco più me la posso cavare”. Adesso è la moglie però che prende l’iniziativa, e dopo uno sguardo rapido verso suo marito, dice subito: “potresti accompagnarla; tanto avevi anche tu intenzione di farti quattro passi a piedi, così io evito di uscire, e tutto si sistema in una maniera molto più sbrigativa”.  
Lui appare come leggermente imbarazzato, ma non trova nulla per contraddire la riflessione della moglie, così attende un attimo in silenzio, poi dice: “va bene, allora vado a prepararmi”, ed esce dalla stanza. “Sono momenti complicati”, dice adesso la moglie, “in ogni caso certe volte darsi una mano non è poi così difficile”. La signorina le sorride, osserva per un attimo qualcosa nella sua borsetta, poi dice soltanto: “Non si preoccupi, non ci impiegheremo molto; si tratta soltanto di una cosa che avevo promesso di consegnare ad una amica, una persona che non abita lontano; tra non molto le riporterò il marito sano e salvo”.

Bruno Magnolfi

mercoledì 11 marzo 2020

Riunione ovina.



"Non ho niente di nuovo da dirvi", fa il moderatore a voce alta dentro al microfono, mentre i presenti dell'assemblea auto-convocata proseguono nel parlottare sul tema di oggi a gruppetti di tre o quattro attivisti per volta, come cercando nel brusio generale che si è velocemente creato, la parola più giusta da proporre con determinazione a tutti gli altri. "Nessuna novità, nessuna presa di distanza dagli errori fatti in questi ultimi giorni; niente di niente, se non quello che già conoscevamo". Qualcuno a voce alta dice qualcosa, ma senza troppa convinzione, tanto che ogni rimostranza si spegne nell'aria con rapidità, lasciando praticamente a tutti quanti soltanto il compito di uscire dalla sala ed andarsene ognuno per i fatti propri.
Ma è a questo punto, quando nessuno si sta già più interessando di chi sia rimasto o meno sopra al piccolo palco, proprio dietro al tavolino che fino a poco fa era occupato dai soliti esponenti, praticamente quelli conosciuti da tutti e da tutti giudicati gli unici a potersi permettere di prendere la parola, che una donna mai vista a quelle riunioni e fino adesso ignorata, si mette con determinazione dietro a quel microfono sfortunatamente rimasto ancora acceso, e dice qualcosa che obbliga necessariamente a far voltare tutti i presenti verso di lei: "siete soltanto delle pecore", dice senza dare neppure dare troppa enfasi a queste poche parole. "Provo vergogna nel dover rendermi conto di far parte della vostra categoria". Qualcuno subito si sente offeso, altri pensano che quella donna stia solo scherzando, ed altri ancora forse vorrebbero risponderle immediatamente per le rime, ma il suo tono pacato fa in modo di ottenere un silenzio quasi completo, irreale dato il momento, utile per ascoltare il seguito di un tale attacco così diretto.
Ma per tutta risposta la donna piega la testa, guarda qualcosa sul piano del tavolo davanti a sé, ed infine si alza, pur restando lì accanto, senza interessarsi più di niente, tantomeno cercare di spiegare in qualche modo le proprie affermazioni. Ad alcuni sembra addirittura che stia lasciandosi andare ad uno sbadiglio, come a sottolineare la noia terribile che prende soltanto ad intrattenersi con delle persone quali quelle che le rimangono di fronte. Nessuno prende il coraggio di chiederle a che cosa mai si riferisse, e per stemperare il senso di ciò che è stato detto qualcuno inizia a ridere, quasi che la sua sortita fosse stata una battuta di solo e puro spirito.
Lei allora si volta, osserva qualcuno che le rimane più vicino, poi riprende ancora il microfono, e dice senza mezzi termini che è stato un errore venire a perdere del tempo in questa stupida assemblea. “Non mi interessa”, dice con determinazione, “chi sia stato ad avere per primo un’idea del genere; so per certo che non ci sarà alcun seguito a questa specie di dibattito, e che tutto questo in fondo era probabilmente già piuttosto chiaro agli organizzatori di questa sciocca pantomima”. Adesso alcuni applaudono ed altri paiono indignarsi, mentre alcuni tra le solite facce note si precipitano sopra al palco cercando di fermare questa donna, mentre lei, con ferma decisione, scende i due gradini che la separano dalla platea e si avvia con passo fermo verso l’uscita, proprio mentre tutti i presenti si aprono in due gruppi ben distinti per lasciarla passare comodamente fino alla porta. Infine, giunta sulla soglia, lei se ne va, come non ci fosse proprio altro da dire, e se qualcuno ad un certo punto avesse pensato tra sé di fare un gesto per fermarla, alla maggior parte delle persone invece pare non sia neppure passato per la mente.
“Meno male che va via”, dice subito qualcuno; “una persona assurda, una testa matta, incapace di comprendere e rispettare qualsiasi regola della comunità, una che non ha proprio alcuna cultura assembleare, mancando persino anche del minimo senso delle cose che è possibile enunciare o meno in un luogo come questo”.


Bruno Magnolfi



domenica 8 marzo 2020

Fuori posto.


"Ora basta", fa lui, mentre sistema all'attaccapanni il giubbotto bagnato che si è appena tolto di dosso. Lei è rientrata a casa con l'ombrello già da un'oretta, si è sdraiata rapidamente sul divano del loro salotto, con una striscia di carta inumidita sopra la fronte, cercando di ripensare con calma a tutte quelle cose che in questo periodo le sembrano proprio andare malissimo, e quindi ha atteso quasi con rassegnazione il ritorno di suo marito. "Lavorare non può essere una sofferenza", le fa lui adesso, senza girare attorno all'argomento. A lei non piace farsi vedere così da suo marito, e non vorrebbe provocare in lui alcuna reazione, anche se le viene già da piangere, trattenendosi e nascondendo il viso in qualche modo; però osserva il soffitto della stanza, poi volge lo sguardo sugli oggetti della loro casa, e infine, come fa sempre, dice soltanto che tra poco le passerà qualsiasi malessere, e che non deve stare a preoccuparsi. Lei lavora tutto il giorno presso un negozio che produce e vende vari formati di pasta fresca, e mentre la proprietaria sta dietro al bancone, lei, con una collega molto giovane, lavora sul retro, preoccupandosi soltanto degli impasti, dei macchinari, del confezionamento dei prodotti, e di tutto quello che serve per quell’attività. Gli affari vanno bene, ma per quanto lei possa impegnarsi a fondo in quel suo mestiere che svolge ormai da anni, per la titolare non è mai sufficiente, e per ogni ritardo pur piccolo, o per qualsiasi distrazione senza importanza, o per qualsiasi altra sciocchezza possa capitare, è sempre pronta ad attaccarla in malo modo, salvando sempre l’altra soltanto perché è una sua nipote. Già qualche volta lei ha pensato perciò di licenziarsi, ma con il mutuo della casa da pagare non è poi così facile, perciò cerca di resistere, almeno fino a quando le riesce.
Suo marito ha già tentato, almeno in un paio di occasioni, di parlare con la proprietaria dell’esercizio, anche se lei non avrebbe proprio voluto, presentandosi al negozio nell’ora di chiusura e spiegando con maniere il più possibile tranquille, che sua moglie è una persona brava, e che sta cercando di dare il meglio di quanto le sia possibile in quell’attività; ma la vecchia ha mostrato persino a lui il proprio brutto carattere, addirittura sorridendo mentre ascoltava le sue parole, come se tutto ciò che lui si stava sforzando di chiarire, fosse stato da prendere persino poco sul serio, tanto che alla fine, come c’era da aspettarsi, non ha mostrato di cambiare neppure di una virgola il suo atteggiamento decisamente ostile. Allora lui a sua moglie le ha fatto rimettere domanda in altre realtà cittadine di quel genere, compresi un paio di supermercati dove secondo lui avrebbe potuto adattarsi a svolgere attività similari, ma nessuno fino a questo momento le ha mai dato risposta positiva. Lui non riesce per nulla a digerire una cosa di quel genere, e qualche volta, dei malesseri a cui è costretto ad assistere quando torna a casa la sera, quasi ne addossa la colpa proprio a lei, a quel suo carattere secondo il suo parere troppo remissivo, a quell’incapacità, per lui del tutto assurda, di accettare nel silenzio più completo qualsiasi rimprovero le arrivi da una persona proprio come quella vecchia.
Sua moglie lo ascolta ogni volta senza guardarlo, e come sempre non gli risponde niente, neppure a lui, e si rinchiude però sempre di più in se stessa, come non vedesse davanti ai propri occhi una vera via d’uscita da quella situazione. Poi però stasera, all’improvviso, si alza dal divano, si toglie quella carta umida sopra la sua fronte, riprende con calma il suo soprabito e anche l’ombrello appoggiato in un angolo all’ingresso, e senza dare spiegazioni torna ad uscire fuori per proprio conto; e poi si mette a camminare, semplicemente lungo la strada di quel suo quartiere, come se oramai non ci fosse più altro vero spazio per lei, in cui poter sentirsi a posto. 


Bruno Magnolfi



giovedì 5 marzo 2020

Debole ricordo.


           

            Certo, l’alloggio che gli hanno messo a disposizione non è proprio comodissimo, anche se lui è giovane e perciò si adatta bene e velocemente: si tratta soltanto di due stanzette molto alla buona; però, considerato pure che lui deve rimanere soltanto qualche mese a lavorare presso le Ferrovie Nazionali, quella si è subito dimostrata una soluzione decisamente accettabile. Tanto più che il piccolo edificio, forse un vecchio rimessaggio riadattato, è sito proprio al bordo della massicciata, ed ogni giorno, con una semplice bicicletta lungo il viottolo accanto alle rotaie, lui può facilmente raggiungere in dieci minuti l’edificio della Stazione Centrale, dove prendere, presso l’Ufficio per le Manutenzioni, le direttive dei compiti da svolgere e tutte le informazioni che gli servono. Naturalmente è necessario dormire con i tappi per le orecchie, considerato il passaggio anche notturno di parecchi convogli lungo quel groviglio di binari, però “in tempi piuttosto brevi si riesce a fare l’abitudine a tutto”, come gli ha detto sorridendo il suo diretto superiore. Per i pasti poi, rimane a sua disposizione la grande mensa dei dipendenti, in cui può contare su una varietà continua di piatti e di pietanze durante tutto l’arco della settimana, e dove, se vuole fare qualche conoscenza, non è certo un grosso problema, anche per una risorsa fuori sede come lui.
            Di fatto, già durante la prima settimana, lui ha conosciuto per caso questa ragazza timida, una studentessa universitaria, una persona carina e senza tante pretese, e così si sono fatti assieme una passeggiata serale nella zona della grande piazza dove sorge la Stazione. Si sono dati appuntamento per il giorno seguente, naturalmente, e lui ha sistemato al meglio il suo alloggio per invitarla fino lì. “Mi piacciono i tuoi modi”, le fa lui adesso. “Mi ricordano le maniere d’altri tempi, quando forse c’era più rispetto tra le persone”. Lei lo guarda, forse in altri momenti avrebbe potuto anche arrossire per quegli elogi, ma la situazione adesso non le pare adatta a quel comportamento. “Stare qui mi angoscia”, gli fa lei. “Questo posto è di una tristezza esagerata”. “Lo so”, fa lui, “me ne rendo perfettamente conto. Ma non posso far altro che così, devi comprendermi”. Quindi tenta maldestramente di baciarla, mentre transita un treno che fa vibrare leggermente tutti gli oggetti.
            Lei dice che adesso vuole subito andarsene, non le piace rimanere lì, e lui non deve insistere, se le porta almeno un briciolo soltanto di rispetto. Allora lui abbassa la testa, torna ad indossare lentamente il suo giubbotto, e si offre subito di accompagnarla fino al suo studentato, poco lontano dalla Stazione Ferroviaria. Gli argomenti da cercare per quei quattro passi si sono fatti subito difficili, e così restano ambedue a lungo in silenzio, fino a quando giungono al Palazzo degli Universitari. Si guardano ancora per un attimo, si dicono qualcosa senza trovare le parole adatte ed anche il coraggio per darsi un nuovo appuntamento, e poi ognuno pare andarsene per i fatti propri, lasciando alle spalle come una nube di vapore in dissolvenza.
            “Sono uno sciocco”, pensa lui adesso. “Però non è colpa mia se la situazione che si è creata è esattamente questa”. Percorre così, con le mani sprofondate nelle tasche, l’interno sempre affollato della Stazione Centrale, si guarda attorno, avverte quella solitudine che almeno in parte si è del tutto meritato. Poi solleva le spalle, acquista delle sigarette, e lentamente si avvia verso il suo piccolo rifugio. “I treni proseguono ad andare, e anche a venire”, pensa mentre fuma nella notte, accanto ai binari lucidi. “Forse ci sarà un’altra occasione, se soltanto riesco a lasciare dietro le spalle la brutta immagine che ho fornito di me stesso. O forse no; ed allora non ci sarà proprio più nulla a sorreggere ciò che poteva diventare, se non un debole ricordo”.

            Bruno Magnolfi

martedì 3 marzo 2020

Finisce così.


     

            “Vai via, lasciami qui”, urla adesso all’uomo quella ragazza seduta su un gradino che fa da soglia ad un portone chiuso, al bordo della strada, dopo che lo ha visto per caso qualche minuto prima, mentre camminava insieme all’altra, la solita sfacciata che oramai ha imparato a riconoscere persino da lontano. Lui le è venuto incontro quasi di corsa, ed ora cerca di dirle le parole migliori e più rassicuranti che gli vengono alla mente, nel tentativo disperato di farla un po’ calmare, ma lei si porta le mani sopra la faccia, e poi ripete che assolutamente non lo vuole più vedere, e che questo è stato il suo ultimo cattivo scherzo, adesso deve soltanto dimenticarsi di lei, completamente.  
            Transitano molte macchine lungo quella strada trafficata, lui si sente imbarazzato da questa situazione, fa un ultimo tentativo ripetendo le parole che peraltro le ha già detto, e dopo questo si allontana, anche perché ha capito che stavolta non ci sarà più nulla da fare, e che lei ha preso delle decisioni da cui sicuramente non tornerà più indietro. Passa qualche minuto, la ragazza ritrova una parte di tranquillità, quindi si alza e dopo un attimo riprende a camminare lungo il marciapiede, con sufficiente sicurezza di sé, ed anche con il passo che aveva prima di quella sua sfuriata.
            “Meglio così”, riflette subito: “un’occasione perfetta per troncare una relazione che non avrebbe mai avuto futuro, anche se come una sciocca ho voluto crederci per forza, fino adesso”. Poi entra in un caffè per prendere qualcosa, e quindi va a sedersi ad un tavolino libero, senza neppure guardarsi troppo attorno. Non ci sono molte persone, e nessuno fa assolutamente caso a lei, che adesso si soffia il naso e si guarda dentro uno specchietto tirato fuori dalla borsa. Le rimane una gran rabbia, soprattutto per essere stata trattata come una ragazzetta di poco valore, una che probabilmente si poteva prendere in giro quanto si voleva, e che alla fine ha perso soltanto un sacco di tempo per uscire insieme ad un verme come lui. “Però a volte le cose vanno così”, riflette adesso, “e come dicono gli anziani, gli sbagli devono servire come degli insegnamenti”.
            Passano pochi minuti e arriva lui, che forse l’ha seguita da lontano fino qui, e adesso, lentamente, si avvicina al tavolo. “Vattene”, fa lei, ma lui si siede con estrema calma, ed invece di rispondere ordina un caffè al cameriere. “Non credo ascolterò neppure una tua sola parola”, gli fa lei senza guardarlo, e difatti lui non dice niente, si limita ad osservarla, forse a riflettere su quanto è appena accaduto, sulle frasi con cui potrebbe fare il tentativo di spiegarsi, magari inutilmente. La ragazza non lo guarda, controlla le sue cose dentro la borsetta, forse potrebbe andarsene da quel locale, ma presumibilmente lui le andrebbe ancora dietro, e le cose si farebbero più complicate.
            Lui prosegue col silenzio, lei lo ignora, nessuno si preoccupa di loro, e intanto passa il tempo, in una stallo che non sembra possa concludersi con facilità. “Adesso me ne vado”, dice lei dopo lunga riflessione. “Tu resti qui, seduto, per almeno altri dieci minuti, e dopo non cercarmi più, altrimenti mi metto a gridare subito, anche qua dentro, le peggiori cose su di te, e sono sicura che in quel caso ci sarebbe un sacco di gente pronta ad aiutarmi e pure a difendermi”. Lui non dice niente, sembra rassegnato a lasciarla fare quello che le pare, senza più preoccuparsi di lei, come avesse compreso finalmente che non c’è più niente da inventare, la loro relazione si è spezzata, non ci potrebbe essere niente capace di imbastire una riparazione, nessun accorgimento, nessuna fasciatura sopra la ferita. Lei poi si alza dal tavolo, raggiunge lentamente la porta del locale, l’apre, ed infine se ne va, decisa, convinta perfettamente di aver trovato la migliore soluzione per tutto quello che le è capitato. Lui la guarda con rassegnazione mentre esce, esprime un saluto struggente sottovoce, poi finisce il suo caffè, senza averne più neanche la voglia.

            Bruno Magnolfi   

lunedì 2 marzo 2020

Fuori da tutto.

         

            Si tocca un fianco, quindi si gira lentamente, ed è quasi ovvio che avverta d’improvviso un nuovo sottile dolore manifestarsi adesso lungo tutta la schiena perennemente immobilizzata, ma con pazienza infinita attende per un attimo che le ossa i tendini ed i muscoli si assestino, e poi si rimette seduta esattamente come stava poco prima, anche se in questa posizione naturalmente quella piccola fitta di cui soffriva all'inizio si fa sentire ancora, imperterrita, forse in questo momento manifestandosi soltanto come un generale forte fastidio, questo è vero, ma comunque rimanendo una presenza che prosegue a dire qualcosa di sé, del suo stare lì in mezzo a quelle carni, e dell'impossibilità già prevista, da parte della sua ospite, di essere ignorata. "Siamo soltanto degli involucri", dice ad un tratto alla badante che viene da lei ogni giorno, soprattutto per tenerle compagnia, ma anche per sbrigare qualche faccenda domestica, occuparsi dei suoi bisogni primari, e testare le sue reali condizioni. Lei non si lamenta, non è il tipo di persona che tende a mostrare le sue sofferenze, ed è sempre stata così, fin da quando era bambina. Si tiene per sé anche quel nuovo piccolo dolore, e quindi basta, come un ordinario elemento tra i tanti che fanno parte del corredo materiale di un qualsiasi individuo.
            La badante la guarda per un attimo, forse vorrebbe anche annuire pensando a se stessa ed ai suoi guai che si è lasciata dietro a casa propria, ma poi copre l’affermazione che ha ascoltato con un: “c’è della minestra pronta dentro al frigo, tra un momento la metto a scaldare sopra al fornello”, come se tutto dovesse risolversi in quelle solite azioni stabilite, senza nessun’altra possibile preoccupazione. Detto questo si sposta, apre effettivamente il frigorifero, e poi tira fuori un pentolino col coperchio, appoggiandolo sul piano della cucina a gas. "Oggi non c'è neppure il sole", le fa, come dando fiato ad un pensiero. "Non importa", dice lei; "non ho neanche voglia di uscire". L'altra non raccoglie la debole ironia, però si lava e si asciuga le mani presso l'acquaio di cucina, e quindi fa: "adesso ci mettiamo sulla poltrona vicina alla finestra", come fosse un’azione obbligatoria, qualcosa di previsto sul protocollo della giornata; e lei senza dire niente le lascia compiere tutte le operazioni che servono per spostarsi effettivamente di quei pochi metri, considerato il suo stato di semi-infermità. La fitta di sempre sta al solito posto, l’antidolorifico deve ancora fare il suo effetto, ma lei riesce comunque a non lamentarsi, e a non mostrare quella sofferenza che anche soltanto l'espressione del viso potrebbe tradire.
            Abitare accanto ad una finestra, almeno per il periodo del giorno in cui non si deve dormire, è già una fortuna, pensa lei senza riuscire a tradurre in parole semplici quel che le passa dentro la mente. “Un cielo nuvoloso è comunque più interessante di un cielo occupato soltanto dal sole”, dice alla fine. La badante prosegue per un attimo a compiere le proprie operazioni, poi fa: “può darsi”, senza dare troppa importanza a quello spirito filosofico, e conservandosi maggiormente a ridosso degli elementi un po’ più pratici. “A me comunque basta che non piova”, spara alla fine. Anche la pioggia però ha il suo fascino e la sua importanza, riflette lei senza azzardarsi a dire più niente. Poi si sistema sulla poltrona, si osserva le mani grinzose ormai da vecchia, e sorride del suo essere vissuta così tanto, persino troppo, almeno fino al punto di sentirsi proprio così. Poi guarda fuori, oltre i vetri della finestra, dove le cose avvengono veramente, ed in cui lei adesso può immaginare tutto ciò che desidera.


            Bruno Magnolfi