sabato 5 luglio 2014

Per una volta.

            

            Esce da casa ed è ancora presto, la tuta colorata, il caschetto leggero già calzato sopra la testa, la bicicletta celeste tenuta per tutta la settimana nella rimessa, adesso al suo fianco. Il percorso, che inizia poco lontano, si snoda per parecchi chilometri lungo l’argine del grande fiume, in certi tratti attraversa  qualche centro abitato, in altri si allontana dall’acqua per passare in luoghi di aperta campagna. Ogni domenica mattina lui fa quella strada, ormai la conosce perfettamente, a menadito.
            Qualche volta ha riflettuto che potrebbe avere un malore proprio in qualche punto del tragitto dove non si incontra mai neanche un’anima, ma ha il telefono portatile con sé, e in quel caso chiamerebbe subito aiuto, darebbe l’allarme, e poi ogni altra volta, quando si è sentito stanco o affaticato, prontamente ha fatto una sosta, già diverse volte è successo, ed anche se la strada che compie forse è un po’ troppo lunga per la sua età, lui cerca, riposandosi ogni tanto, di recuperare le forze che gli servono per portare sempre a compimento tutta quanta la pedalata.
            Quando poi arriva al paesetto di Castelloro, si ferma sempre prima di tornarsene indietro, accosta la sua bicicletta al marciapiede, si siede ad un tavolino del caffè Centrale che si apre nella piazzetta, e beve qualcosa, una bibita non gassata, generalmente del tè freddo. Dopo circa un quarto d’ora riprende la sua bicicletta e se ne torna indietro. Ma in questa giornata quasi estiva forse si è un po’ distratto, forse la sua testa si è persa dietro cose leggere, e la prima pedalata con cui riprende il percorso la dà praticamente con leggerezza, con estrema noncuranza, quasi senza preoccuparsi di nulla, come se quella strada asfaltata fosse deserta, lasciata a suo uso esclusivo.
            Alla guida dell’automobile c’è un giovane, e forse non nota neanche il ciclista di una certa età che lentamente gli taglia la strada. La sua macchina va avanti, i pensieri del giovane sono tutti rivolti ad una ragazza con la quale dovrebbe uscire nel pomeriggio, ed il resto è qualcosa che quasi non lo riguarda, non ha neppure troppo a che fare con tutte le idee che gli passano dentro alla testa.
            Sono momenti, piccole frazioni di tempo mal scomponibili, ed il ciclista ad un tratto vede quell’auto sbucare davanti a sé, si rende conto con immediatezza che lui si sta trovando al centro di quella strada, e che l’attenzione dell’autista del mezzo è assorbita da qualcosa che lo fa andare avanti quasi per inerzia, come avesse la vista momentaneamente oscurata, ed ormai lui non potesse più fare un bel  niente, e se anche ne avesse il tempo e si mettesse a pensarci, non riuscirebbe neppure a decidere cosa sarebbe da sostituire in quella breve collana di attimi.
            La macchina avanza noncurante di tutto, il ciclista frena la sua bicicletta appuntando il suo sguardo atterrito oltre al parabrezza, nell’espressione indifferente di chi sta guidando quell’auto, proprio sopra la faccia di quel ragazzo così disattento, e forse pensa che ci dovrebbe essere per forza ancora il tempo per gridargli qualcosa, per attirare quell’attenzione che sembra proprio mancare, ma ormai è tutto inutile, ormai tutte le cose paiono inevitabilmente già compromesse.
            Invece quell’auto ormai a pochi metri da lui frena esattamente in quell’ultimo attimo, ed anche se lo travolge ugualmente, lo fa con una certa leggerezza; lo fa cadere, questo è vero, ma senza particolare violenza, quasi come se d’improvviso tutto avvenisse in un modo estremamente più umano di quanto sarebbe stato possibile. L’uomo prontamente si rialza, in fondo non si è fatto niente, non avverte neppure particolari dolori, il ragazzo invece scende dall’auto tremante e lo aiuta a rimettersi in piedi. E’ andata bene, si dicono ambedue sorridendo, e si stringono la mano, si scusano reciprocamente, si abbracciano quasi: per questa volta dicono, possiamo ancora essere contenti.


            Bruno Magnolfi  

martedì 1 luglio 2014

Con Lucia.

            
            E’ un giorno qualsiasi, uno di quelli che non lascia riportata, sopra al calendario attaccato alla parete di cucina, neppure una nota frettolosa, neanche un segno qualsiasi di spunta. Eppure, all’improvviso, qualcosa nell’andamento normale della sua vita è cambiato, e Lucia esce di casa da sola, cammina in fretta fino alla stazione ferroviaria, legge tutti i tabelloni che riportano orari e destinazioni, poi sale sul primo treno che passa e se ne va via.
            In quella mattina i suoi figli sono a scuola, ma sono già grandicelli, all’uscita torneranno a casa da soli, pensa, per loro ha lasciato la porta socchiusa; suo marito invece è al lavoro, come quasi sempre. Dall’ultima volta che lui l’ha picchiata non sono trascorsi molti giorni, ma lei da quel momento ha vissuto come in una campana di vetro, inarrivabile, restando spesso in silenzio. Adesso Lucia sa che deve fare così, non ha alternative.
            I bambini telefoneranno al loro padre, diranno che sono da soli, che la mamma non c’è. Qualcosa inizierà a muoversi, i vicini si incuriosiranno, verranno spese chiacchiere e telefonate, che in fondo si riveleranno del tutto inutili. Lucia, in un’altra città, utilizzerà tutto il tempo che serve, ma saranno sufficienti probabilmente appena pochi giorni, una settimana al massimo, poi prenderà una decisione sulla quale non tornerà più.
            Si è spinta in avanti, forse persino troppo, ma non ha importanza adesso, doveva fare così e così sta facendo. Non c’è nessuno ad attenderla, la sua fuga solitaria forse è persino puerile, quasi una sciocchezza, eppure di tutte quante nella sua esistenza è molto probabilmente la cosa più importante che sta mettendo in atto, il segno indicatore di qualcosa che è già profondamente cambiato dentro di lei, che mette in mostra così una persona diversa, e che è solo all’inizio di un altro tratto della sua vita che non sarà mai più come prima.
            Camminerà per le strade, si siederà in qualche caffè, prenderà una camera in un alberghetto dove non chiedono i documenti, poi, alla fine di tutto, andrà in una caserma dei carabinieri per dire, davanti ad un maresciallo, tutto quello che non riesce più a sopportare. Sicuramente la convinceranno a ritornare, ma lei aspetterà ancora, e quella denuncia intanto avrà un suo seguito, qualcosa si metterà in moto. Infine Lucia, come è giusto, tornerà a casa, nella stessa esatta maniera di come è partita, ma lo farà soltanto per amore dei propri figli.
Della sua vicenda parleranno tutti, ma la sua storia non sarà degna neppure di un articoletto di cronaca: una vicenda comune, senza significato, per la quale è inutile perfino sprecare delle parole stampate. Eppure Lucia darà una svolta importante alle cose, anche per gli altri che ne hanno soltanto parlato, indicando a tutti che lei si sente ancora una persona, adesso forse anche migliore di prima, e che il suo amor proprio non poteva permettere ulteriormente quel silenzio colpevole che molti avrebbero forse desiderato.

Bruno Magnolfi