domenica 29 marzo 2015

Primato del pensiero.

            

La descrizione di questo caso non appare troppo semplice, dice l'insegnante. Sicuramente oltre allo scarso rendimento dobbiamo parlare anche di disagio, anche se non c'è la sicurezza che questa parola alla fine spieghi molto. Bisogna però dire che i fatti sono più che evidenti, e che risulta impossibile fingere che siano cose di ogni giorno. Ma forse a questo punto alcuni genitori magari vorrebbero porre delle domande, interrogarci su qualcosa di specifico, dice ancora l'insegnante rivolgendosi un po’ a tutti. Invece, a parte il borbottio diffuso, sembra che nessuno abbia davvero qualcosa di ulteriore da chiedere. Difficile immaginare lo sviluppo di un ragazzo pieno di piccoli problemi come quello, pensano e dicono quei genitori mentre già alcuni si alzano dalle sedie; eppure sicuramente è doveroso affrontare anche quel caso, e cercare di comprenderne tutti i possibili risvolti. La piccola riunione a quel punto sembra però conclusa: tutti adesso sono in piedi e qualcuno inizia anche a salutare gli altri per scappare via, dietro ai problemi di ogni giorno.
Papà e mamma si comportano sempre normalmente con me, spiega il ragazzo nella registrazione audio effettuata dentro all’ufficio del preside. L’uomo lo guarda dalla sufficiente distanza che gli conferiscono la laurea alle sue spalle e la lucida scrivania di legno, ma infine si alza, gira attorno al mobile per arrivargli più vicino, ed anche se poi finisce per osservarlo terribilmente dall’alto al basso, ugualmente gli chiede: tu lo capisci vero che non posso proprio fare altro? Il ragazzo si alza, come per rompere quel senso di disagio che continua a provare; ed anche se adesso tiene gli occhi bassi, si sente deciso a salutare il preside e ad uscire dal suo ufficio, ma mentre si volta per andarsene via, gli viene spontaneo di dire sottovoce che secondo lui è stato sbagliato proprio tutto, anche se l’uomo finge di non sentirlo, proprio mentre anche lui di rimando finge come di aver detto quella frase soltanto per se stesso.
I compagni lo salutano, pur senza enfasi, quando lo vedono passare dal corridoio scolastico. Lui esce dall’edificio, senza minimamente affrettarsi: la sua sospensione durerà ancora qualche giorno, poi le cose forse riprenderanno in un’aura di normalità. Però il ragazzo sa già dentro di sé che non potrà più essere la stessa cosa lo stare in classe e seguire le lezioni, lasciarsi interrogare da quei soliti insegnanti, fare i compiti e le esercitazioni, scherzare come tutti gli altri ragazzi. Qualcosa si è incrinato, anche se non riuscirebbe mai a descrivere che cosa effettivamente sia successo. Anche con i suoi genitori, non sarà più lo stesso di prima: adesso è come se portasse un elemento estraneo a tutti dentro di sé, qualcosa che probabilmente terrà gli altri più a distanza, quasi fosse un appestato, oppure uno diverso, uno del quale non ci si può fidare completamente.
Ciao mamma, dice il ragazzo rientrando in casa. Lei risponde al saluto, ma avrebbe forse voglia di abbracciarlo, di spiegargli che d’ora in avanti dovranno stare più vicini, dirsi tutte le cose che fino adesso hanno taciuto, spiegare ogni piccolo dettaglio; ma non lo fa, restando ad occuparsi di qualcosa in cucina, come sempre. Probabilmente affronteranno l’argomento quando saranno tutti a tavola, di fronte ai piatti e alle posate. Il ragazzo terrà i suoi occhi bassi, suo padre dirà qualcosa di analitico e pesante, sua madre cercherà di prendere le sue difese. Ma lui si sentirà già differente, e le sue riflessioni lo renderanno grande, forse più consapevole di sé. E non gli importerà assolutamente niente di quello che è successo: i suoi pensieri saranno ancora suoi, non avrà da spartirli con nessuno, e nessuno si immaginerà mai che cosa lui avesse davvero immaginato.


Bruno Magnolfi

lunedì 23 marzo 2015

Parcheggio abusivo.



Silenziosa, con calma, anche oggi lei parcheggia la sua auto davanti al supermercato, così mescolando la sua alle decine di altre macchine che sostano normalmente in questo enorme piazzale, ognuna entro il confine delle apposite strisce bianche, spegnendo il motore e lasciando accesa la radio, ma ad un volume il più possibile attenuato. Questa utilitaria, insieme alla sofferenza per una separazione non voluta da lei, praticamente è tutto ciò che le ha lasciato il marito, e lei comunque gli rimane grata ancora adesso per averla spinta, in anni più giovanili, ad acquisire la patente per poterla almeno guidare.
Sta qui, anche se non sempre scende dall’auto per fare delle spese. Guarda quelle persone che si muovono tutt’intorno con le loro buste e i carrelli, ben attenta a non farsi troppo notare. Finge di leggere qualcosa, generalmente, ascolta i notiziari della radio, perde tempo, senza stare a preoccuparsi quasi di niente. Le piace quel senso di normalità che si respira da queste parti, le piace sapere di essere una come tutte le altre, tanto da perdersi volentieri nel mucchio. Certe volte pensa che potrebbe fare qualcosa, imporsi degli scopi da perseguire. Ma in fondo le piace più di ogni altra cosa sonnecchiare con le mani sopra al volante in questo parcheggio, stare qui come pronta a fare chissà che cos’altro, senza preoccuparsi davvero di che possa essere.
I clienti del supermercato vanno e vengono, forse qualcuno addirittura la vede mentre se ne sta qui a scaldarsi al sole. Uno di loro poi si avvicina, le bussa sul vetro, dice che deve uscire dal parcheggio a fianco, e se lei con la sua auto potesse andare due metri più avanti renderebbe la sua manovra più facile. Certo, niente di male, dice lei, che avvia il motore ed immediatamente si sposta. L’uomo che le ha parlato adesso sorride mentre va via, la saluta con un semplice gesto, una forma di ringraziamento, o forse la conosce, magari l'ha già incrociata da queste parti.
Lei non ci tiene al saluto di qualcuno, preferisce che tutti la scambino per una persona indaffarata che viene a fare spese per la sua famiglia, anche se in verità abita da sola. In fondo anche lei è una famiglia, pensa talvolta: si deve preoccupare sempre di tutto, pagare le bollette, fare gli acquisti. Certe volte si chiede se davvero abbia senso la vita che manda avanti, poi in altri casi riprende ad interrogarsi sui suoi errori, ammesso che ce ne siano. Ma alla fine, più di tutto le piace proprio stare qui, senza pensare niente, in questo parcheggio, dove nessuno può sostenere davvero che non si stia preoccupando di niente.
Dopo poco torna il signore di prima, è a piedi stavolta, le bussa al vetro, proprio come aveva fatto precedentemente, e quando lei abbassa il finestrino, le dice che se le va vorrebbe offrirle un caffè, qui vicino, in questo locale subito di fronte. Lei cerca di darsi un contegno, adesso dovrebbe andare a far spese, anzi, prima cercare la lista delle compere che ha preparato e che adesso non trova, ma alla fine, dopo essersi mossa varie volte sul seggiolino, risponde di si, sorridendo: può permettersi addirittura di perdere dieci minuti.
Scende, chiude l'auto, l'uomo si presenta, dice che l'ha già notata altre volte ferma dentro la macchina, come aspettasse sempre qualcuno. E' vero, dice subito lei, mio marito lavora al supermercato, così spesso vengo a prenderlo a fine turno. L'uomo annuisce, ma comprende che la donna stia inventando qualcosa per coprire la sua solitudine. Insieme prendono il caffè, parlano del più e del meno e poco dopo si salutano, stringendosi la mano. Domani tornerò qui, dice lui mentre sta andando via. La cercherò di nuovo: se fosse in zona magari potremmo prendere un altro caffè.


Bruno Magnolfi

giovedì 19 marzo 2015

Inevitabile digestione.


La vecchia è caduta sul marciapiede, proprio lì, davanti a tutti. Forse si è rotta le costole oppure un femore, non è molto chiaro. Tutti sono corsi da lei, hanno cercato di aiutarla, di rialzarla, di rendere meno pesante e dolorosa la sua situazione. Qualcuno ha detto che ci sono dappertutto sconnessioni dei piani stradali, altri hanno spiegato che per certe persone purtroppo ci vorrebbero dei perfetti biliardi per riuscire a non farle cadere. L’ambulanza ci ha impiegato un minuto di troppo ad intervenire; per altri invece è stata persino troppo solerte. La donna anziana si guarda attorno spaurita. La gente le parla, qualcuno le dice stia ferma, uno muova le mani, qualcun altro le spiega delle banalità che lei forse ascolta soltanto perché è stata sempre una donna cortese, oppure addirittura fa così solo perché spaventata.
La sistemano sulla barella, infine, la portano via, ma non si sa ancora cosa abbia davvero. Lei fa un segno veloce con una mano, gli inservienti si fermano un attimo, la lasciano guardarsi ancora attorno per un lungo momento: forse la vita della vecchia non sarà più la stessa da ora in avanti. Lei lo sa, ne ha coscienza, magari lo sanno anche due o tre persone intorno a quel piccolo assembramento che si è formato. Qualcuno dice che la sua vita ormai l’ha vissuta, altri annuiscono a quelle parole, ma soltanto perché non sanno proprio cos’altro pensare.
Forse non c'è neppure tutta questa fretta, dice un uomo vestito piuttosto male, noto in tutto il quartiere. L'ambulanza prosegue a stazionare accanto al marciapiede, creando con le luci girevoli quel senso di dramma urbano che in breve si sta consumando, per qualcuno forse un fatto del tutto ordinario, abituale, e per altri invece una situazione limite, naturalmente, quasi assurda. La vecchia piange, è disperata, alcuni dicono che qualcuno si preoccuperà senza alcun dubbio di avvertire i parenti di quanto successo, ma lei non sta affatto pensando quello; anzi, al contrario, non vorrebbe mai essere di peso a nessuno, né amici e né parenti, le dispiace persino per quei barellieri che stanno lì solo per lei, quei bei ragazzi che potrebbero fare chissà quali cose, invece di starsene attorno ad una donnetta senza futuro.
L'autista dell'ambulanza è nervoso: vorrebbe che tutto si svolgesse più in fretta: ha ansia di guidare veloce tra le macchine ed il traffico, con le luci e le sirene spiegate, per mostrare quanto la sua attività sia quasi superiore a tutte le altre. La vecchia improvvisamente dice che adesso non vuole andare da alcuna parte, ed al contrario vuol rimanere lì, e morire sul marciapiede, per non dare fastidio a nessuno. Pensa adesso alle lunghe giornate magari nel letto dell'ospedale, agli infermieri che continuano a girarla sui fianchi per evitarle le piaghe, al suo sentirsi sempre più oggetto, senza volontà, forse senz'anima, rannicchiata per forza nel proprio egoismo, e sorretta da quell’ultimo attaccamento alla vita, pur surrogata, certo, pur di altro ordine. Qualcuno lì attorno forse vorrebbe piangere con lei per qualcosa che crede di avere intuito, ma tutti in fondo hanno altro da fare, e alla fine alcuni se ne vanno un po’ alla spicciolata, anche se vengono immediatamente sostituiti da altri curiosi, da perdigiorno che volentieri si accostano, immancabilmente chiedendo qualcosa, spalancando gli occhi, indicando un punto, una cosa laggiù, forse la direzione che dovremmo tutti tenere, chissà verso dove.
Infine la vecchia è caricata, e pur lentamente l'ambulanza riparte: è stato inevitabile, pensano alcuni, mentre tutti gli altri se ne vanno via, ed ogni cosa torna ad essere com’è sempre stata. Ognuno adesso riprende la propria attività, i propri compiti, meno che lui, proprio l'uomo più strano, quello vestito piuttosto male che tutti conoscono; lui resta, rimane ancora qualche momento in quell’angolo, sul marciapiede, fermo esattamente dov’era prima, ma forse soltanto perché di fatto non ha proprio nient’altro da fare.


Bruno Magnolfi

domenica 8 marzo 2015

Nuove idee.

           

Oggi tutto è difficile. I ragazzi stanno seduti, qualcuno scomposto, e quasi non parlano mentre con le facce lunghe si mostrano annoiati, o fingono di essere stanchi, svogliati, senza neppure la forza di parlare di un argomento diverso dalle solite stupidaggini. Il barista scuote la testa quando getta un'occhiata verso di loro in quell'angolo della saletta, e prosegue a sistemare tazze e bicchieri.
Non c’è niente di male, si dice, nello starsene immobili cercando di non cambiare una virgola di quello che siamo. Lui sta insieme con gli altri, e in serate così vorrebbe quasi andarsene da quel solito posto, tanto gli sembra ottuso perdere tempo in questa maniera. Ma il senso di appartenenza a quel gruppo fa in modo che proprio in quell’esatto momento in cui il suo pensiero è così negativo, lui si alzi, si scuota, dica: dobbiamo assolutamente fare qualcosa, ragazzi.
Gli altri lo guardano, lo valutano, poi lentamente, quasi rispondendo al richiamo ma per una specie di inerzia, iniziano ad alzarsi dalle sedie di plastica. Fuori la serata non è niente di speciale, da un lato della strada ci sono tutte le luci accese del loro paese, e dall'altro soltanto la campagna aperta con qualche casa isolata. Accendono i motorini e gli scooters, fanno tra loro qualche battuta, poi tutti in gruppo si avviano e finiscono in piazza, la piazza principale di quell’agglomerato di case, con le panchine e qualche cespuglio dentro le aiuole, e dove a quell’ora della serata si incrociano soltanto alcuni anziani che generalmente non hanno niente da fare.
Dobbiamo trovare uno scopo che ci porti fuori da questa palude, fa lui. Ci sarà pure qualcosa che ci fa schifo, contro la quale scagliarsi con tutte le forze che abbiamo. Dobbiamo scovare l'elemento che ci renda degli attori, dei personaggi della commedia, invece di subire tutto in questo stupido modo. Alcuni ridono, qualcuno accenna di sì con la testa, ma nessuno sa neppure vagamente dove quei discorsi possono andare a parare. Poi uno dice che è la politica la cosa peggiore di tutte, e gli altri dicono subito che è vero, che è così, e mentre molti sembrano essere d'accordo, lui dice soltanto che quello che devono fare adesso è inventarsi una semplice corrente d'opinione che faccia diventare vecchio e sorpassato quasi tutto il resto.
Si trova carta e matita, e si incomincia a scrivere e progettare cosa sia meglio fare nell’immediato. Una manifestazione, ecco quel che ci vuole, dice qualcuno. Scuotere questo paese senza spina dorsale, inventarsi una nuova bandiera, uno slogan, un ideale a cui andare dietro. Un paio di ragazzi si fa venire qualche altra idea, alcuni poi aggiungono qualcosa, e la data sembra già fissata: tutti in quel giorno deciso dovranno semplicemente sfilare lungo quella strada gridando qualcosa, si dice; qualcosa di forte, di estremamente spiazzante, che lasci di stucco anche chi, per evidente disinteresse, persino in un’occasione del genere non ha saputo far altro che restarsene a casa propria.
E’ il sindaco che fa schifo, dice lui, e gli altri scuotono la testa in segno di approvazione. Dobbiamo costringerlo alle dimissioni, la nostra manifestazione sarà contro di lui. Si cercano le parole giuste, le frasi più adatte, si pensa agli striscioni da approntare, le idee da gridare in un coro. Si annota tutto ciò che viene detto: qualsiasi idea nei giorni seguenti dovrà essere valutata con attenzione, ed intanto i ragazzi sembrano come elettrizzati, sono sicuri che in futuro potranno tenere in pugno le cose, dare una svolta decisa anche alla vita monotona della provincia.
Infine finiscono le loro birre e poi se ne vanno, ognuno a casa propria. L’appuntamento è per il giorno seguente: serviranno altre idee, e anche sostegno, condivisione, accordi con tutti. Lui è soddisfatto: qualcosa si sta muovendo qua attorno, pensa; in fondo non ci voleva poi molto.

Bruno Magnolfi


martedì 3 marzo 2015

Prime donne.



L’uomo pare quasi non abbia alcuna fretta mentre attraversa la strada; forse, con il suo sguardo apparentemente indifferente, sembra quasi riconoscersi in un passante qualsiasi, ma questo avviene soltanto per un attimo, perché immediatamente dopo lui riprende la sua normale consapevolezza, quella di essere, come è quasi sempre stato, un personaggio principale. Si accosta ad un portone, cerca il nome giusto sopra le targhette, sta forse per suonare un campanello, ma da dietro lo raggiunge una donna, elegante, sorridente, ed ecco che insieme salgono subito dopo sopra ad un taxi che si è appena accostato al marciapiede.
Non preoccuparti, dice lei, ogni cosa si aggiusterà; sarà sufficiente spiegare a tutti con chiarezza i nostri veri intenti, i nostri comportamenti, e giurare che siamo soltanto dei buoni amici, e nient'altro. L'uomo annuisce mentre detta l'indirizzo all'autista del mezzo pubblico. Quindi partono, e la scena si offusca. Un’ora prima l’uomo le aveva telefonato. Mi stanno ricattando, le aveva detto, e lei aveva fissato immediatamente quell’incontro allo scopo di prendere delle importanti decisioni.
Il giorno precedente qualcuno, tramite un messaggio, aveva fatto sapere all’uomo che non avrebbe dovuto mai accettare la parte che gli avevano proposto in quella commedia. Altrimenti ne sarebbe andata di mezzo la sua tranquillità attuale, e addirittura il suo futuro. Lei non era stata citata, ma era abbastanza evidente quel riferimento. Recarsi negli uffici della polizia era probabilmente l’unica cosa giusta da fare, aveva pensato lui, ma tutto questo avrebbe gettato comunque un’ombra inquietante sul suo nome e quindi sulla sua carriera.
Per quanto avesse trascorso l’intera serata a domandarsi chi poteva mai esserci dietro quella vicenda, non era riuscito a trovare un solo elemento di chiarezza. Soprattutto gli pareva quasi impossibile che potesse essere davvero l'invidia il vero movente di quell'operazione, considerato soprattutto che gli era sembrato del tutto naturale scartare ogni altra possibilità.
Il regista al telefono si era mostrato poco comprensivo e assolutamente recalcitrante nei confronti di una sua eventuale sostituzione, ed a lui in quell’attimo erano tornati a mente i suoi inizi di carriera, quando per una qualsiasi particina in un lavoro minore, sarebbe stato disposto a fare praticamente qualsiasi cosa. Si era preso del tempo, certo, come si fa in questi casi, ma in capo a due giorni avrebbe comunque dovuto dare una risposta definitiva riguardante la sua partecipazione o meno a quell’importante lavoro teatrale.
Al tassista aveva detto a un certo punto di fermarsi, aveva pagato frettolosamente la corsa, ed era sceso dall’auto insieme alla donna. Si erano rifugiati dentro un caffè lì vicino, ma l’uomo, tornato da solo fuori dal bar, aveva telefonato nervosamente dal marciapiede alla propria moglie. Le aveva detto che qualcuno presumeva una sua relazione con una donna, ma non c’era niente di vero. Lei, dopo una pausa, aveva risposto che gli credeva, e che non sarebbe stato certo uno squilibrato con una sospetta intraprendenza di stupida rivalità ad influire sulla loro vita coniugale.
Così lui era tornato dentro al locale, aveva preso un caffè frettoloso con la donna rimasta al tavolino ad attenderlo, poi era uscito di nuovo con lei. Avevano camminato a piedi per tutto quel tratto di strada, quasi in silenzio. Poi lui di colpo aveva detto soltanto che ormai si era deciso, avrebbe confermato la sua partecipazione a quella commedia come attore principale, affrontando con fermezza ciò che ne sarebbe potuto conseguire. Ti amo, aveva risposto lei quasi d'istinto, anche se tutto ciò suonava adesso quasi come una sciocca ironia.


Bruno Magnolfi