mercoledì 25 febbraio 2015

Utili consapevolezze.

            

Lei è qui, proprio in questo momento, dice all'amico. L'altro fuma in silenzio, seduto davanti alla finestra leggermente aperta, come immerso nei propri pensieri. Non l’ho ancora vista, certo, però avverto la sua presenza, e sono sicuro che non può essere lontana. L’altro lo guarda, annuisce quasi senza interesse, poi si alza, dice che adesso purtroppo deve proprio andarsene. Va bene, dice lui, ti ringrazio comunque di essere venuto fino qui. Si stringono la mano, l’altro esce sul lungo corridoio dell'ospedale, e quasi di fretta sparisce dietro qualche camice bianco.
Un infermiere della clinica psichiatrica scambia appena un'occhiata con l'uomo che se ne sta andando, poi si avvicina immediatamente al paziente ormai rimasto solo, e gli chiede se per caso voglia essere aiutato a rimettersi nel letto. Lui fa cenno di no, per ora sta bene così, vuole rimanere in piedi  ancora per un po’ di tempo, spiega. Sto aspettando una persona, aggiunge con voce piuttosto convincente. L’infermiere lo guarda, e dopo un attimo gli chiede se sia davvero certo che questa persona stesse per giungere proprio in quell’esatto momento, e non il giorno seguente, magari. Si, certo, fa lui, non ne parlerei se non ne fossi più che sicuro. Ma per caso, insiste l’altro, non è la medesima persona che doveva giungere anche ieri, e persino il giorno prima? Ha avuto delle semplici difficoltà, fa lui; può capitare a chiunque una cosa del genere, ma adesso sono più che convinto che quella persona stia proprio sul punto di arrivare.
L'infermiere si allontana di qualche passo, ma resta in attesa, di fatto senza mai perdere d’occhio il paziente. Poi, dopo qualche minuto, dal corridoio si avverte un suono elettronico che indica il termine dell'orario ammesso per le visite esterne. Lui non cambia espressione, prosegue a restare in piedi, immobile, appoggiato ancora al medesimo muro, e l'infermiere torna ad avvicinarsi. Potremo farcene un giretto insieme, gli dice, magari lungo il corridoio, tanto per parlare. Lui lo osserva, sembra però come perplesso. Vede, è mia moglie quella che attendo, gli spiega. L’infermiere sa benissimo che quell'uomo che ha di fronte non è neppure sposato, però non ribatte niente, ed in compenso con un sorriso lo prende sotto braccio, incoraggiandolo a camminare assieme a lui.
E com’è questa moglie, gli chiede subito con un certo interesse. Lui prende tempo, poi risponde semplicemente spiegando che si tratta di una donna dal carattere piuttosto riservato, una però che riesce a comprenderlo perfettamente, anche senza necessità di insistere nel fargli delle domande. Il silenzio in certi casi è sempre un elemento da privilegiare, dice l'infermiere a prosecuzione di quel ragionamento. Esatto, fa lui. Ma allora forse è proprio per questo che lei in questi giorni non si è mai fatta vedere. Probabilmente le basta dare il senso pur vago della sua presenza, il resto poi, ha un'importanza relativa.
Lui si ferma, guarda l'infermiere con insistenza, poi dice: è esattamente così, non importa che mia moglie sia qui adesso, concretamente, per mostrare quanto tenga a me, in quanto io so già benissimo che per lei farmi una visita è proprio il primo tra tutti i suoi pensieri. Io so che è così, e sapere questo, per tutt'e due, è già più che sufficiente. Giungono in fondo al corridoio, si voltano per tornare indietro, e né l'infermiere né il paziente, dopo tutto questo, sembra proprio che abbiano da aggiungere dell’altro.
Si accosta sorridendo la dottoressa, e si rivolge subito all'ammalato. Spiega in poche parole come una signora, durante il pomeriggio, si sia fermata in portineria chiedendo proprio di lui, del paziente della stanza Q, e che forse non sarà niente di importante, lei certo non lo sa, ma in ogni caso quella donna sembrava fosse molto contenta di sapere che lui in quel periodo si sentiva già meglio, molto meglio, e che probabilmente tra non molto sarebbe stato addirittura in condizioni di lasciare l’ospedale.
Lui resta in silenzio, abbassa gli occhi senza cambiare espressione; poi dice: adesso se vuole mi può aiutare a coricarmi, riferito all’infermiere. E stasera credo che non avrò neppure bisogno di far storie per l’iniezione del tranquillante.


Bruno Magnolfi

venerdì 20 febbraio 2015

Mille diverse possibilità.

            

Sto chiuso nello scafandro, limitandomi, attraverso la feritoia per gli occhi, ad osservare qualcosa della realtà che si muove all’esterno. Non uscirò certo da qui troppo alla svelta, la protezione che in questo modo mi sono guadagnato è tale da lasciarmi perfettamente a mio agio. Certo, lo scafandro è in buona parte costituito di metallo, limita moltissimo qualsiasi movimento, ma si tratta di scegliere ciò che si desidera di più, ed a me adesso non va certo di cambiare condizione. Da qui vedo come siano in molti a sbracciarsi per cercare un luogo di visibilità, alcuni poi anche per farsi largo in mezzo a tutti gli altri, ed altri ancora che invece tentano in qualsiasi modo di raggiungere una qualsiasi pedana da cui arringare a tutto spiano chi si trovi nelle vicinanze.
Così pensa lui, mentre trascina la propria esistenza all'interno delle proprie idee, modificando astutamente solo le parti più indolore e quelle di minore importanza. Dalla feritoia che gli lascia debolmente adocchiare la realtà, non può certo sbirciare molte cose, però quanto non riesce proprio a vedere se lo immagina, lo costruisce mentalmente, prendendo in questo modo degli abbagli clamorosi, che continuano inevitabilmente a portarlo ancora fuori strada.
Sto rannicchiato, e so per certo che nessuno mi verrà mai a cercare, anche se la protezione che mi sono guadagnato è tale che in pratica non ho quasi più paura di niente. Questo è il grande privilegio che mi sono costruito: aver messo una distanza, un diaframma tra me e tutto il resto, un elemento che mi lascia in questo modo quasi intoccabile, ma tramite il quale allo stesso tempo conservo una posizione di estremo vantaggio, che mi permette peraltro di rendermi conto, in qualsiasi momento, di tutte le cose da cui mi trovo circondato. Gli altri stanno là fuori, quasi rinsecchiti nel loro cercare spazi e idee; io sto qui dentro, ben appagato.
Così il suo modo di essere; ma se qualcuno sfiora leggermente la sua postazione, se viene messa in dubbio la sua capacità di persona che conosce bene ciò che è giustificabile e corretto, ecco che lui chiude ogni spiraglio, rifugiandosi persino nell'assenza completa e nell'oblio. La sua idea sembra sempre sopra tutto, come se non ci potesse essere neppure una differente maniera di confronto.
Sto immaginando le loro facce, le loro stupide espressioni. Non importa ciò che troveranno da dire, o se mai verranno davvero a ricercarmi. La mia funzione è questa, non potrebbe essere diversa. Il mio pensiero si staglia dappertutto, la mia idea di fondo, anche se non verrà compresa mai, resta comunque quella data dal mio stato e dal mio punto d’osservazione.
Così concede un'altra occhiata, forse l'ultima, dalla feritoia. Ma qualcuno intanto si è avvicinato al suo scafandro, qualcuno si è incuriosito di quel suo punto di vista. Si sorride, immaginandolo rinchiuso dentro quella gabbia, si torna ad osservare l'assurdo marchingegno, ma poi si inizia anche a parlargli, a dire a lui cose senza impegno, parole che poco per volta attraversano il pertugio, ed arrivano là dentro, a lui che è ancora lì, ben vigile, oltremodo attento.
Sto male; qualcuno è rimasto indifferente alla mia perfetta protezione. Qualcuno si sente in dovere di parlarmi, di raggiungermi, di raccontarmi qualcosa che fino adesso non immaginavo, neppure conoscevo. Non avevo neanche preso in considerazione questa remota eventualità, ma certo che oramai è chiaro, d'ora in avanti dovrò rielaborare ogni mia scelta.
Così piacevole tutto ciò che scorre libero, così meraviglioso aprirsi alla realtà, queste le parole che vengono fatte continuamente giungere dentro lo scafandro. Rinuncerà anche lui, si dice dappertutto, ed alla fine sarà proprio uno come tutti.


Bruno Magnolfi

domenica 15 febbraio 2015

Fastidio sparito.

            

            Sta ancora lì, adesso; è rimasto fermo persino quando qualcuno di noi gli ha gridato in malo modo di andarsene, e che tutta la gente che abita qui non lo voleva più in mezzo ai piedi. Chissà cosa gli passa per la testa, povero disgraziato. Ha una casa, da qualche parte, sicuramente anche qualche soldo che gli permette di tirare avanti. Eppure viene qui ogni giorno, e sembra non voler andarsene mai. Nessuno comprende il motivo del suo comportamento, ma il fastidio che crea è grande, lo sanno tutti. Lui non parla, non ti guarda nemmeno, sembra quasi non ascoltarti se tenti di dirgli qualcosa. Invece è furbo, lo si capisce subito.
Nel quartiere ci conosciamo tutti, e poi, che c'entra, ognuno ha le sue amicizie e le proprie simpatie. Ma contro quel vecchio siamo tutti d'accordo. Perché la sua presenza rovina il clima che abbiamo sempre avuto qua. Crea nervosismi, svogliatezza, senso di impotenza. Il suo aspetto risulta a dir poco sgradevole, ed è anche certo che ad andargli più vicino si scoprirebbe che il suo corpo emana un tanfo insopportabile. Il problema più grosso è che con l'andare del tempo si possa far l'abitudine alla sua presenza, e neppure ci si faccia più caso.
Bisognerebbe probabilmente intervenisse qualcuna delle nostre autorità, ma figuriamoci, quelli non si sporcano certo le mani con queste sciocchezze. Intanto lui si piazza lì ogni mattina e fino a quando è sera quasi non si muove. Qualcuno la settimana scorsa aveva trovato un bel secchio di sassi, materiale da costruzione, niente di particolarmente pesante. Così, in due o tre di noi, avevamo quasi deciso di fargli una bella grandinata tutt'attorno, soprattutto per impaurirlo un po’, ma poi sul più bello un paio non se la sono più sentita, e così abbiamo desistito tutti quanti. Perché una cosa è certa, o siamo tutti uniti oppure non si fa un bel niente.
In ogni caso una soluzione va trovata. Ma intanto passano i giorni e lui è sempre lì, come se potesse permettersi di fare quello che gli pare. Una donna poi lo ha avvicinato, gli ha chiesto qualcosa di preciso, e lui ha bofonchiato di certi suoi ricordi di quando era ragazzo. Ci siamo tutti incuriositi, abbiamo chiesto in giro se qualcuno dei più anziani si ricordava di quell’uomo, ma nessuno ne sapeva niente. Così la stessa donna lo ha avvicinato nuovamente, e con una scusa gli ha chiesto almeno di confidarle qualcosa con maggiore precisione.
Lui si è voltato con gli occhi attenti, l’ha osservata un po’ senza nemmeno una parola, e infine le ha detto soltanto: conoscevo una ragazza, una che abitava qui. Sono sicuro che prima o dopo la potrò incontrare nuovamente. Di tutto questo a noi è parsa solo una scusa bell’e buona. Nessuno fa passare cinquant’anni per venire a ricercare una persona che abbiamo perso di vista e della quale non ci si ricorda più neppure il nome. Così ci siamo innervositi, gli abbiamo teso un agguato e poi rovesciato sulla testa un secchio pieno d’acqua. Lui allora se n’è andato, bagnato come uno scemo quale era, mentre noi ridevamo e si diceva che era un matto e basta. Invece qualche giorno dopo, a furia di domande,  si è scoperto che la sua storia era proprio vera, anche se la ragazza di una volta, quella che cercava lui, era ormai morta, e già da qualche anno. Ci è dispiaciuto, e forse a questo punto avremmo voluto addirittura farglielo presente, e poi indicargli il nome di lei, ed anche la tomba dove magari potersi recare a portare qualche fiore; purtroppo però quel vecchio adesso è come sparito di circolazione, ed anche se noi continuiamo ad aspettarlo, stanno trascorrendo giorni e settimane, ma da quel momento lui non si è più fatto vedere. Forse per lui non era poi una cosa troppo importante.


Bruno Magnolfi