domenica 30 dicembre 2018

Uomo centrico.



L'uomo guarda la strada. Nel caffè dove si trova ci sono rimasti ormai pochi individui, qualcuno di loro gioca a carte, altri si limitano ad osservare il gioco che si svolge sopra ai tavolini, e nessuno sembra interessarsi a qualcosa di diverso, a parte lui. Sulla piazza, fuori dai vetri del locale, ci sono adesso i soliti ragazzi di ogni giorno: parlano, ridono, si fanno cenni in genere comprensibili solamente a loro, e dei quali paiono snodare continuamente un grande campionario.
L'uomo lì osserva, forse tenta di decifrare senza impegno qualcuno di quei loro messaggi, anche se a tratti sembra poco attento a quanto va avanti sulla piazza. Poi accade qualcosa: un tizio si stacca dal gruppo e si avvicina lentamente ad un altro che se ne sta da solo, e in un attimo gli sferra un pugno in pieno viso, tanto da farlo cadere a terra. Resta fermo qualche momento, come a controllare che il lavoro sia stato eseguito bene, quindi lentamente torna sui suoi passi.
L'uomo sul momento vorrebbe quasi intervenire, ma in fondo sono cose che non lo riguardano, così resta immobile dentro al bar, nella stessa posizione di prima. Il ragazzo caduto a terra peraltro si rialza poco dopo, nessuno sembra dire niente, le cose paiono proseguire come se nulla di rilevante fosse accaduto. Il ragazzo che le ha prese si guarda attorno, ma non sembra neppure troppo contrariato, forse si aspettava già un atteggiamento violento di quel genere, probabilmente c’era qualcosa rimasto insoluto da tempo tra quei due.
L’uomo immagina che certe scaramucce magari siano all’ordine del giorno tra quei giovanotti che se ne stanno tutto il giorno a bighellonare sopra alle panchine; forse non hanno niente di cui occuparsi veramente, e quindi ogni tanto la loro noia sfocia in qualcosa che non ha nulla di razionale, qualcosa che permette loro di sfogare con pochi mezzi tutto il proprio rancore represso. Il ragazzo si tocca la faccia, gli altri lo guardano senza dire nulla, poi lui entra dentro il bar, si fa servire dal cameriere qualcosa da bere, e poi chiede del bagno, probabilmente per controllare meglio quanto sia successo o meno sopra al suo viso.
L’uomo aspetta che accada qualcosa, forse si attende una reazione, ma dopo poco il ragazzo ritorna, beve al bancone la sua ordinazione, si guarda attorno e sembra proprio non abbia maturato alcun rancore in quei pochi minuti. Poi se ne va, uscendo dal locale con molta calma e senza dare alcuna soddisfazione al gruppo dei ragazzi che sono rimasti là di fronte, sopra le panchine, quasi immobili, lasciando che quello che ha sferrato il pugno prosegua a darsi forza del proprio stare immerso in quella compagnia.
L’uomo forse vorrebbe aver detto qualcosa al ragazzo che le ha prese, ma probabilmente il suo intervento sarebbe stato preso soltanto per una sciocca curiosità, così alla fine gli pare che tutto vada bene in questo modo: non ci sono ragioni importanti che spingono l’uno contro l’altro, sembra pensare; anzi, spesso sono soltanto dei pretesti quelli che fanno montare la rabbia nella testa di qualche facinoroso. Lui se ne frega, questo è il punto: non c’è niente di fondamentale in ciò che avviene, tanto vale reputare ininfluente qualsiasi cosa non riguardi direttamente ciascuno di noi. Così possiamo proseguire senza indugio nei nostri compiti, pensa, scansando gli altri quando questi sembrano mostrare troppo interesse anche per delle emerite sciocchezze.


Bruno Magnolfi 



martedì 25 dicembre 2018

Domani, forse.




Dopo la mezzanotte in piazza non rimane generalmente più nessuno, almeno durante le giornate invernali maggiormente fredde. Quelli che hanno stazionato qui anche stasera hanno lasciato soltanto qualche carta in giro, ed una bottiglia rovesciata sopra al marciapiede, perciò queste panchine adesso appaiono vuote, mentre il bar Soldini di fronte ormai ha tirato giù le sue serrande. Soltanto due ragazzi con le mani nelle tasche sembra abbiano ancora voglia di tirare tardi, e gironzolano senza meta lungo la strada parlando tra loro a bassa voce.
Non so cosa pensare, dice uno; a volte le cose sono così complicate che la soluzione migliore sembra proprio quella di non prendere alcuna decisione. Con i miei non riesco più neanche a parlare, c’è una distanza siderale tra di noi, e d’altra parte qui in paese non si trova neanche uno straccio di lavoro. Perciò vorrei andarmene, prendere tutto e trasferirmi in città, per poi mettermi lì a fare qualsiasi cosa possa capitare, anche il manovale o il lavapiatti se necessario, mi basterebbe giusto qualcosa per tirare avanti, magari trovare una stanza d’affitto e poi guardarmi attorno. Però, così da solo, mi risulta un po’ difficile.
L’altro lo guarda un attimo, annuisce. Poi dice che lui avrebbe in mente qualcosa di diverso: vorrebbe iniziare a lavorare con il suo fratello più grande che fa l’idraulico, imparare il suo mestiere e poi, poco per volta, mettere su un’attività per conto proprio. Il problema è che mio fratello almeno fino a questo momento mi tratta con superiorità, e non mi ha preso mai troppo sul serio, e poi dice che almeno in questi quattro o cinque centri abitati qua d’attorno sono già fin troppi gli idraulici in circolazione, probabilmente non ci sarebbe del lavoro sufficiente anche per un altro. Per questo attendo, fa ancora il ragazzo: aspetto con pazienza che qualcosa succeda.
Forse l’unica cosa da fare è proprio quella di aspettare, fa annuendo con la testa il primo: qualcosa prima o dopo dovrà pur accadere, preoccuparsi troppo, avanti che il tempo sia maturo, non mi pare neppure una buona idea. Sarà, fa l’altro, però anche strascicarsi tutti i giorni così, senza uno scopo, a me è venuto piuttosto a noia: vorrei impegnarmi almeno in qualcosa, mettere a punto una strategia per tirarmi fuori da questa pausa infinita.
Potremmo fare i ladri, dice subito l’altro tanto per ridere: mettere a punto un bel colpo magari in una banca di uno dei paesi qui vicino per non farci riconoscere, e poi mettersi fermi per un po’, magari utilizzare la grana per impiantare con calma qualcosa e sistemarci. Magari fossimo capaci di una cosa di quel genere, fa l’altro; il fatto è che mi sembra troppo complicato perfino mettere a punto un piano che mostri un suo senso compiuto.
Bé, allora non ci resta proprio altro che star qui a guardare, farci quattro chiacchiere ogni sera con tutti gli altri ragazzi, fingere di essere soddisfatti di quello che già abbiamo, e poi buttare giù qualche birra fresca fintanto che i nostri genitori ci passano ancora qualche soldo. No, vorrei un’occasione, niente di più, una semplice possibilità almeno per darmi un’occhiata attorno, tirarmi fuori da questo posto così vuoto di tutto. D’accordo, fa l’altro, qualcosa prima o poi capiterà; per adesso andiamocene a dormire, come sempre, domani poi vedremo.

Bruno Magnolfi  

mercoledì 19 dicembre 2018

Sfida triste.



I ragazzi ne hanno discusso a lungo. Nei loro pareri sembravano quasi tutti divisi su due fronti, ma appena qualcuno ha iniziato a sbuffare mostrando una certa insofferenza, l'argomento è velocemente decaduto, lasciando ognuno ad esercitarsi sulle solite battute di sempre trangugiando qualche bottiglia di birra pagata sempre dagli stessi. Nei momenti iniziali alcuni c'erano rimasti male, non sembrava proprio che quella ragazza fosse un motivo plausibile per prendersela tanto. In ogni caso l'amico di sempre per tutti era Renato, non certo quel cervellone tutto studio che non si sapeva neppure cosa ci venisse a fare alle panchine insieme a loro.
Renato si è invaghito troppo di quella merciaia, avevano detto immediatamente; lei non vale quasi niente, lavora tutto il giorno in quella bottega per vecchi, non può minimamente sapere cosa ci gira in mente a noi che abbiamo il polso della situazione tutti i giorni, stazionando in questa piazza, al centro delle cose. Poi avevano smesso, perché era chiaro come Renato si fosse sentito forte dell'appoggio morale dei suoi amici, e forse anche per loro aveva voluto affrontare la questione proprio in quel modo. Aveva agito d’istinto, è vero, però quel gesto era stata una soddisfazione che certo si voleva togliere da tempo. Tommaso probabilmente non si sarebbe fatto più vedere davanti al bar Soldini, la faccenda si poteva dichiarare praticamente chiusa, anche se probabilmente neppure Clara sarebbe facilmente tornata nella piazza.
Invece no, giusto qualche giorno dopo, eccola con Tommaso che entra con indifferenza dentro al bar Soldini. Nessuno dei ragazzi naturalmente si azzarda a dire niente, e Renato volta subito le spalle alla scena per non dare importanza a quanto sta avvenendo. Qualcuno dei ragazzi fa presente la cosa, quasi per stuzzicare una reazione, ma Renato sembra di pietra, non si muove, guarda a terra, sembra non voler fare proprio niente, neanche pensare. Non ci sono molti argomenti da affrontare sopra quelle panchine del giardinetto in mezzo alla piazza, così ognuno cerca di immaginare dentro se stesso quale possa essere il proseguo per Renato di tutta la faccenda. Dopo un po’ i due escono dal bar, Tommaso lancia un lieve cenno di saluto verso i ragazzi, come a mostrare di non coltivare alcun risentimento, mentre Renato resta bloccato nella medesima posizione, anche se poi tutto sfuma lentamente.
La cosa ha preso una brutta piega, dice uno dei ragazzi. A me non frega niente, sbotta un altro. Renato cerca di mettere a punto un atteggiamento di strafottente indifferenza, ma si vede che è nervoso, che non si sente a posto. Infine, dopo una certa riflessione, riesce a dire soltanto: non vale niente quella stupida, quasi bisbigliando dentro se stesso, ma lasciando comprendere a tutti gli altri che per lui oramai si è conclusa completamente la vicenda, non ci sarà più alcun seguito, proprio perché l’oggetto del contendere tra lui e quel Tommaso ha perso talmente tanto senso, da non suscitare in lui neanche una briciola di ulteriore volontà nello sfidarlo ancora. Gli altri lo guardano, nessuno dice nulla, forse nessuno trova niente da ridire, poi uno si alza con indifferenza, per andare a prendersi soltanto un'altra birra.


Bruno Magnolfi 


martedì 11 dicembre 2018

Problema perfetto.


       

            Anche riflettendoci sopra con molta particolare attenzione, lei si sente praticamente sicura del fatto che fin da quando era piccola non abbia mai avuto una vera e propria amicizia femminile. Certo, nel suo percorso ci sono state delle compagne di scuola, naturalmente anche di giochi, e poi alcune vicine di casa, persino una simpatica compagna di banco degli ultimi anni, fino agli esami di maturità; ma nemmeno una di queste è stata tale da definirsi, a suo parere, una vera e propria amica intima. Niente e nessuna a cui sentirsi particolarmente vicina. Forse lei non si è mai concessa abbastanza, pensa adesso; magari il suo carattere è apparso sempre un po’ troppo duro o scostante a tutte le ragazze che ha conosciuto fino ad oggi in tutti questi anni; però, in ogni caso, se deve essere del tutto sincera, lei non ha mai avvertito l’assenza bruciante di una vera amica del cuore, perciò si può anche sostenere che non l'abbia mai veramente desiderata.
Forse, nella sua infanzia non precisamente spensierata, c'era semplicemente sua madre onnipresente come figura femminile, pronta a riempire eventuali vuoti che si potessero manifestare durante la sua crescita ed in tutto quel lungo periodo della vita; però è anche vero che la presenza di uno spiccato senso critico sostanzialmente innato dentro di lei, non le ha mai permesso di accettare pienamente nelle sue giornate una sua semplice coetanea. Anche con i maschi peraltro non è certo andata meglio: troppo giocherelloni, secondo il suo parere, con la testa perennemente in aria, incapaci di quella serietà che lei al contrario ha sempre cercato in se stessa e anche attorno alla sua persona, inadatti forse a piegarsi verso una logica di impegno e di attenzione maggiori nei confronti della realtà; incapaci di essere davvero affidabili, riservati, composti.
Soltanto adesso sembra quasi mancarle qualcosa di quella leggerezza che pur inconsciamente non ha mai voluto prendere realmente in esame, ed il rendersi conto all’improvviso di una carenza del genere dentro di sé, non sembra comunque procurarle molto di più che qualche piccolo superabile problema. Si riconosce incapace di sentirsi come le altre, e forse non vuole neppure cercare di esserlo; si guarda attorno certe volte cercando dei riferimenti che difficilmente ha preso davvero in esame. Perciò qualche volta si sente inadatta a stare con gli altri, ed anche se cerca di addomesticare il più possibile la propria personalità, alla fine non è quasi capace di mostrare un comportamento naturale e spontaneo. Sto scoprendo qualcosa per la prima volta, dice stasera a Tommaso mentre lui sembra prendersi cura con attenzione della sua incapacità di lasciarsi un po’ andare. Non sono mai stata così poco razionale, dice ancora, ma forse ho perso qualcosa.
Lui la guarda a lungo mentre lasciano scorrere il tempo nella sua macchina immobile. Vorrei recuperare qualcosa di quello che ho lasciato per strada, dice Clara in un soffio, senza quasi riferirsi esattamente a lui, ma quasi parlando a se stessa. Tommaso la guarda, pesa con attenzione le parole che gli vengono a mente, ritiene che tutto si stia complicando al punto da sfuggirgli quasi di mano, però vuole stare ancora a quel gioco, ritiene che non ci sia niente di così importante quanto porsi degli obiettivi attuabili, e lui in questo momento è sicuro di non sentirsi a posto da solo. Lo dice in fretta, come in risposta a quanto ha appena ascoltato, ma lei risponde che in questo periodo non è più sicura di niente, le pare che il suo apparente equilibrio si stia rapidamente perdendo, anche se è dentro di lei che tutto deve essere risistemato, e che forse non avrebbe alcuna importanza confessargli in questo momento di volergli davvero bene, senza prima aver considerato tutti gli aspetti che una frase del genere comporta. Tommaso annuisce, anche se non è del tutto sicuro di aver compreso perfettamente il problema.  

Bruno Magnolfi

sabato 8 dicembre 2018

Sbagli evidenti.



Buongiorno signora Marisa, fa Remo alzando appena sufficientemente la voce, giusto quello che serve per farsi sentire. Lui si è sempre riferito a questa donna mantenendo una certa distanza, anche se la conosce da sempre, d’altronde lei non ha mai fatto un bel niente per concedere al suo vicino una maggiore confidenza. Forse gradisce un cesto di lattuga che ho appena colto, le chiede. La signora Carraresi si muove leggermente mostrando oltre la siepe del suo giardinetto soltanto la parte superiore del corpo. Ha come al solito un'espressione piuttosto seria, quella di chi sta forse riflettendo intorno a delle cose lontane, chissà, trattenendo nella mente magari alcuni pensieri remoti, però all’improvviso sembra tornare velocemente al presente, e guarda l’uomo per un solo attimo ma con una certa attenzione, quasi fissandolo, per poi sorridergli leggermente, con una vaga spontaneità, ed al contrario di quanto ci si potesse aspettare, alla fine allunga verso di lui un cenno decisamente affermativo, con il suo capo fasciato, così come è solita addobbarsi, con un grande fazzoletto a colori.
Remo allora apre il cancelletto della sua proprietà, e con le mani ingombre da una cesta colma di diverse verdure, attraversa la polverosa strada statale in quel momento deserta nella località del Platano, osservando bene se non stiano sopraggiungendo proprio in quel momento delle automobili. Marisa apre a sua volta il cancello del suo giardino, allarga maggiormente il sorriso al vicino che sta raggiungendola, accoglie con le mani i prodotti dell’orto che lui le sta offrendo, e poi, mentre lo ringrazia con un complimento di poche parole, lascia che Remo le dica a sua volta qualcosa, come una specie di confidenza: sono preoccupato, le fa lui adombrando per un attimo la propria espressione; ho visto sua figlia correre, qualche giorno addietro, poco prima di sera, come se le stesse per accadere qualcosa. E con lei c’era un ragazzo, uno forse della sua stessa età, che le diceva qualcosa mentre andavano da qualche parte, di fretta, in mezzo al paese, come se non avessero proprio più tempo per ponderare meglio le cose.
Niente, fa subito la signora Marisa; sono soltanto delle sciocchezze di due ragazzi, niente che abbia una minima importanza. Non si deve affatto preoccupare, continua, va tutto bene adesso che Clara ha acquisito il negozio di merceria della signora Martini. Bene, fa Remo, allora complimenti per la carriera che sta facendo la sua ragazza: così fa felice la mamma, immagino; d’altra parte la signora Martini era ormai troppo anziana per occuparsi ancora di un negozio che sembra sempre pieno di tanti clienti. Questo è vero, fa lei, gli affari sembrano andare piuttosto bene. Così lui si volta su un fianco, guarda per un momento la strada, riflette, poi saluta inchinando anche la testa mentre sorride alla signora Carraresi, quindi torna rapidamente sul suo cammino, raggiungendo il cancelletto rimasto aperto e richiudendolo con cura alle sue spalle. Marisa invece rientra nella sua casa senza tentennamenti, appoggia sul tavolo di cucina i prodotti dell’orto, poi si siede nervosamente, in preda ad una certa agitazione della quale conosce bene il motivo. Non le piace che Clara sia sulla bocca di qualche conoscente qualsiasi, tutto qua; anche se in fondo sembra proprio che poco per volta stia giungendo anche per lei il tempo in cui fare delle inevitabili scelte; nonostante, a suo modo di vedere, siano quasi del tutto sbagliate.


Bruno Magnolfi 


mercoledì 5 dicembre 2018

Pugno inspiegabile.



Lui sta fermo sul marciapiede. Finge di leggere qualcosa che tiene con apparente interesse tra le sue mani, anche se in realtà, non sapendo prendere una decisione, cerca soltanto di perdere tempo e di concentrarsi su come sia meglio comportarsi nei prossimi minuti. Ciao, gli dice un ragazzo che lo conosce da sempre mentre passa sopra al marciapiede di fronte. Lui gli risponde di malavoglia soltanto con un cenno, quasi scacciando da sé quell’incontro casuale, forse anche senza importanza, ma che infine gli fa decidere di non andare per niente davanti al negozio di Clara. Lei non è stata precisa l’ultima volta che loro due si sono visti, e non gli ha dato nessun appuntamento per farsi rivedere, forse immaginando che in qualsiasi momento per lui sia possibile arrivare facilmente fino alla merceria, piazzarsi là davanti, magari poco prima dell’orario di chiusura, ed attendere la sua uscita inevitabile. Ma Tommaso non vuole certo mostrarsi a tutto il paese mentre staziona come un fesso là davanti a quella bottega, quasi non riuscisse più a vivere senza incontrarsi con quella ragazza, come se non fosse capace di gestire le cose in un’altra maniera, come una stupida forzatura, quasi un obbligo quell’aspettarla all’uscita, che peraltro non lascia alcuna libertà di scelta neanche per lei, ed è per questo che se anche gironzola per le strade pensando solo a Clara, cerca di evitare il passaggio da quelle parti.
Perciò svolta per le vie minori che circondano tutto quel quartiere centrale, osserva attentamente ogni cosa che incontra nel suo camminare, riflette cercando di ponderare al meglio tutti i dettagli che devono essere presi in considerazione, ed alla fine, proprio all’angolo con la strada principale del centro abitato, avvista parcheggiata proprio la macchina di Clara. Non è sicurissimo che sia proprio la sua, però gli sembra impossibile che possa essercene una così uguale a quella che lui già conosce, così strappa velocemente un foglietto tra quelle quasi inutili carte che tiene regolarmente dentro le tasche, e scrive un saluto indirizzato a lei con una matita, lasciando il messaggio piegato sotto ad un tergicristallo. Poi se ne va, anche se gli pare di non aver completato perfettamente l’opera come vorrebbe: domani sarà la medesima cosa riflette, mi dovrò inventare ancora qualcosa; così dopo pochi passi torna subito indietro, riprende lo stesso foglietto e scrive sul retro che il giorno seguente l’aspetterà proprio a quell’angolo, lì dove adesso staziona l’automobile, perché deve dirle qualcosa di estremamente importante.
Non c’è qualcosa di così fondamentale da dirle ad essere sinceri, però nello spazio temporale di un’intera giornata qualcosa si farà pur venire alla mente. Quindi se ne va verso la piazza: può fermarsi dai soliti ragazzi a fare due chiacchiere, bere una birra con calma, ed infine rincasare senza problemi. Ma quando arriva proprio nei pressi delle panchine dove tutti stanno seduti, si accorge che c’è Renato che gli sta andando incontro con passo minaccioso. Gli si para davanti, lo guarda, e senza neppure aprire la bocca per dirgli qualcosa, gli sferra un pugno in piena faccia, facendolo cadere a terra indolenzito e con un rivolo di sangue sopra le labbra. Tommaso incredulo si rialza con calma, gli altri lo guardano senza aiutarlo, quindi si asciuga lentamente la bocca con il suo fazzoletto; poi se ne va, senza trovarci niente da dire.


Bruno Magnolfi