lunedì 26 dicembre 2016

Cena indispensabile.

            

Lei appare triste, specialmente in giornate come questa; lui invece no, ma forse soltanto perché riesce a fingere meglio. Le dice: dai, usciamo, si fa un giro a vedere chi c'è lungo la strada, e magari ci fermiamo a prendere un caffè. Così escono e trascorrono il pomeriggio in questo modo. Quando tornano indietro la casa è sempre la medesima, ed un certo grigiore, intorno alle lampade dell’ingresso che si accendono al loro rientro, sembra creato apposta per rendere tutto quasi insopportabile.
Qualche volta vorrei andarmene, fa lei quasi sottovoce; poi si mette a sistemare qualcosa di poco impegnativo, senza posare gli occhi su niente di particolare. Lui invece la guarda, sorride forzatamente, poi dice che non è il caso di esagerare se anche questo non sembra il periodo migliore della loro vita. Accende la radio, forse per riempire un vuoto colmo di silenzio, e infine si siede sulla sua poltrona, nell’attesa che lei lo raggiunga e gli dica ancora qualcosa intorno alle parole pronunciate poco prima.
Invece non avviene niente: lui prosegue a starsene seduto, lei gira per la cucina sistemando delle cose che probabilmente potrebbero preludere alla cena. Così lui si alza e la raggiunge, proprio nello stesso momento in cui lei esce dalla stanza per andare in bagno. Lui si accorge che sul tavolo non è stato predisposto niente, così apre il frigorifero e controlla cosa sia possibile mettere ai fornelli. Ma non fa niente, non ha nessuna idea particolare, e dopo qualche minuto torna di là, sedendosi nella stessa poltrona dove stava prima.
Apre una rivista, la sfoglia, ascolta una musichetta che gli ricorda piacevolmente qualche cosa, e intanto attende che lei si ripresenti, che lo abbracci da dietro, come fa sempre. Invece, quando lei torna, va diretta in camera da letto, e quando poi apre la porta mostra che si è cambiata d’abito, e indossando sopra tutto la sua giacca pesante, dice semplicemente: esco; ci vediamo più tardi. Lui si alza, la raggiunge lentamente nell’ingresso, e mentre sta per chiederle qualcosa su quella sua uscita improvvisa, lei apre la porta e sparisce in fretta, senza guardare indietro.
Lui torna a sedersi: qualcosa gli è sfuggito nella comprensione di quel comportamento, così ripensa alle parole che si sono scambiati loro due nelle ultime ore, ma gli pare che niente ci sia di sbagliato o di pesante da parte propria. Attende una mezz’ora, si sente agitato, infine si piazza alla finestra, da dove è possibile tenere d’occhio la strada prospiciente. Niente accade sopra ai marciapiedi là di fronte, se non le solite cose di ogni giorno. Lei torna più tardi, quando lui ormai si sente quasi disperato. Accende le lampade all’ingresso, lo guarda mentre si sfila la giacca dalle spalle: dovremo prendere un cane, gli dice con profonda serietà. Mi piace uscire per arrivare a piedi fino ai giardini, per poi starmene lì, a girare tra le aiuole fino a quando non mi sento stanca: non sarà il massimo della vita, però mi fa sentire libera, almeno per qualche minuto; lontana dal grigiore di sempre, da queste stanze senza più un briciolo d’aria fresca.
Lui la guarda, annuisce, infine va in cucina per evitare di appesantire ulteriormente il clima; si potrebbero cucinare degli spaghetti per stasera, le dice senza grande convinzione. Va bene, fa lei, lascia tutto sul tavolo, che ci penso io a preparare qualcosa per la nostra cena.


Bruno Magnolfi  

mercoledì 21 dicembre 2016

Incontro furtivo.

            
            Guardo avanti in questi giorni, dice Leo con serietà ma senza dare troppa enfasi alle sue parole pronunciate comunque a mezza voce. Prima o dopo dovrai fermarti, dice lei in un sussurro, dopo che ha accettato di incontrarlo, anche soltanto per una manciata di minuti, in quel locale tranquillo, fuori mano, dove nessuno evidentemente la conosce. E intanto sono già sulle tue tracce, dice ancora lei; prima o dopo dovrai mostrarti, non puoi stare sempre con la faccia coperta dagli occhiali scuri. Ti tradirai: basta solo una telefonata, qualche curioso che si pone una domanda di troppo su di te, o che magari fa controllare la tua vera identità, prende qualche informazione circa il tuo passato, concedendosi un’incursione veloce in qualcuno dei segreti che nascondi. Tutto sarà perduto in un momento, proprio mentre stai forse cercando quel briciolo di normalità che adesso ti manca, comprando qualcosa da mangiare, o camminando semplicemente in una strada.
            Va bene, fa lui, hai reso l’idea; però mi sembra adesso di dover fare ancora mille cose, di aver bisogno di sviluppare appieno i miei pensieri, soprattutto le mie idee; da quando mi trovo in questa situazione da braccato, pare che tutte le mie riflessioni girino molto più velocemente dentro la mia testa, e che tutto per me si faccia più a portata di mano, quasi facile, spesso almeno fattibile. Mi pare quasi di poter affrontare qualsiasi cosa, di riuscire ad esprimere con i miei semplici sotterfugi, un segnale forte per me e per tutti quanti, tanto da farmi sentire leale, battagliero, consapevole persino dei miei limiti. Certo Leo, dice la ragazza, ma è proprio questa tua sensazione di grandezza e di imprendibilità che probabilmente ti sarà fatale. E’ normale immaginarsi che le cose per te si faranno negative da un momento all’altro, perché sarà così, ed improvvisamente sarà anche tardi, e non potrai proprio farci più niente.
            Lo so, fa lui, ma in ogni caso, per quanto assurdo sia, mi sento bene in questa fase: è come se finalmente avessi trovato una dimensione particolarmente giusta per me, quella che sapevo esserci da qualche parte, ma che fino ad ora non avevo mai tentato; devo guardarmi attorno, questo è chiaro, stare sempre nascosto e sulla difensiva, cercare continuamente coi miei sensi dilatati delle vie di fuga; ma questo non essere esattamente calato nel sistema mi fa sentire a posto, finalmente io, come effettivamente sono sempre stato. Non può durare molto, lo capisco benissimo, ma in ogni caso devo andare avanti in questo modo, perché se non percorressi fino in fondo questa strada, rinnegherei una parte di me, che adesso grida per stare qui al mio passo.
Qualcuno lo guarda dall'altra parte del locale, lei furtivamente prende dei soldi che aveva preparato, e glieli passa rapidamente sopra al piano del tavolo, nascosti dentro un libro. Leo sorride, è una situazione che, per quanto assurda sia, quasi gli piace, come se finalmente avesse trovato la giusta lotta da portare avanti, contro un nemico diffuso e inafferrabile, che lo fa sentire solo ma importante. Scatta un meccanismo, da qualche parte, lei si volta indietro, avviene qualche cosa in fondo a quel locale, come un colpo d’aria che d’improvviso facesse volare le tovagliette via dai tavoli, e mettesse tutti quanti i presenti di fronte ad una realtà non calcolata. Leo è sparito; quando lei si volta verso di lui, lui non c’è più, volatilizzato insieme al libro, e sopra al tavolo è rimasta solamente un’ombra, un’orma di qualcosa che non sarà più nemmeno tanto facile incontrare.


Bruno Magnolfi

lunedì 19 dicembre 2016

Distanze apprezzabili.

            
            E’ proprio lei, dicono alcuni senza aggiungere altro. Dentro al supermercato, tra gli scaffali, in due o tre poi si voltano con curiosità al suo passaggio, ed uno dice subito a bassa voce, con espressione sincera ma con un tono vagamente canzonatorio, che si stenta perfino a crederci. La donna col suo carrello prosegue impassibile, anche se si è accorta benissimo di attrarre per qualche motivo l’interesse su di sé. Le attività del giorno proseguono per alcuni minuti senza troppe incertezze, fino a quando qualcuno, casualmente accanto a lei, sorride al suo indirizzo, anche in modo vagamente sforzato, come a mostrare in una certa evidenza che forse al suo posto ci sarebbe da sentirsi un po’ in imbarazzo. Lei si ferma, lo squadra, gli concede appena un secondo del suo tempo, forse due, poi riprende a camminare con piena normalità.
            Quando esce è da sola dentro al parcheggio subito di fronte; carica sulla sua auto le borse della spesa, e poi sistema il carrello nella rastrelliera, infine però chiude la macchina, e torna sui suoi passi, con andatura calma, fino alle porte scorrevoli del supermercato. Adesso le pare non ci sia più nessuno delle persone che la tenevano d’occhio poco prima, ma lei si accorge come al loro posto una signora, dall’interno delle vetrate, si sia voltata proprio per osservarla, come se già si aspettasse di vederla là fuori. Lei sostiene quello sguardo, ma quella subito mostra forzata indifferenza, pur iniziando a parlottare di qualcosa con le persone che le stanno vicino.
Lei rientra dentro, ed una cassiera sembra subito la guardi, così scorre lungo il corridoio nell'attesa di affrontare la prima persona che, esattamente come poco fa, mostri dipinta sopra il viso quell'espressione giudicante che ha notato in tutti gli altri. Un ragazzo ride mentre si muove rapidamente e quasi di fretta vicino a lei, e lei lo ferma, senza incertezze, prendendolo per un braccio con la mano, senza neanche stringere, ma con un gesto più che eloquente. Quello si ferma, subito si rannuvola, assume di colpo un'espressione seria, quasi preoccupata. Cosa sai di me, gli chiede lei, guardandolo negli occhi con estrema decisione. Non so, fa lui, però dicono tutti che sei una strega, o una donna senza morale, forse una persona completamente diversa da noi; ma a me non importa, lo giuro, mi diverto così, a dare retta a chi ha soltanto voglia di chiacchierare, e dopo basta, non so altro. Lei lo lascia, senza smettere di guardarlo attentamente. Però, dice ancora lui, forse non c’è niente di vero in quanto dicono, non saprei proprio giudicare. Comunque a me in fondo non interessa niente di tutta questa storia.
Lei si volta mentre il ragazzo se ne va, qualcuno la sta ancora osservando, ma non è possibile fare nulla, qualsiasi cosa avvalorerebbe probabilmente quelle dicerie, e poi lei si metterebbe in una luce ridicola dando peso a cose di quel genere. Così esce, mentre qualcuno continua ad osservarla con uno sguardo nascosto. Dovrei smettere di frequentare questo posto, e probabilmente sarebbe la cosa più sensata da fare, ma così sarei esattamente la persona che vogliono dipingere; perciò mi comporterò esattamente come sempre ho fatto, in modo da non dare alcun seguito a quanto viene millantato. E poi che cosa importa: chi vive appresso a cose del genere, con certezza è qualcuno estremamente distante da ogni mio pensiero.

Bruno Magnolfi 


lunedì 12 dicembre 2016

Attesa estenuante.

            
            Sono a terra, dice lei. Edo resta fermo a guardarla appena per un secondo, giusto un attimo prima di cambiare canale, poi però gli suona il telefono. Niente di speciale, una raccomandazione per il lavoro di domani da un suo collega, così con una scusa riattacca abbastanza velocemente, sentendosi a disagio, e poi la segue con calma e gli occhi bassi fino in cucina. Mi pare di aver perso la bussola, gli spiega lei semplicemente, senza neppure voltarsi. Lui resta in silenzio, gli pare assolutamente egoistico abbracciarla adesso, o farla sentire in qualche modo protetta con dei gesti piuttosto scontati. Così si limita a continuare a guardarla, restando in silenzio, anche se con tutto se stesso e con sincerità vorrebbe essere altrove, magari a ridere con gli amici di stupide battute senza alcun impegno e che non fanno neanche troppo pensare. Invece sta lì, insieme a lei, ed adesso probabilmente deve inventarsi anche qualcosa, trovare una frase o la parola giusta che possa distogliere l’interesse della sua donna da quel tema penoso. 
            Va bene, le dice di slancio: stasera si esce, si va fuori a cena, poi anche al cinema, dove vuoi tu, possiamo invitare qualcuno dei tuoi amici, parlare di tutto quello che vuoi, e tornare a casa tardi come sempre, distrutti dalle risate e dall’esserci dimenticati di qualsiasi apprensione. No, Edo, non questa sera, fa lei. Lui vorrebbe annullare tutte quelle parole ed essere di nuovo lì, davanti alla sua televisione, a seguire un qualsiasi programma, anche senza grande interesse; ma non lo può fare, e per questo si sente a disagio, non riesce a pensare un bel niente, se non a quelle parole dette da lei, che gli provocano soltanto uno schifo naturale, tanto che non vorrebbe mai più sentirle.
            Esco, fa lei d’improvviso; devo camminare da sola e respirare un poco di aria fresca, nient’altro, non preoccuparti per me. Lui non dice niente, ne segue i movimenti ma senza riuscire a guardarla in modo diretto. Lascia che lei si metta il giubbotto, che apra la porta, gli getti un’occhiata e poi se la chiuda alle spalle, tornando dopo un attimo, una volta da solo, a riaccendere la fida televisione. Le passerà, riflette, la mia disponibilità naturalmente c'è tutta, si tratta di capire di cosa effettivamente abbia bisogno. Dopo mezz'ora lei torna, la medesima espressione di prima, va in bagno, forse a piangere un po', infine torna, Edo la segue in silenzio con gli occhi, seduto sopra al divano. Non è colpa tua, fa lei; ma io non sopporto più questo trascinarci da un giorno all'altro con i medesimi gesti, la stessa inutilità delle parole che usiamo. Lui vorrebbe spengere di nuovo la televisione, ma siccome gli parrebbe di dare troppa importanza a quegli argomenti, la lascia accesa, limitandosi ad abbassare il volume e a non guardarne lo schermo.
Devo andarmene, fa lei, almeno per un breve periodo. Ma come, pensa Edo, non dovevamo affrontare insieme le cose? Lui si alza, va in cucina e poi torna con una lattina di birra, quindi si siede sopra un bracciolo, dice soltanto che gli pare tutto vagamente assurdo. Lei lo guarda dritto dentro gli occhi: non siamo uguali, gli dice; viaggiamo con velocità differenti, forse dovremo studiare un metodo per compensarci. Edo abbassa lo sguardo, gli piacerebbe suonasse il telefono in questo momento, o almeno giungesse un messaggio, perché quel silenzio gli sembra estenuante. Come vuoi, le dice alla fine, con un groppo alla gola; tanto puoi sempre trovarmi qui, ad aspettarti.


Bruno Magnolfi 

lunedì 28 novembre 2016

Perfetta comprensione.

      

            Il parrucchiere Marcello è gentile, dice Armando alla mamma; anche se la sua gentilezza in tutti questi anni da quando vado in quel suo negozio, a me non è mai rimasta troppo simpatica. Spesso lui regala intorno a sé battute di spirito, normalmente cose abbastanza scontate, a cui tutti i clienti del suo esercizio sembrano ridere quasi forzatamente, proprio per fargli piacere e nient’altro; e poi parla di continuo, non si ferma quasi mai, anche quando io e tutti gli  altri proviamo forte il desiderio di starcene un po’ più tranquilli, mentre come al solito ci ritroviamo purtroppo seduti con le nostre cose da leggere su quei sui scomodi e ordinari divanetti, ad aspettare pazientemente il nostro turno per tagliare i capelli o la barba.
            Vedi mamma, dice lui: a me già non piace il pensiero di quando Marcello inforca le forbici ed inizia a tagliarmi le ciocche; per questo sto per tutto il tempo in tensione: una parte di me, bene o male, se ne andrà a cadere per terra, continuo a riflettere, ed in seguito verrà spazzata via senza mezze misure dalla scopa di quell’aiutante di bottega, quel ragazzetto che ridendo come un ebete affronta qualunque cosa in maniera sbagliata e svogliata, senza metterci impegno. Devo, questo il punto, perché non posso lasciare che i miei capelli crescendo si riversino ancora quasi sopra le spalle, come già qualche volta è accaduto. Ma fosse per me, lo dico sul serio, lascerei che fosse soltanto la natura ad imporre la loro definitiva lunghezza. In ogni caso la giornata da me scelta per andare da Marcello è sempre una giornata oltremodo triste, un passaggio praticamente obbligato, e so perfettamente mentre percorro il tratto di strada che mi porta da lui, che non sarò affatto contento quando rifarò lo stesso percorso al contrario, qualsiasi possa essere il tipo di taglio che viene deciso.
Sto lì, quasi con rassegnazione, mamma, spiega Armando, e aspetto che le cose si compiano; e poi tocca a me, e Marcello ancora continua a parlare quasi non facesse differenza tra un cliente ed un altro. È tardi, dopo il mio turno è rimasto soltanto un anziano che pare stia lì con indifferenza, tenendo lo sguardo perso chissà verso dove, come non avesse, beato lui, alcuna preoccupazione. Io penso, dice ancora, che sarebbe bello per me potermi addormentare su questa poltrona girevole, proprio davanti allo specchio, e svegliarmi soltanto quando tutto sarà sostanzialmente finito. Ma lui invece fa: è un pezzo che non ci vediamo, mentre mi pettina la frangetta. Facciamo un taglio come quelli soliti?, mi chiede mentre già inizia a sforbiciare qualcosa. Annuisco, cerco il più possibile di stare rilassato, non vorrei mai dovergli spiegare qualcosa peraltro piuttosto difficile da dire, e in ogni caso mi sento ancora più nervoso, tanto da immobilizzarmi su questo sedile, pronto comunque a lasciarmi fare quello che a questo punto forse nessuno potrebbe limitare a quelle sue mani.
Naturalmente oggi, ad un tratto, senza che niente di particolare lo avesse annunciato, mi ha chiesto di te, sai mamma, dice ancora Armando; come fosse una domanda qualsiasi, la sfumatura di un argomento normale tra tutti quelli che affronta Marcello durante la sua intensa giornata di lavoro. Così mi sono paralizzato, come ogni volta succede, ed ho soltanto detto qualcosa senza alcuna importanza, nell’attesa che anche quel tema passasse. Lui ha continuato a tagliare, ha sforbiciato davanti e di dietro senza alcuna preoccupazione, piegandosi sulle ginocchia come fosse un artista di calibro. Poi ha tolto il telo, mi ha spazzolato fin sulle spalle, ha detto che aveva finito, ed io gli ho dato i suoi soldi, senza neppure guardarlo, fino a quando mi sono trovato con la mano sulla maniglia; e prima che lui mi dicesse come al solito di salutarti, l’ho prevenuto: ciao Marcello, gli ho detto duro, pensando intensamente che non sarei mai più tornato là dentro, in nessun caso. E lui stavolta, con ogni probabilità, ha compreso perfettamente.


Bruno Magnolfi 

mercoledì 23 novembre 2016

Semplice antiquariato.

           
            Oltre lo schermo di questi miei poveri occhi, semplicemente protetti ma anche esaltati dalle lenti di vetro che porto sul naso, comprendo ogni giorno che c’è soltanto molta diffusa abitudine in ogni comportamento di tutti, dice Natan. Osservo i modi di fare di parecchie persone che conosco da tempo, magari mentre salutano gli altri, o quando passano davanti a questo piccolo negozio dove lavoro da sempre; e mi rendo conto ogni volta di quanto tutto l’insieme di queste piccole cose che compongono la mia giornata, sia dettato alla fine soltanto da elementi senza molta importanza, certe volte addirittura dallo stesso semplice sentire di ogni cliente che passa da qui, come se la sensazione di un individuo opportunamente immerso in un ambito, fosse il suo stesso recinto, la sua piccola oasi, spesso neanche riconoscendo lui stesso, persino in piena onestà, il proprio mostrare in questo modo l’appartenenza ad un gruppo.
            Guardo fuori dalla vetrina dei miei libri antichi, spiega Natan con calma a questo cliente. Ma non c’è nulla che riesca a trascinarmi oltre l’immagine che tento di assumere, sotto l’insegna indiscutibilmente in ebraico che mi sormonta. Entrano i soliti clienti, spesso mi dicono cose che conosco oramai alla perfezione, e che comunque mettono velocemente in sintonia le nostre conoscenze reciproche. Si sorride, si fanno cenni di assenso, poi ognuno di loro in piena libertà acquista qualcosa per la sacrosanta voglia di sentirsi più unito ai suoi simili, sullo stesso versante, fratelli anche oltre qualsiasi possibile supposizione.
            Il cliente resta freddo, non ha voglia neanche di annuire alle affermazioni del negoziante. Prosegue, pur ascoltando con attenzione, a prendere in mano i vecchi volumi ed a saggiarne la carta, l’integrità, la consistenza; alla fine farà un buon acquisto, pensa Natan, che ormai sa riconoscere a prima vista il personaggio giusto per la sua bottega di antiquariato della cultura. L’altro prende tempo, dice ad un tratto che i tempi sono molto diversi da quelli di una volta. Non c’è alcuna possibilità di sentirsi vicini, oramai, se non questo vecchio sentore di polvere, di carta ingiallita, di antico trascorso tra le mani di qualcuno a noi simile.
Natan allora gira su se stesso, fin oltre il suo vecchio scrittoio che funge da bancone di vendita, aspira l'aria quasi per incoraggiare il cliente, ma questi sembra come allontanarsi improvvisamente da quei libri, come desiderasse soltanto trattenersi in quell'ambito appena per qualche minuto, giusto per concludere la chiacchierata, e poi basta. Chissà se è stato giusto parlare proprio con questo cliente delle mie sensazioni, pensa lui con rassegnazione. Non ha alcuna importanza, riflette ancora Natan: va tutto bene se riesco ancora a comprendere quanto qualcuno sia capace di stare all'altezza di tutto questo. Che poi riesca a fargli fare un acquisto, è già un elemento superiore, e non sempre le cose vanno proprio per il verso che si desidera. Il cliente infine lo guarda, chiede di avere ancora tra le mani quel volume prezioso che ha osservato maggiormente, più di ogni altro. Decide l'acquisto, anche se il prezzo gli pare eccessivo, così tergiversa, prende ancora del tempo, chiede un pagamento da effettuare in più volte. Natan sorride, a questo punto, annuendo a tutte le richieste che vengono fatte: non c'è proprio niente di differente con tutti gli altri, pensa risoluto alla fine; siamo simili, inutile stare a negarlo.


Bruno Magnolfi

domenica 20 novembre 2016

Fuori dalla mischia.


La donna guarda avanti a sé mentre cammina lungo la grande galleria, e intanto spiega il suo punto di vista. L’altra ascolta per un po’, a tratti annuisce, e infine dice: sono d’accordo; non potevi proprio fare altro. E lei: è chiaro, non era possibile in nessuna maniera dargliela vinta senza dimostrare che il mio punto di vista era diverso, così ho finto completa indifferenza per quella sua stupida uscita. Il centro commerciale adesso è pieno di persone, fuori piove a tratti, la gente là dentro si sente come protetta e fortunata, e tutti vanno avanti e indietro senza sosta, forse nella ricerca di qualcosa, o magari per sentirsi semplicemente immersi in mezzo agli altri.
Lei si ferma, osserva con interesse un capo di abbigliamento esposto dentro la vetrina di un negozio, poi alla fine dice: mi piacerebbe però riuscire a fargliela pagare. L’altra sorride: certo, per questo non dovresti avere troppi problemi. E lei: è vero, ma non vorrei sbagliare gesto e fare soltanto la figura della vendicativa. D’accordo, fa l’altra, la sua superficialità però prevede che ti posizioni ben più in alto di quelle sue sciocchezze. In fondo io non gli chiedo molto, dice lei ricominciando a camminare. A me basta non essere trattata mai come una qualsiasi, e che si tenga conto in ogni caso della personalità che esprimo. E l’altra: sono d’accordo, un atteggiamento del genere da parte sua è ciò che di peggio possa capitare ad una come te.
La folla si muove quasi tutta in una certa direzione, e loro due si lasciano quasi sospingere dagli altri. Resta comunque una differenza di fondo tra di noi che non porterà mai niente di buono, dice lei. E l’altra: credo proprio tu debba dare una spinta a questo aspetto, in modo che se anche le cose sono destinate ad incrinarsi, almeno succeda subito, senza strascicare un rapporto indirizzato prima o poi verso la fine. Hai ragione, dice lei; siamo diversi, inutile girarci attorno, e questo almeno per me è un grosso problema. Lui non mi cerca, non mi fa sentire importante, non mi concede la fiducia che vorrei. Lascia che le scelte per noi due siano solo le mie, e poi si limita quasi sempre ad annuire, senza mostrare mai entusiasmi.
Devo lasciarlo, dice ancora lei. E l’altra: se ti senti di dover fare questa cosa, è meglio tu la faccia subito. Forse come vendetta magari è anche un po’ troppo, riprende lei. Però potrebbe darsi il caso che in seguito lui mi cercasse con maggiore impegno, e questo atteggiamento potrebbe far cambiare molte cose. Certo, dice l’altra; hai tutto da guadagnare nello smuovere le acque. Intanto loro due sono arrivate ad uno degli ingressi principali del centro commerciale, e la gente in questa zona pressa ancora di più, visto che fuori adesso piove forte. Scansiamoci, fa lei, evitiamo questa gente, basta spostarci al margine del corridoio. Poi riprendono come prima a camminare lentamente, evitando ogni poco qualcuno che viene loro incontro.
Ho deciso, dice lei alla fine. Aspetterò che lui dica qualcosa, mentre io cercherò di rimanere in silenzio il più possibile. Dovrà chiedere il mio parere prima o dopo, ed io a quel punto gli dirò quello che penso, senza falsità, senza costruzioni artificiali. Gli spiegherò che non sono il tipo di persona che si astiene dal combattere, e dargliela vinta sulle sue contraddizioni non può essere il mio stile. Brava, fa l’altra; è così che mi piace il tuo comportamento, quando tiri fuori del carattere, e riesci ad essere te stessa, senza compromessi. Già, fa lei; tutto vorrei salvo i compromessi: e in ogni caso intendo essere apprezzata per come sono veramente, e mai per come potrei essere.


Bruno Magnolfi

lunedì 14 novembre 2016

Destino oscuro.

            

            Mi scusi capitano, ma sono sfinito: sarà per l’essere stato rannicchiato per tante ore in questo nido, o anche per il rumore di tutti i proiettili che con fatica forse mi è riuscito di mettere a segno, e pure per il mio dito che a furia di stare sempre premuto sopra il grilletto del mio emmegi, sembra adesso quasi diventato un pezzo di legno, proprio staccato dal resto del corpo. Va bene, sergente, adesso cerco di farti sostituire, ma spero almeno tu abbia tirato giù qualcuno di quei bastardi. Penso di sì, tre o quattro li ho visti infilare di corsa in mezzo a quelle macerie, forse li ho colpiti per davvero. Riposati un po’, non più di cinque minuti comunque: purtroppo un camion dei nostri, non molto lontano da qui, è saltato poco fa sopra una mina, e dal comando ci hanno chiesto di mettere su, proprio dove siamo noi, un avamposto per l’artiglieria. Ed io non so se ce la faremo, visto che su quel camion c’erano dei rinforzi destinati proprio a noi, che adesso non so nemmeno quale fine abbiano mai fatto.
            Ho bisogno di riposare, capitano, e anche di calma: se vado ancora avanti in questo modo, rischio di fare delle cose insulse. Lo so, lo so, ma se non proseguiamo col fuoco addosso a quei musi di scimmia, quelli tirano su la testa, riprendono fiato, si renderanno conto velocemente che siamo solo in pochi dietro queste case. Sergente, so che posso contare sul suo appoggio incondizionato, ed anche se lo sforzo che le chiedo risulta per lei notevole, ed io me ne rendo conto benissimo, l’ordine perentorio in queste condizioni è quello di tornare al più presto possibile alla sua postazione. Non posso, dice allora il sergente, non ce la faccio; piuttosto mi espongo al fuoco nemico, mi arrendo, fingo di essere stato colpito e mi sdraio in mezzo alla polvere. Non dica sciocchezze sergente, non siamo venuti qui per giocare, il nostro dovere viene ancora prima di tutto.
Va bene, però adesso mi metto qui, dice lui mentre si siede con la testa tra le mani; mi pare quasi impossibile essere arrivato fino a questo punto. Perché vede, capitano, a me quella gente che abbiamo di fronte, non ha fatto proprio nulla di male, e forse comprendo anche il loro punto di vista, considerato che siamo noi ad essere giunti fino qui a sparargli addosso e farli fuori. Non diciamo sciocchezze, sergente, la guerra non è qualcosa che decidiamo io e lei su delle basi così sciocche e superficiali, ci sono sicuramente interessi più alti e più importanti che hanno determinato queste azioni, noi dobbiamo solo obbedire e fare al meglio possibile il nostro dovere. Va bene, fa lui, ma adesso che ho visto da vicino che cosa significa tutto questo, mi sento quasi un obiettore di coscienza, tanto mi ripugna il sangue che devo far versare; e tutta quella gente che ho inquadrato nel mirino, mi ricorda parecchio molte delle persone del mio paese, gente uguale a me, insomma.
Sergente, non mi costringa a metterla agli arresti. Questi non sono discorsi degni di un soldato. Può darsi capitano, dice lui, però qualche dubbio può prendere a chiunque, non le pare possibile anche a lei? Senta sergente, non c'è più tempo per stare a tergiversare: o torna al suo posto, oppure disobbedisce ai miei ordini, prenda una decisione finale. Faccio poco volentieri quello che mi chiede, dice lui; tra due minuti andrò ad infilarmi di nuovo dentro il buco, dietro ai sacchi di sabbia e camuffato tra le pietre, ma oramai non sono più convinto di un bel niente, vorrei morire io al posto di qualcun altro a cui debbo sparare, mi pare tutto diventato così poco credibile. Ecco, sergente, le dò un po' d'acqua dalla mia borraccia, spero che bevendola assuma anche un po' del mio coraggio. Lo spero, capitano, ma può anche darsi che nella confusione riesca a versare tutta l’acqua nella polvere, tanto mi tremano le mani pensando a quei suoi ordini. E forse anche al suo destino.


Bruno Magnolfi

venerdì 11 novembre 2016

Vapore acqueo.

            

            Lui oggi si sente ombroso, taciturno; si è sistemato sulla sua poltrona preferita, con la lampada vicina, ed è rimasto lì per tutto il pomeriggio, a leggere qualcosa e prendere appunti. Lei ad un certo punto è rientrata, lo ha salutato come sempre, senza grande enfasi, osservandosi attorno quasi con un'ombra di sospetto; poi è andata a cambiarsi, ed infine è tornata per sedersi in silenzio, sistemandosi vicino al vecchio tavolo del salotto, proprio di fronte a lui. Mi fa bene ogni tanto starmene un giorno a casa lontano dal mio lavoro, ha detto lui. Lei ha annuito, ma secondo il suo parere non c’era molto da dire: è così per tutti, pensava, anche se non ha ritenuto di dover ribadire niente. Dobbiamo cambiare, ha spiegato invece lei sottovoce, dopo una pausa. Non si può tirare ancora avanti in questa maniera insopportabile. Lui l’ha guardata senza cambiare espressione, quasi si aspettasse un’uscita del genere, ed infine le ha steso una mano, senza spostarsi, come per invitarla verso il suo posto; in quel gesto evidentemente si rannidavano alcune speranze, ma lei si è alzata con indifferenza ed è subito andata verso la finestra, forse per sentirsi più libera, più indipendente da quel gesto di lui, anche se poi si è girata per guardarlo di nuovo e con maggiore attenzione.
            Fuori la giornata è più fredda, aveva pensato un attimo prima, trattenendo nella sua mente l’immagine di quel cielo grigio visto fuori dai vetri; ma è così che mi piace l’autunno, col vapore che fa già la nuvoletta quando ti esce di bocca. Resta evidente come lui non voglia affrontare quell’argomento, non adesso comunque, e così si comporta come ha fatto sempre, restando a lungo in silenzio, lo sguardo perso altrove, forse nella speranza di alleggerire magari in parte quel clima. Ho intenzione di andarmene, almeno per qualche tempo, dice lui alla fine, cercando probabilmente un rilancio un po' alla disperata, ritrovandosi, così come si sente, preso alle strette, ed anche nella convinzione che una cosa del genere possa in qualche modo rimetterlo in gioco. Certo, fa lei, puoi farlo, ma non cambierà di una virgola quanto resta qua dentro.
            Solamente adesso lei, riavvicinandosi al tavolo, nota appoggiata sul piano, la stampa di una singola prenotazione aerea per sola andata, che in fondo spiega quanto le sue parole siano assolutamente fondate. Va bene, dice sentendosi improvvisamente ancora più nervosa e meno accondiscendente nei confronti di lui; vedo che hai già portato le cose in avanti. In fondo è meglio per tutti se passiamo un periodo senza vederci, fa lui. Non lo so, dice lei; forse riesce soltanto ad allontanare momentaneamente i problemi. Lui allora si alza, affonda le mani dentro le tasche, gira su se stesso e va verso quella stessa finestra che si affaccia su un minuscolo giardino accanto alla strada. La giornata è più fredda, pensa di slancio, le persone camminano e rilasciano un sottile vapore visibile in aria, mentre respirano.
Ho voglia di caldo, dice alla fine, spingersi verso sud può essere una buona idea. Lei si sente come punta sul vivo, torna a dargli le spalle prendendo in mano quel biglietto per osservarlo con maggiore attenzione, poi: ormai posso soltanto prendere atto delle cose che hai intenzione di fare, dice con un certo sarcasmo. Può anche essere un semplice invito, quello che ti stai ritrovando sotto gli occhi, dice lui mentre continua a guardare la strada; non ci vuole poi molto a trasformare una fuga dai nostri problemi, in una vacanza per due di grande piacere. No, grazie, sentenzia lei, ho altri programmi. Come vuoi, dice lui, in ogni caso più riduci ogni mio spazio di manovra, più significa che hai già stabilito dentro di te il nostro futuro. Futuro, fa lei sorridendo con una certa amarezza; mi pare qualcosa di molto nebuloso, almeno in mezzo a tutti i pensieri che ho. Può darsi, fa lui, in ogni caso nessuno di noi due sembra convinto di come vada disegnato, tanto vale iniziare a prendere un foglio di carta e delle matite. Ci penserò, dice lei quasi con stizza. Poi lui gira la maniglia, forse per assaporare l'aria di fuori, e spalanca in silenzio quella finestra: entra dentro un bel freddo asciutto adesso, ciò che naturalmente si poteva già immaginare osservando il panorama dai vetri; e tutto il vapore di quella stanza pare improvvisamente andarsene via.


Bruno Magnolfi

lunedì 7 novembre 2016

Spazzatura elettronica.

           
            Adesso è giunto il momento in cui mi sento proprio stanca, dice lei parlando quasi in un soffio. Stanca delle tue maniere, del tuo monotono essere sempre uguale a te stesso. Hai fatto la scorza con quelle poche cose di cui ti interessi, nel muoverti per casa in una maniera sempre così prevedibile, senza mai alcuna variazione. Ho continuato per anni a farti notare come poco per volta ti andavi riducendo, ma tu hai sorriso ad ogni mio debole appunto, ed hai tirato dritto senza preoccuparti minimamente di quanto dicevo. Forse perché, con tutto il rispetto che ho costantemente avuto nei tuoi confronti, ho sempre cercato comunque di non farti affatto pesare le cose che spesso continuavo ad esplicarti, usando sempre parole dai toni morbidi, e ammettendo che quanto dicevo in fondo era soltanto un parere, una mia interpretazione.
            Certe volte non mi sono fatta trovare, dice ancora la donna, e ti ho lasciato uno stringato messaggio con cui ti comunicavo che forse sarei tornata più tardi, che avevo qualcosa di importante da fare, magari che ero in giro con qualche mia amica, e che la cena comunque era pronta, e potevi andare avanti con le tue cose anche senza di me. Poi ritornavo, e ti trovavo nella stessa maniera di sempre, indifferente a qualsiasi variazione, persino lontano da ogni pensiero dettato dalla curiosità. Quasi sdraiato, come ogni sera, perso davanti alla televisione, e senza un minimo di cura per te e per le cose intorno al tuo evidente egoismo.
            Poi ho cercato di stimolarti, dice lei abbassando ancora la voce; l’ho fatto cercando qualcosa che potesse in qualche modo coinvolgerti, che ti desse una spinta per uscire una buona volta da quel tuo solito bozzolo, e per molte delle cose che ho messo insieme, ho finto addirittura che ti arrivassero quasi per caso, per non farti pesare niente di me, neppure quelle piccole idee. Ho sorriso, in certi casi, quando al contrario ci sarebbe stato da piangere, ma ho sempre voluto trovare un'altra possibilità da concederti, anche se tu ogni volta hai sempre trovato il modo di neutralizzare tutto quanto. Ed ho smosso il più possibile almeno ciò che ho potuto, se non altro per darti l'impressione che il resto del mondo intorno non è fermo, come invece sei tu; ma senza alcun risultato.
            Il tuo unico sforzo è sempre stato soltanto quello compiuto per il tuo lavoro, spiega lei con ancora più calma; impegno peraltro portato avanti giusto in qualche maniera, e accompagnato perfino da continue lamentele nei confronti dei colleghi, del tuo capo, dell’organizzazione generale, e anche degli orari a cui ti sei spesso sentito costretto. La liberazione che hai sempre avvertito, giungendo alla fine del tuo turno lavorativo, non è però mai stata controbilanciata da una vera voglia di fare, di recuperare almeno qualcosa, come se il resto del tempo a tua disposizione potesse essere risolto in un niente completo, che peraltro in questa maniera non può neppure riuscire a darti lo slancio per impegnarti di più e più proficuamente proprio in quel tuo mestiere.
Infine, adesso appena sussurrando, la donna dice di nuovo ma con altre parole ciò che ha appena spiegato; non è facile, pensa subito dopo, aver trovato il momento adatto per dire a lui tutto quanto, anche se solamente in una registrazione di questo mio cellulare. Poi arresta la memoria elettronica, ed osserva a lungo quel file, un piccolo scarabocchio sopra lo schermo, così importante da contenere ormai quasi tutto di quei suoi pensieri, di ciò che ha sempre avuto presente, tutto quello che a lui avrebbe sempre voluto spiegargli. Poi però lo cestina, con un semplice clic.


Bruno Magnolfi

sabato 5 novembre 2016

Insegnamenti ordinari.

          
            L’ampio salotto di casa risulta ingombro, più che da mobili antichi, da un arredamento evidentemente ormai vecchio, invariato da diversi decenni, ed il grande tavolo di legno centrale rimane posizionato sopra un tappeto un po’ logoro, a coprire un pavimento di un vago colore rosso scuro, ben incerato però, e costituito da piastrelle di una normale graniglia di marmi. L’anziana signora vorrebbe dirgli qualcosa, mentre continua con dedizione ad impegnarsi su un piccolo lavoro di cucito, seduta nell’angolo più luminoso di quella stanza, ma lui sembra distante, pur seduto a quel tavolo, interessato com’è dalla lettura di un articolo del suo giornale.
            Dobbiamo essere maggiormente concreti e realisti, e pensare che le cose da ora in avanti possono persino peggiorare, vorrebbe forse spiegarle lui, magari soltanto per smuovere qualcosa della sua sensibilità residua, probabilmente ancora presente nella vecchia mentalità della sua mamma, pur così restia a qualsiasi cambiamento; ma di fatto, immobile sopra le pagine scritte, allontana subito da sé quell’argomento, ad evitare che le parole e le frasi possibili, inanellandosi velocemente tra loro, portino verso chissà quali discorsi, che adesso secondo lui non è proprio il caso di affrontare. Lei invece, nello stesso momento, in qualche maniera riesce persino ad immaginare proprio quei pensieri del figlio, mentre stanno sull’orlo del farsi parole, ma sapendo già l’argomento a cui si potrebbero riferire, si sente poco propensa a spianargli la strada di quel dialogo, e così resta in perfetto silenzio, nell’attesa magari di una prova decisamente più convincente di personalità, da parte di lui. In più sa che è quasi l’ora del tè, un rito praticamente irrinunciabile per una come lei, eppure resta in attesa, come se dovesse essere proprio suo figlio a ricordarglielo. Infine sbuffa, muovendo sensibilmente le mani e insieme il pezzo di stoffa a cui sta lavorando, e lui, proprio per non darle soddisfazione, finge di non accorgersi praticamente di niente.
            Allora lei si alza, appoggia con cura le sue cose, poi senza fermarsi chiede a suo figlio, ricordandosi d’improvviso che ha oramai quasi cinquant’anni, se desiderasse una tazza di quel tè che proprio in questo momento sta andando in cucina per preparare, ed infine esce dalla stanza, dopo lo scontato diniego di lui, che non ha mai gradito, in tutta la sua vita, quella bevanda. Lui allora ne approfitta per alzarsi dal tavolo, andare alla finestra, e scansando la tendina, guardare fuori con occhio indagatore quel minimo panorama invariato da sempre, per poi tornare a sedersi, quasi nella stessa posizione di prima. Le giornate si sono accorciate, pensa di dire alla mamma appena lei sarà tornata con la sua tazza fumante, ma quando questo avviene davvero, gli sembra improvvisamente una frase talmente scontata da sentirsi quasi in obbligo di evitare l’apertura della sua bocca. Anche lei probabilmente pensa la medesima cosa riguardo i pomeriggi sempre più brevi, tanto da accendere una lampada accanto alla sua postazione, una volta seduta; ma anche a lei forse risulta un argomento troppo banale.
            Allora il figlio si alza, indossa con metodo la sua giacca pesante, e dice che adesso andrà a fare due passi, per tornare tra un’ora o poco più, proprio per aiutarla a preparare la cena; lei lo osserva un momento, sollevando lo sguardo sopra le lenti dei suoi occhiali, e dice soltanto: va bene, senza espressione, e nient’altro. Ha ancora molte cose da imparare, pensa subito dentro di sé, mentre ascolta in fondo all’ingresso, il portone aprirsi e richiudersi: e forse non c’è più neanche il tempo per insegnargli davvero qualcosa.


            Bruno Magnolfi 

venerdì 4 novembre 2016

Dialogando.

          
Lei è immobile in questo momento, ne ha pienamente coscienza. Apre le persiane di casa ogni mattina prestissimo, come ha sempre fatto, ogni giorno all'incirca alla medesima ora, ed assapora quell'aria da fuori che gira e si avvita lentamente nel vuoto, come se all'interno del suo appartamento dovesse arrivare dalle altre case un possibile annuncio di chissà quali incredibili notizie. È ancora presto, lo sa benissimo, ha tutto il tempo che vuole per fare tutto quanto con calma, e continuare persino ad osservare quel niente che riesce a vedere, forse piuttosto monotono, ma indubbiamente rassicurante, quel vuoto buio e completo da cui è circondata. Quando torna a chiudere i vetri e rientrare, sembra proprio, tramite quel pizzico di volontà che la spinge ad occuparsi di sè, che tutta la macchina che la circonda, pur lentamente, inizi poco per volta a mettersi in moto, ed ecco che i primi pensieri la colgono, soprattutto riguardo quelle iniziali piccole preoccupazioni di sempre, comuni a chiunque in qualsiasi altro giorno, e praticamente anche oggi senza grandi variazioni di sorta.
Quando infine esce da casa, pronta ad affrontare i suoi compiti, quell’aria che le era tanto piaciuta affacciandosi dalla finestra, adesso le appare decisamente più ostile, quasi uno schiaffo, così disumana ed estrema, come d’altronde lo è perfino il suo passo, che risuona, in quell’aria di tutti, a lei ancora più estraneo, cadenzato e sgradevole, come un ticchettare nervoso che la perseguita lungo quel tratto di strada fino alla fermata degli autobus. Ci sono sempre le solite facce a quella fermata, così lei per evitare chiunque, spesso si finge distratta, e quando dopo pochi minuti arriva il suo mezzo pubblico, lei sale di scatto, quasi sorpresa della sua prontezza e del suo ordinario prendere subito posto. La solita gente di ogni giorno forse la osserva, ma lei torna a guardare qualcosa dal finestrino, mostrando completa indifferenza, mentre ad ogni fermata si accomoda meglio lì dove si trova, ed inizia a costruirsi la sua personale atmosfera.
Più tardi si sentirà maggiormente protetta, avvolta come sa essere, poco per volta, da una sorta di materiale trasparente e invisibile conosciuto soltanto da lei, che le permette di stare con gli altri, ma comunque difesa da loro. Parla, sorride, affronta ogni argomento con personalità, e la logica che la sorregge è quella di sempre, la stessa che adopera per qualsiasi suo compito. Rientra a casa, nel pomeriggio, e torna a socchiudere la sua finestra, come se le mancasse quell'aria che rammulina soltanto da quelle parti, fuori dai vetri, e scioglie finalmente quella corazza da cui è stata protetta fino a questo momento. Non c’è niente nelle sue stanze, nulla che le possa davvero piacere; eppure qualcosa la tiene quasi inchiodata là dentro, come se non ci fosse altro luogo capace di darle una rassicurazione paragonabile a quella che prova.
Si muovono le tende della sua finestra ancora socchiusa, lei adesso si perde a girare per casa con calma, conservando la voglia perenne di tornare ad uscire, di spingersi di nuovo là fuori ad affrontare tutto ciò che può trovarsi di fronte. La finestra le parla, le dice qualcosa che pare quasi una nenia infantile, un sussurro a cui lei non riesce in nessun modo ad opporsi; infine si siede però, e riesce a rilassarsi davvero: la sua tenda ora è ferma, gli infissi, con l’ultimo piccolo colpo di vento, si sono chiusi da sé, e lei adesso è tranquilla: il dialogo può continuare.


Bruno Magnolfi

sabato 29 ottobre 2016

Rimozione forzata.

           
            La mattina Renato esce presto per recarsi al lavoro, e qualche volta quando è in ritardo percorre in auto una stradina strettissima, compresa per un lungo tratto tra due alti muri di pietre, giusto per accorciare di circa cinque minuti. È ancora buio, i fari rischiarano il tratto della via davanti ai suoi occhi, ma soltanto per un attimo, perché ad ogni metro, appena il suo mezzo ha transitato, tutto ricade di colpo dentro la notte silenziosa, una densa melassa indistinguibile che a quell’ora continua ad avvolgere qualsiasi particolare. La sua macchina è vecchia, piena di rumori e di cigolii, ed il fondo stradale mette ogni giorno a dura prova le sospensioni e le gomme. E’sufficiente un attimo, gli occhi che ancora si stringono per il sonno interrotto, forse il dondolio del suo seggiolino, e quella persona che sta camminando, o che forse corre, sul lato sinistro davanti ai suoi fari, sbuca di spalle nel fascio di luce, senza alcun minimo preavviso, in un posto proprio dove non c’è mai stato nessuno fino ad oggi, come una pennellata di semplice grigio, comunque qualcosa di una tonalità poco visibile, subito fuori dal parabrezza, vicinissima, quasi apparsa dal niente. Renato riesce a non prendere in pieno quel mucchio di stoffa sopra ad una vaga forma da uomo, e ne accarezza semplicemente con la carrozzeria forse il braccio, forse il fianco; ma anche quel poco che avviene è già sufficiente per sbattere violentemente quel cencio contro il muro vicino, quel qualcosa che non avrebbe proprio dovuto essere lì, senza tentare neppure il minimo accenno di una frenata che lasci una traccia sopra l’asfalto.
            Si sofferma un momento, si guarda insistentemente dietro le spalle, il piede sul freno, il rosso dei fanalini che non lascia vedere quasi un bel niente, poi Renato reinserisce la marcia e va via, il cuore che batte a velocità supersonica, le mani che tremano, la bocca già secca, la faccia piegata in una sola espressione. Guida lentamente, subito dopo, e quasi non ce la fa, intorno non si vede nessuno, alle sue spalle c’è soltanto il buio della notte, privo di qualsiasi riferimento. Non riesce a togliersi quella fisionomia dalla mente, quel guizzo veloce davanti ai suoi occhi, forse il contorno di un assurdo fantasma sbucato dal niente. Semmai una persona che in ogni caso non avrebbe dovuto trovarsi là fuori, e che se l’è proprio andata a cercare, probabilmente un qualsiasi sbandato, uno a cui non interessava neppure lasciarsi sbattere contro quel muro. O magari tutto quello era stato solo uno scherzo: uno spaventapasseri di stoffa messo al bordo di quella strada per impaurire qualche povero cristo di passaggio, un pezzo di cartone sagomato che con il vento poteva essersi mosso, come una qualsiasi bandiera. Certo, Renato avrebbe dovuto fermarsi, tornare indietro, rendersi conto perfettamente di quanto accaduto, ma adesso non c’era più il tempo, era già in ritardo per il suo lavoro, e poi cos’altro poteva mai essere quel fantoccio che non aveva neppure fatto rumore cadendo.
            La strada si immette in una via più transitata, ed altri veicoli adesso si incrociano tra loro, Renato non ha ancora perso del tutto quel tremore iniziale, però si è quasi convinto che in fondo non è successo quasi un bel niente, può comportarsi esattamente come un giorno qualunque, evitare assolutamente di accennare a quel manichino con anima viva, e in ogni caso, adesso, gli pare sempre possibile sostenere di essere passato per una strada diversa da quella buia e stretta che, ne è più che sicuro, non percorrerà per almeno un bel po’di tempo. La sua auto va avanti, non manca molto per arrivare al parcheggio davanti a dove lavora, così tenta di rilassarsi, di pensare a qualcosa che non sia quell’immagine sostanzialmente quasi indelebile che lo sta torturando. Si concentra su qualcos’altro, sul suo lavoro, poi compie le ultime manovre sopra al piazzale, e finalmente ferma la macchina spengendo il motore, proprio mentre un suo collega che è arrivato prima di lui gli si avvicina e attende soltanto che lui scenda dall’auto. Cosa è successo, Renato, gli fa, mentre continua ad osservare una larga striscia di sangue sulla fiancata.

            Bruno Magnolfi


martedì 25 ottobre 2016

Disarticolato entusiasmo.

            

            Senza neanche concedere molto più di una semplice occhiata all’ostacolo, lui riesce, tenendo i piedi saldamente uniti tra loro, a saltare il muretto che circonda il piccolo spiazzo di ghiaia subito sotto l'appartamento dei suoi genitori, grazie naturalmente alla potente rincorsa che prende ogni volta; e poi ogni giorno, quando esce da casa sempre correndo, prosegue avanti senza alcuna incertezza, come per lasciarsi rapidamente alle spalle sia il gruppo dei palazzi grigio cemento, che tutto quel quartiere così periferico, sentendosi ormai pronto per un altrove diverso e migliore, anche se purtroppo non è ancora riuscito a focalizzarlo. Per esempio, vorrebbe avere imparato a suonare bene uno strumento musicale, durante quei suoi quindici anni, ed essere riuscito a formare uno dei tanti gruppi che fioriscono continuamente da quelle parti; però gli piacerebbe anche essere riuscito almeno a brillare in quella scuola che al contrario lo ha messo quasi in disparte; o forse sarebbe stato bello se magari fosse stato capace di farsi valere in una disciplina sportiva qualsiasi. Ma non è stato in grado fino ad oggi di fare niente del genere, quel ragazzo con la felpa verde, e così adesso non gli rimane dentro di sé che quella formidabile voglia di andarsene via, senza neppure sapere verso dove, o per fare che cosa. Corre, quasi sempre, magro e allampanato com'è, e saluta chi lo conosce senza fermarsi un momento, quasi non avesse mai il tempo per una parola, o per una riflessione pacata con qualcuno. Certe volte arriva fino ad uno spiazzo di erbacce in fondo alle case, un posto dove non ci va mai nessuno, e allora si siede sopra una pietra squadrata, e poi se ne sta lì, da solo, a riflettere sulle possibili decisioni da prendere.
            Questo ragazzo non ha amici veri, è giusto essere chiari, solo tantissimi conoscenti, ed è per questo che ha imparato a tenersi per sé tutto ciò che riesce a pensare. Però, qualche tempo fa, ha scritto una lettera, un semplice foglio di carta con le parole piccole e fitte, qualcosa che gli è uscito da dentro come un elemento estremamente importante, tanto che è riuscito a girare con la busta dentro una tasca per un tempo quasi infinito, fino a quando l’ha lasciata per terra, in un posto qualsiasi, senza la firma e senza avere il coraggio di riuscire davvero a spedirla a qualcuno. Lì dentro diceva in modo sintetico quali erano tutti i suoi sogni, le sue idee più nascoste, ma anche la sua voglia di correre, di andarsene lontano da dove ha sempre abitato, chissà poi in quale altro posto, comunque senza alcun freno. Infine è giunto il giorno del suo sedicesimo compleanno, un giorno qualunque, privo di qualsiasi particolare, forse solo il momento della consapevolezza che il tempo in qualsiasi caso riesce comunque a trascorrere sopra la testa di tutti, senza poterne sfuggire. Così ha girato in lungo e in largo per il quartiere, ha fatto poi tutte le corse possibili, fino a ritrovarsi sfinito, poi ha saltato per l’ultima volta il muretto, e a quel punto si è incamminato coscientemente verso la stazione dei treni, per salire con rapidità sul primo che avesse trovato in partenza. 
Una signora nello scompartimento gli ha parlato di tutte le cose che aveva voglia di dire, e lui è stato a lungo comunque ad ascoltarla, con l'espressione anche seria ed interessata, fino a quando lei ha preso la borsa, ha lasciato in aria un saluto e un augurio, ed è scesa. Non c'è niente di male, ha riflettuto il ragazzo; però quando ha notato nel corridoio il controllore dei biglietti, è sceso anche lui. Se chiedo a tutti, qualcosa riuscirò a combinare: e così è stato, e si è ritrovato a scaricare delle casse da un camion per qualche soldo e altrettante promesse. Se l’è cavata, in qualche maniera, giorno per giorno e caparbiamente, ed è riuscito a tenere dritta la barra, come si dice, anche se poi a un certo punto ha compreso che le cose sono più complicate dell’entusiasmo che ciascuno può avere dentro di sé.


Bruno Magnolfi

martedì 18 ottobre 2016

Debole teatralità.


Tutto inutile, dice lei a voce alta, scuotendo lievemente la testa, mentre rimane ferma da sola davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento del centro commerciale. Qualcuno la guarda, altri pensano che stia forse parlando ad un cellulare nascosto, munito di auricolari; ma sia gli uni che gli altri in fondo non hanno altro interesse verso di lei oltre quell’occhiata che le regalano, colma soprattutto di scostamento e di indifferenza. Invece, dentro al negozio scintillante e illuminato oltre misura in ogni suo angolo, con le porte automatiche interamente spalancate per mostrarsi più accessibile, qualcuno le risponde usando il suo medesimo tono, dicendo senza mezzi termini che non è assolutamente vero, e che al contrario si deve pur credere in qualcosa oggigiorno, aggiungendo infine che i cambiamenti importanti se si sta attenti sono già in atto, e che negare l’evidenza è un fatto psicologico, più che sociale.
Un paio di persone si fermano, altri pur continuando a camminare lentamente restano per un attimo come sospesi, quasi in attesa, curiosi di quel dialogo almeno in apparenza completamente assurdo. Il commesso che ha appena parlato in quel momento, riprende a sistemare con impegno il manichino dentro la vetrina, la donna invece lo guarda, cercando le parole per una replica che almeno abbia senso e fermezza, ma che forse non riesce subito a trovare. Non si sposta, comunque, rimane immobile con caparbietà, e dalla sua postazione di eventuale acquirente, dice alla fine che non sarà certo quello il modo di rendere le cose minimamente migliori. Lui allora la guarda per un attimo; ognuno deve fare la sua parte, replica, e poi con stizza prende i due o tre capi di vestiario che gli sono rimasti tra le mani, e quindi rientra dentro, sparendo rapidamente nel retro.
Lei riflette: non credo che acquisterò mai niente dentro ad un negozio di questo genere; ma subito dopo guarda meglio quanto è stato esposto, e nota una lunga sciarpa morbida in una tinta unita che in fondo le potrebbe anche piacere. Così entra, quasi per una specie di estrema sfida, e si fa prendere quel capo esposto dentro la vetrina da una ragazza sorridente, anche lei impiegata al punto vendita. Torna dopo un attimo il commesso di poco prima, e la trova mentre sta soppesando la stoffa della sciarpa, valutandone anche il prezzo. Da fuori qualcuno osserva, forse in attesa di un nuovo battibecco. Se mi piace, dice lei senza riferirsi a nessuno in particolare, è soltanto un fatto personale, perché secondo me non serve assolutamente edulcorare le cose fino al punto di farle divenire praticamente false.  Ciò non toglie che un qualsiasi individuo possa conservare un proprio spiccato gusto per le cose, aggiunge subito.
Il commesso sembra non avere proprio alcuna voglia di replicare a queste parole, anche se prosegue a sistemare i manichini della vetrina, proprio davanti a lei, lasciando che la donna si formi un’idea precisa per conto proprio. L'apparenza non ha interesse per i superficiali finti, dice lui senza guardarla. Ma è la sostanza che conta, interviene subito lei. Qualcuno sorride davanti ai vetri, mentre loro due adesso si guardano, ed è lei che dopo un attimo gli allunga una mano chiudendo nell'altra la sua sciarpa; lui svelto la stringe con decisione, in segno di saluto e anche di rispetto per la sua opinione differente: la gente fuori applaude debolmente, chissà mai per che cosa, visto che probabilmente non ha davvero neppure compreso tutto quanto.


Bruno Magnolfi

venerdì 14 ottobre 2016

Per il futuro.

            
            Non ha molta importanza, dicono tutti. Eppure per lui le cose stanno in altro modo. Se per esempio resta fermo ad ammirare il tratto di strada che riesce a scrutare dalla sua finestra, spesso gli pare che tutto il mondo sia soltanto quello che rimane compreso al di là da quel suo vetro, in quella esatta visuale, come se della realtà fosse l’unico campione, valido proporzionalmente forse anche per ciò che da quel davanzale non è proprio possibile vedere. Certe volte si sforza persino di seguire qualche semplice passante dall’andatura furtiva, fino ad arrivare ai limiti estremi di quel suo campo visivo, sporgendosi col busto quanto può; ma quando infine è costretto ad abbandonare l’avvistamento per puro impedimento fisico, ciò che stava osservando in quel momento è come se nella sua mente si disintegrasse, divenisse inutile, sparisse completamente dalla scena, fino a sortire ora e per sempre dal piano di qualsiasi curiosità possa mai avere provato verso quel soggetto.
            Dicono in molti di quel quartiere che sia soltanto un’accozzaglia di palazzi del tutto anonimi, senza riportare caratteristiche di nota, ma a lui spesso sembra il contrario, proprio perché zona popolosa, caotica, zeppa di gente, e quando lungo la strada riesce a vedere delle persone che si fermano a parlare tra di loro, immagina subito che qualcosa di importante stia per accadere, e che si stiano preparando degli avvenimenti dei quali è bene essere almeno in qualche modo consapevoli. Non sono un semplice catastrofista, dice a volte tra sé con naturalezza; però neppure uno a cui si possono tenere nascoste certe trame sotterranee. Lo so che queste strade sono una fucina di idee e di propositi, lo vedo con chiarezza dal mio privilegiato punto di osservazione, si tratta di saper interpretare bene i segni, ed osservare sempre tutto quanto dalla giusta angolazione, in modo da comprendere subito quanto presumibilmente stia per accadere.
Infine, quando comprende che l'osservazione del mondo da una semplice finestra è un'attività che non gli appare più assolutamente sufficiente, indossa la sua giacca sulle spalle ed esce dall'appartamento. Nel quartiere lo conoscono, qualcuno timidamente lo saluta, lui invece tira diritto, vuol capire subito quale siano le novità che sembrano serpeggiare adesso. Un vicino lo ferma, gli dice subito che le scelte delle prossime ore probabilmente saranno decisive, e nonostante sorrida mentre parla in questo modo, si capisce immediatamente quanto le sue parole siano gravi e soprattutto serie. Lui lo guarda un attimo, lo ringrazia per l’informazione, poi va ancora avanti.
Ci saranno da prendere delle importanti decisioni, pensa con estrema convinzione; non è più questo il tempo degli indugi e della tolleranza sugli aspetti che spesso si presentano. La realtà delle cose è in via di veloce modificazione, e tutti i cambiamenti da proporre d’ora in poi andranno riflettuti, discussi, e anche approvati da una solida maggioranza di individui degni di rappresentare tutti gli altri. Poi si siede sulla sua solita panchina, con lo stesso atteggiamento che tiene quasi sempre, all’apparenza poco interessato a tutto, ma di fatto restando ben attento a cogliere qualsiasi segnale che meriti importanza. La realtà che scorre va assolutamente registrata, monitorata, interpretata, perché ormai è solo una sintesi ben fatta che ha importanza sopra tutto.
Quando infine rientra nelle sue stanze, si sente pienamente soddisfatto: proprio come già pensavo, sussurra tra sé con un sorriso; adesso conosco con sufficiente precisione le pulsioni vere dell’attimo presente. Sono pronto, dice ancora: il prossimo futuro ormai è qui.


Bruno Magnolfi

giovedì 6 ottobre 2016

Tutto qui.

            

            Con voce bassa, dopo averla osservata soltanto un attimo, lui dice subito che secondo il suo parere le cose in questo modo non stanno proprio andando nella maniera giusta, e che tra loro due probabilmente ci sarà bisogno al più presto di una riflessione seria ed il più possibile accurata, ancora prima di prendere qualche decisione importante, del tipo che in seguito potrebbe anche procurare ad ognuno un forte dispiacere. Non mi piace, aggiunge lui, che tu certe volte quasi mi eviti, oltretutto quando in corsia ci ritroviamo anche vicini. In fondo al lungo corridoio, nel piccolo pianerottolo proprio davanti alla finestra, loro due rimangono seduti come se fossero in una qualsiasi sala d'attesa, esattamente uno di fronte all'altra, senza mostrare, almeno in questo momento, alcuna fretta, anche se si sentono indubbiamente un po’ nervosi, sia per la loro situazione, sia per quanto si sono appena detti.
            Non hai capito quasi niente di me, sbotta lei d’improvviso; io vorrei soltanto restare in silenzio davanti ad un tramonto, per esempio; oppure andare a rivedere alcuni luoghi a cui mi sento legata: cose del genere, emozioni semplici magari da condividere in due. Poi restano in silenzio, lui osserva qualcosa sul muro che probabilmente non saprebbe neppure descrivere, e lei gli guarda le mani che paiono in questo momento muoversi leggermente, come animate da uno spirito proprio ed autonomo. Mi dispiace; certe volte vorrei proprio essere lontano da qui, dice lui; e sicuramente distante anche da questo miei modi nervosi, non fosse altro almeno per dimenticarmi di tutte le inutili idee che sono stato capace di avere fino adesso, compresa anche la coerenza che me le ha fatte tenere strette a me, anche durante tutto questo periodo così particolare.
Che cosa vuoi dire, fa lei, forse che saresti persino disposto a sganciare la zavorra e cercare di cambiare, se solo io ti stessi maggiormente vicina? Certo, fa lui, e se sono arrivato a dire tutto questo, ciò significa che le variazioni auspicate dentro di me sono già in atto, e che probabilmente ogni cosa si completerà in un breve lasso di tempo. Si certo, ma se dobbiamo rinviare tutto ad un periodo nebuloso che deve ancora arrivare, lo interrompe lei, con tutto l'ottimismo e la fiducia che ancora riesco ad avere, mi pare che non ci sia ancora molto da dirsi, se non rimandare tutto quanto proprio a quel momento, a quando ti sentirai davvero pronto, insomma; al contrario, a me interessa il presente, ciò che posso fare e su cui posso contare fin da adesso, senza alcuna attesa.
Va bene, fa lui, allora muoviamoci da qui e andiamo insieme da qualche parte, in modo che possa dimostrarti come le cose possono essere diverse da come adesso te le immagini. Così effettivamente si alzano, percorrono diversi corridoi, e dopo alcune rampe di scale della grande clinica ospedaliera, si ritrovano sul retro dell’edificio, senza peraltro avere incontrato nessuno. Hanno ancora il camice bianco, di fatto sono in servizio, ma senza preoccuparsene troppo raggiungono frettolosamente l’auto di lui al parcheggio dei dipendenti, ed una volta seduti, immediatamente si allontanano. Portami da qualche parte dove almeno possa baciarti, fa lei sottovoce, con un grande sorriso: adesso ne provo una voglia indicibile. Certo, fa lui, mentre con la mano sinistra cerca di spengere il cellulare che ha nella tasca, sia per evitare chiamate di servizio, che per non dover rispondere eventualmente a sua moglie, sempre pronta a telefonargli nei momenti meno opportuni. Lei al contrario appare più tranquilla: suo marito non la cerca mai, ed anche se è lei generalmente a chiamarlo, la maggior parte delle volte lui neppure le risponde.
Arriviamo almeno fino al fiume, dice lei. D'accordo fa lui, che intanto però pensa soltanto a come evitare il traffico lungo quei viali che stanno percorrendo.


Bruno Magnolfi

giovedì 8 settembre 2016

Gita di piacere.

            
            La stanza d’albergo è veramente piccola, ed arredata in modo a dir poco casuale, quasi sgarbatamente, con un’unica finestra che concede la vista soltanto sulla facciata di un condominio anonimo che rimane di fronte, a pochi metri, senza lasciare praticamente alcuna altra visuale. A lei però non importa proprio niente, appena arrivata ha già disfatto quasi completamente la sua valigia, anche se loro due si tratterranno soltanto un paio di giorni, perché in qualsiasi caso le sue maniere non cambiano: ogni cosa deve essere sistemata in perfetto ordine, e quindi riposta con metodo ed in modo assolutamente adeguato alla situazione. Lui prosegue a guardarsi attorno: sugli inizi avrebbe quasi voluto andarsene da lì, prendere sua moglie per una mano e chiederle di andare altrove, ma dopo pochi minuti la sua incertezza iniziale sul da farsi è già stata soppiantata da altri pensieri.
Nel pomeriggio potremo fare una semplice passeggiata senza meta, dice lei accomodante, mentre manovra i suoi vestiti; giusto per prendere confidenza con questa bella città, aggiunge subito. Lui, dopo aver messo svogliatamente la testa dentro la sua valigia, forse per affinità, o magari alla ricerca di chissà che cosa, annuisce lentamente, senza comunque riuscire a trovare sull'immediato delle possibili alternative. Infine si siede al bordo del letto, si prende la testa tra le mani ed inizia a lamentarsi con dei sottili suoni gutturali del tutto assurdi. Stai male?, fa lei guardandolo per un attimo con occhi attenti ma senza muoversi da dove si trova. Nessuna risposta, lui nasconde per un attimo il viso dentro ai palmi e finge qualcosa che non appare neppure minimamente credibile. Va bene, dice lei; allora tira fuori tu cosa vuoi farne di questi due giorni. Niente, fa lui con serietà mentre si alza; poi, con passo leggero, si avvicina alla porta, la apre, osserva per un attimo il corridoio che in quel momento appare deserto, e quindi esce, richiudendo subito l’uscio dietro di sé.
Lei entra nel bagno, apre un rubinetto, si lava le mani, guarda la propria faccia dentro lo specchio, riavvia con la spazzola i suoi capelli castani di media lunghezza, ed infine torna dentro la camera, prende il libro turistico sempre a portata di mano, e sedendosi lo apre. Quando il marito torna lei è completamente a suo agio, pronta per affrontare anche qualsiasi eventuale avversità. Lui la guarda, accosta la porta alle sue spalle; dobbiamo essere uniti, le dice, ed evitare di ritrovarci nuovamente su due piani completamente differenti. Lei si gira, mette con calma un segnalibro alla pagina della guida che stava consultando, poi la va ad appoggiare sul tavolinetto vicino all’armadio. Va bene, risponde a bassa voce, comunque non avrei la minima intenzione di fare qualcosa che possa in qualche modo innervosirti.
Lui raggiunge la finestra, osserva una leggera screpolatura sull’intonaco del palazzo che ha di fronte, poi si volta; non so come dirtelo, mormora con calma: ma c'è qualcosa in questa camera che mi ricorda un passato che però non è neppure del tutto mio, come la fase oscura di una vita precedente, ecco. Lei lo guarda, prova forse un attimo di tenerezza verso suo marito, poi però con gesto deciso indossa una delle sue giacche attillate. Lui intanto si volta, si rende subito conto di non avere molte possibilità, così va verso di lei, le accarezza una mano e prova a sorriderle, come per annullare tutti i pensieri ed i discorsi scambiati fino allora. Lei lo lascia fare per un attimo, infine allunga il braccio fino al tavolinetto, da dove raccoglie la sua guida: andiamo?, dice senza alcun  indugio; ed insieme, proprio in quel momento, ecco che si avviano.


Bruno Magnolfi

mercoledì 24 agosto 2016

Probabilmente.



Mamma, dice il ragazzo con insistenza; devo andare, mi stanno aspettando i miei amici con le loro biciclette. Va bene, fa la donna, però mi sembra che tu abbia tralasciato qualcosa di particolarmente importante. Lui si guarda attorno, rientra per un attimo nella sua cameretta, poi quando si riaffaccia nel loro soggiorno con il piccolo zaino sulle spalle, si accorge che qualcosa appare improvvisamente cambiato, anche se non riesce a capire di che cosa effettivamente si possa trattare: la mamma in questo momento è seduta, indifferente, come fosse già rimasta nella stanza e nella loro casa esattamente da sola. Lui pensa subito di avere combinato forse qualcosa di riprovevole, magari senza essersene neppure reso conto, qualcosa di cui adesso probabilmente dovrà accettare la solita bella sgridata, ma la mamma davanti a lui prende improvvisamente una rivista illustrata da sopra il tavolino, proprio come se suo figlio non esistesse, ed inizia con calma a sfogliarla, senza volgere un solo sguardo verso di lui.
Il ragazzo è vagamente stupito, però si siede in silenzio, in attesa di almeno una parola di chiarimento, e forse vorrebbe addirittura dire lui qualche cosa a sua difesa, ma invece poi decide di attendere, in un completo silenzio, senza mettersi in mezzo. Lei non lo guarda, lascia che lui faccia e pensi ciò che desidera, prosegue a leggere e a sfogliare ancora per un po', persino senza mostrare grande interesse, ed infine si alza per spostarsi tranquillamente nella stanza più vicina. Il ragazzo decide di restare in attesa, qualcosa dovrà pur succedere, immagina, gli amici probabilmente lo aspetteranno, oppure anche se anche si mettessero in giro da soli per il quartiere, senza di lui, tutto questo non avrebbe alcuna importanza rispetto a quanto forse sta per accadere: la comprensione delle cose adesso gli appare superiore a qualsiasi altra cosa.
La mamma accende la radio a basso volume, poi va diretta in cucina e si versa qualcosa di fresco da bere. Volevi dirmi qualcosa?, fa allora il ragazzo timidamente, con un tono di voce appena sufficiente per essere compreso. Lei beve un sorso dal suo bicchiere guardando fuori dalla finestra della stanza, e forse addirittura canticchia tra sé qualcosa che la radio sta trasmettendo. Lui si alza, le va incontro di un passo o anche due: sono qui, dice; mamma, perché non mi guardi? Lei prende il telefono, cerca un numero nella memoria dell'apparecchio, poi lo seleziona. Risponde sua sorella, e dopo i saluti la conversazione sembra leggera, niente di importante o di impellente da dirsi. Sono da sola, dice la mamma alla zia, ed il ragazzo all'improvviso si sente completamente disorientato. Si guarda le braccia, i piedi, poi cerca in tutti i modi di intercettare il suo sguardo, senza minimamente riuscirci. D'accordo, dice lei nel telefono: mi basta solo cambiarmi l'abito e in un quarto d'ora ti raggiungo. Il ragazzo la guarda camminare un paio di volte lungo il corridoio, e poi entrare rapidamente in camera da letto. Quando infine ripassa dal loro soggiorno è vestita con un abito chiaro, ed uno scialle appena vagamente elegante. Va diretta alla porta, la apre, ed il ragazzo impotente sente forte dentro di sé la voglia di iniziare a piangere, a disperarsi, ma lei si volta improvvisamente verso di lui, e lo guarda diritto con un leggero sorriso sopra le labbra: non preoccuparti per me, gli dice adesso con tutta la calma del mondo; tra non molto tornerò, e quando sarò di nuovo a casa, tutto sarà esattamente come è sempre stato; probabilmente.


Bruno Magnolfi

sabato 30 luglio 2016

Vapore freddo.

            
            Lasciami stare, dice lei sgarbatamente, mentre nello stesso momento sua madre sta cercando in modo goffo di aiutarla a sollevarsi dal pavimento lungo cui incomprensibilmente è andata a cadere. Il tappeto è soffice, ed è quindi chiaro come non si sia fatta assolutamente nulla rotolando dalla sedia, e forse proprio per questo il gesto le risulta praticamente insopportabile, quasi un falso, come se avesse appena sentito dire proprio dalla bocca di sua madre che queste cose possono succedere per esempio soltanto quando si è completamente ubriachi, e non si riesce a contenersi neppure entro il limite dignitoso del reggersi in piedi per proprio conto. Non c’è più niente da aggiungere, spiega poi senza tornare neanche a guardarla, rialzandosi in modo frettoloso. Queste sono le tue scelte personali, a me non riguardano per nulla: posso soltanto prenderne atto.
            La madre osserva con apparente distrazione l’orologio, forse per cercare di mostrare indifferenza: in ogni caso sapeva quasi fin dall’inizio che non avrebbe assolutamente potuto contare su di lei, e che all’udienza finale per la sua causa di divorzio non sarebbe mai venuta a testimoniare contro suo padre. Ormai sei grande, le dice subito con falsa retorica, ogni tua decisione non può essere altro che ben ponderata. Sono anni che tra loro non c’è più un vero scambio di parole che non sia dettato da una punta d’astio, da durezza, e anche mancanza quasi assoluta persino di apparente affetto. La madre pensa ovviamente che questo sia soltanto frutto di ciò che è stato inculcato a sua figlia in sua assenza, e certe volte le pare addirittura che ogni incomprensione tra di loro ormai sia del tutto irriducibile. Così guarda sua figlia con un sorriso di circostanza, come a evidenziare che in considerazione della risposta ricevuta il loro colloquio è praticamente terminato, e l’altra prontamente, come punta sul vivo da quel modo evidente di osservarla con distacco, si alza dalla sedia a fianco del tavolo dove si erano sistemate, e senza tornare a volgere gli occhi verso di lei, prende lo zainetto preparandosi in fretta per andarsene.   
            Aspetta, dice sua madre quando lei è già nel corridoio di quell’appartamento. Volevo comunque darti i soldi per la rata del tuo corso, le spiega cercando di mostrarsi forse migliore di come probabilmente le è apparsa fino adesso. Hai il numero di conto su cui versare, dice la figlia quasi con sprezzo; puoi usare quello. Va bene, fa lei, cercando adesso di assumere modi come da animale ferito; a me basta che tu sia contenta delle tue scelte, e che non abbia in seguito da  dispiacertene. Ma certo, fa lei con il piglio troppo deciso per non lasciar immaginare al contrario un percorso forse confuso e poco ponderato.
            Quindi apre il portoncino, ed un vago senso di fresco e silenzioso la pervade. Si volta, come cercando di ricordare cosa possa aver lasciato dietro sé, ma sua madre prende quel gesto come fosse quasi un piccolo ripensamento, così le sfiora un braccio, e cerca di abbracciarla, come poche volte è già successo. La figlia praticamente la lascia fare, forse sentendosi come presa alla sprovvista, e mentre sente quella pelle di sua madre morbida e un po’ fredda, ha un attimo di forte esitazione. Resta ferma, in piedi sulla soglia, e senza guardarla prova comunque una forte carica emotiva. Singhiozza, senza che lo voglia, e sua madre la stringe ancora più a sé. Ma infine scappa, giù di corsa lungo le scale, senza neanche voltarsi per un attimo; ed un vapore leggero pare quasi sollevarsi dai gradini, come se nulla di reale potesse avere un seguito dai gesti o dalle sue parole.


            Bruno Magnolfi   

sabato 9 luglio 2016

Novità incredibili.

            
Nel cortile, giù in mezzo ai quattro edifici anonimi che ne costituiscono in sostanza tutto il perimetro, generalmente fa fresco e si sta bene anche nei giorni d’estate, e proprio per questo motivo da quelle parti si trova sempre in genere qualche sfaccendato con cui scambiare quattro parole. In ogni caso si radunano lì praticamente ogni giorno e con regolarità, diversi pensionati che sempre si scambiano arrivando un saluto di circostanza, per poi stazionare su di un lato, anche per tutto l’intero pomeriggio, in una zona di quella spianata di cemento dove comunque hanno sistemato da tempo qualche vecchia sedia di plastica; ed anche se si limitano a dirsi le solite cose e a guardare i bambini delle famiglie di quei palazzi che qualche volta si ritrovano da quelle parti per giocare a qualcosa, a nessuno di loro viene mai a mente di andarsene.
Lui scende volentieri le scale del condominio quando la mamma glielo permette, e con timidezza si sistema sempre vicino a quei vecchi, per sorridere a tutti anche quando loro cercano di canzonarlo bonariamente per qualche motivo, spesso chiedendogli quando porterà a far conoscere a tutti la sua fidanzata. Lui lo sa che quelle persone dicono queste cose soltanto per scherzo, però gli piacerebbe davvero un giorno scendere in quel cortile con una bella ragazza sottobraccio, tanto per farli restare di stucco e fare la sua bella figura. Così, anche se per adesso si limita a sorridere e ad abbassare gli occhi, senza dire quasi mai niente, dentro di sé coltiva da sempre la voglia di una rivincita, quel prendersi i suoi cinque minuti di gloria in cui mostrare di che pasta ritiene di essere fatto. La mamma ogni tanto però si affaccia al terrazzino di casa: non fare fastidio, gli dice, anche se lo sa che  tutti gli vogliono bene e che non c'è mai da preoccuparsi.
Poi però lui non si fa vedere per un certo periodo; alcuni se ne chiedono persino il motivo, forse in mancanza di altri argomenti, ma tutto questo non porta ad alcun cambiamento. Lui è nel suo appartamento, senza alcuna voglia di farsi vedere, forse stufo di quelle frasi scherzose su di una ragazza che in fondo non ha mai avuto, o forse a corto di sorrisi da dispensare a quegli anziani pensionati. Si sente triste, forse solo, e non gli piace farsi vedere così. La mamma di nascosto telefona alla nuova assistente, che dopo due giorni viene a dargli un’occhiata. E’ carina, cortese, gli prende la mano anche se lui si vergogna di sé: potrebbe essere lei la fidanzata da presentare a tutti quei vecchi, e dopo un lungo colloquio su tanti argomenti, pur con difficoltà e arrossendo, lui tira fuori quella sua assurda idea. L’assistente sorride, le piace la cosa, dice subito che volentieri vuole prestarsi ad una cosa del genere, ed anche se è soltanto per scherzo, in ogni caso ritiene sia una cosa ottima, una trovata che debba essere portata avanti, anche se soltanto per un pomeriggio.
Così scendono assieme le scale, lei gli tiene la mano, lui cerca goffamente tutte le possibilità di mostrarsi cortese e beneducato. Giungono infine al cortile, ed i pensionati naturalmente sono là, come sempre, sulle loro sedie di plastica, a godersi l’ombra del pomeriggio sopra quella spianata anonima di grigio cemento. Restano tutti in silenzio mentre loro si avvicinano, forse più che meravigliati da quella novità assolutamente inaspettata. Buonasera, dice lei sorridendo: sono la nuova fidanzata di Franco. Gli altri si alzano increduli, le stringono la mano, si complimentano con lui, le danno anche qualche debole pacca sopra una spalla. Non è vero, dice subito Franco: però io le voglio bene lo stesso.


Bruno Magnolfi  

lunedì 4 luglio 2016

Lontano da tutto.

           

            La bambina muove i piedi in silenzio sotto alla sedia, mentre seduta in quella sala d’attesa sta aspettando il suo turno accanto alla mamma, che continua a sfogliare distrattamente una rivista illustrata. Quando usciranno da là dentro ci sarà per lei un bellissimo gelato da prendere nel locale della piazza a fianco, è una promessa già fatta, ed in pochi minuti probabilmente tutto sarà ormai alle loro spalle, come non fosse neanche avvenuto. I suoi compagni di classe in questo preciso momento staranno sicuramente seguendo le parole della loro brava maestra, oggi era il giorno del dettato, ed alla bambina, se ci pensa, dispiace un po’ non essere a scuola insieme a tutti gli altri, soprattutto perché le piace arrotondare con la penna le lettere sul foglio, dare forma a quelle parole ronzanti che usa l’insegnante, e anche sentirsi dire, dopo la correzione degli errori, che è davvero brava, come succede certe volte, e che riesce persino a non cadere nei soliti trabocchetti delle doppie, piazzando sempre bene anche gli accenti, e persino l’acca.
            La mamma già la sera avanti le ha spiegato che quella di stamani è soltanto una visita medica, una come tutte le altre, ma la bambina ha compreso quasi subito che sotto quelle parole rassicuranti c’è senz’altro qualcosa di più: mentre le pettinava i capelli si è accorta del suo nervosismo, ed ha sentito all’improvviso come tremare qualcosa dentro l’aria, intuendo immediatamente che certe cose da oggi sono destinate a cambiare, anche se lei non vorrebbe.  
            Allora ha pensato che presto andrà via, proprio per togliere alla mamma lo strazio di vederla ammalata, forse ogni giorno più debole, magari pallida e ridotta a starsene nel letto per tutto il giorno, senza neanche la possibilità di seguire più quella scuola a cui purtroppo teneva così tanto; vagherà chissà dove, con in tasca quei soldi che il nonno poco alla volta le ha messo da parte, e forse in seguito chiederà anche l’elemosina, come ha visto già fare qualche altra volta, e comunque cercherà di farsi aiutare da qualche generoso. Forse inizierà a zoppicare, addirittura, e tutti al solo vederla avranno sicuramente pena di lei, anche se il suo forte orgoglio non lascerà a nessuno la possibilità di chiederle il suo nome, e neanche spiegare in giro quali siano le proprie origini.   
            Allora si spingerà fino a superare i limiti, e forse darà vita ad una comunità di solitari, ragazzi proprio come lei, persone senza più riferimenti, individui soli che accettano aiuti dagli altri soltanto a patto di essere liberi di fare e di pensare proprio tutto ciò che vogliono. In seguito probabilmente si impegnerà sempre di più nella riflessione attenta volta allo sviluppo di quei semplici principi, e magari si spingerà fino ad insegnare a tutti colori che hanno brama di sapere, le cose in cui crede lei, e molti ne seguiranno i fondamenti, tanto da riuscire a trovare nelle parole e nella concentrazione, tutto ciò di cui provano necessità. Si saprà presto in giro di quanto sta accadendo, anche con una relativa facilità, e la fama di quel grande movimento di pensiero arriverà presto a chiunque, fino a giungerne notizia anche alla mamma, che in silenzio e senza sognarsi di sgridarla, verrà a riprenderla con calma e saggezza, per riportarla a casa sua, ormai guarita da ciò che aveva sentenziato il medico quel giorno, e tutto riprenderà naturalmente il proprio corso.
            I suoi piedi sono ormai fermi quando il suo nome viene ripetuto dall’infermiera, e quindi la bambina entra nell’ambulatorio quasi con rassegnazione, nell’attesa ormai certa che tutto da quel momento sarà senz’altro molto diverso. Quando finalmente esce da là dentro accetta il gelato come era stato predisposto, poi sorride alla mamma, magari vorrebbe anche spiegarle quali siano state fino a quel momento le sue intenzioni, ma alla fine lascia correre: il gelato è buono, la mamma piena di attenzioni, ed anche il medico in fondo non le ha fatto neppure troppo male.


            Bruno Magnolfi