lunedì 28 novembre 2016

Perfetta comprensione.

      

            Il parrucchiere Marcello è gentile, dice Armando alla mamma; anche se la sua gentilezza in tutti questi anni da quando vado in quel suo negozio, a me non è mai rimasta troppo simpatica. Spesso lui regala intorno a sé battute di spirito, normalmente cose abbastanza scontate, a cui tutti i clienti del suo esercizio sembrano ridere quasi forzatamente, proprio per fargli piacere e nient’altro; e poi parla di continuo, non si ferma quasi mai, anche quando io e tutti gli  altri proviamo forte il desiderio di starcene un po’ più tranquilli, mentre come al solito ci ritroviamo purtroppo seduti con le nostre cose da leggere su quei sui scomodi e ordinari divanetti, ad aspettare pazientemente il nostro turno per tagliare i capelli o la barba.
            Vedi mamma, dice lui: a me già non piace il pensiero di quando Marcello inforca le forbici ed inizia a tagliarmi le ciocche; per questo sto per tutto il tempo in tensione: una parte di me, bene o male, se ne andrà a cadere per terra, continuo a riflettere, ed in seguito verrà spazzata via senza mezze misure dalla scopa di quell’aiutante di bottega, quel ragazzetto che ridendo come un ebete affronta qualunque cosa in maniera sbagliata e svogliata, senza metterci impegno. Devo, questo il punto, perché non posso lasciare che i miei capelli crescendo si riversino ancora quasi sopra le spalle, come già qualche volta è accaduto. Ma fosse per me, lo dico sul serio, lascerei che fosse soltanto la natura ad imporre la loro definitiva lunghezza. In ogni caso la giornata da me scelta per andare da Marcello è sempre una giornata oltremodo triste, un passaggio praticamente obbligato, e so perfettamente mentre percorro il tratto di strada che mi porta da lui, che non sarò affatto contento quando rifarò lo stesso percorso al contrario, qualsiasi possa essere il tipo di taglio che viene deciso.
Sto lì, quasi con rassegnazione, mamma, spiega Armando, e aspetto che le cose si compiano; e poi tocca a me, e Marcello ancora continua a parlare quasi non facesse differenza tra un cliente ed un altro. È tardi, dopo il mio turno è rimasto soltanto un anziano che pare stia lì con indifferenza, tenendo lo sguardo perso chissà verso dove, come non avesse, beato lui, alcuna preoccupazione. Io penso, dice ancora, che sarebbe bello per me potermi addormentare su questa poltrona girevole, proprio davanti allo specchio, e svegliarmi soltanto quando tutto sarà sostanzialmente finito. Ma lui invece fa: è un pezzo che non ci vediamo, mentre mi pettina la frangetta. Facciamo un taglio come quelli soliti?, mi chiede mentre già inizia a sforbiciare qualcosa. Annuisco, cerco il più possibile di stare rilassato, non vorrei mai dovergli spiegare qualcosa peraltro piuttosto difficile da dire, e in ogni caso mi sento ancora più nervoso, tanto da immobilizzarmi su questo sedile, pronto comunque a lasciarmi fare quello che a questo punto forse nessuno potrebbe limitare a quelle sue mani.
Naturalmente oggi, ad un tratto, senza che niente di particolare lo avesse annunciato, mi ha chiesto di te, sai mamma, dice ancora Armando; come fosse una domanda qualsiasi, la sfumatura di un argomento normale tra tutti quelli che affronta Marcello durante la sua intensa giornata di lavoro. Così mi sono paralizzato, come ogni volta succede, ed ho soltanto detto qualcosa senza alcuna importanza, nell’attesa che anche quel tema passasse. Lui ha continuato a tagliare, ha sforbiciato davanti e di dietro senza alcuna preoccupazione, piegandosi sulle ginocchia come fosse un artista di calibro. Poi ha tolto il telo, mi ha spazzolato fin sulle spalle, ha detto che aveva finito, ed io gli ho dato i suoi soldi, senza neppure guardarlo, fino a quando mi sono trovato con la mano sulla maniglia; e prima che lui mi dicesse come al solito di salutarti, l’ho prevenuto: ciao Marcello, gli ho detto duro, pensando intensamente che non sarei mai più tornato là dentro, in nessun caso. E lui stavolta, con ogni probabilità, ha compreso perfettamente.


Bruno Magnolfi 

mercoledì 23 novembre 2016

Semplice antiquariato.

           
            Oltre lo schermo di questi miei poveri occhi, semplicemente protetti ma anche esaltati dalle lenti di vetro che porto sul naso, comprendo ogni giorno che c’è soltanto molta diffusa abitudine in ogni comportamento di tutti, dice Natan. Osservo i modi di fare di parecchie persone che conosco da tempo, magari mentre salutano gli altri, o quando passano davanti a questo piccolo negozio dove lavoro da sempre; e mi rendo conto ogni volta di quanto tutto l’insieme di queste piccole cose che compongono la mia giornata, sia dettato alla fine soltanto da elementi senza molta importanza, certe volte addirittura dallo stesso semplice sentire di ogni cliente che passa da qui, come se la sensazione di un individuo opportunamente immerso in un ambito, fosse il suo stesso recinto, la sua piccola oasi, spesso neanche riconoscendo lui stesso, persino in piena onestà, il proprio mostrare in questo modo l’appartenenza ad un gruppo.
            Guardo fuori dalla vetrina dei miei libri antichi, spiega Natan con calma a questo cliente. Ma non c’è nulla che riesca a trascinarmi oltre l’immagine che tento di assumere, sotto l’insegna indiscutibilmente in ebraico che mi sormonta. Entrano i soliti clienti, spesso mi dicono cose che conosco oramai alla perfezione, e che comunque mettono velocemente in sintonia le nostre conoscenze reciproche. Si sorride, si fanno cenni di assenso, poi ognuno di loro in piena libertà acquista qualcosa per la sacrosanta voglia di sentirsi più unito ai suoi simili, sullo stesso versante, fratelli anche oltre qualsiasi possibile supposizione.
            Il cliente resta freddo, non ha voglia neanche di annuire alle affermazioni del negoziante. Prosegue, pur ascoltando con attenzione, a prendere in mano i vecchi volumi ed a saggiarne la carta, l’integrità, la consistenza; alla fine farà un buon acquisto, pensa Natan, che ormai sa riconoscere a prima vista il personaggio giusto per la sua bottega di antiquariato della cultura. L’altro prende tempo, dice ad un tratto che i tempi sono molto diversi da quelli di una volta. Non c’è alcuna possibilità di sentirsi vicini, oramai, se non questo vecchio sentore di polvere, di carta ingiallita, di antico trascorso tra le mani di qualcuno a noi simile.
Natan allora gira su se stesso, fin oltre il suo vecchio scrittoio che funge da bancone di vendita, aspira l'aria quasi per incoraggiare il cliente, ma questi sembra come allontanarsi improvvisamente da quei libri, come desiderasse soltanto trattenersi in quell'ambito appena per qualche minuto, giusto per concludere la chiacchierata, e poi basta. Chissà se è stato giusto parlare proprio con questo cliente delle mie sensazioni, pensa lui con rassegnazione. Non ha alcuna importanza, riflette ancora Natan: va tutto bene se riesco ancora a comprendere quanto qualcuno sia capace di stare all'altezza di tutto questo. Che poi riesca a fargli fare un acquisto, è già un elemento superiore, e non sempre le cose vanno proprio per il verso che si desidera. Il cliente infine lo guarda, chiede di avere ancora tra le mani quel volume prezioso che ha osservato maggiormente, più di ogni altro. Decide l'acquisto, anche se il prezzo gli pare eccessivo, così tergiversa, prende ancora del tempo, chiede un pagamento da effettuare in più volte. Natan sorride, a questo punto, annuendo a tutte le richieste che vengono fatte: non c'è proprio niente di differente con tutti gli altri, pensa risoluto alla fine; siamo simili, inutile stare a negarlo.


Bruno Magnolfi

domenica 20 novembre 2016

Fuori dalla mischia.


La donna guarda avanti a sé mentre cammina lungo la grande galleria, e intanto spiega il suo punto di vista. L’altra ascolta per un po’, a tratti annuisce, e infine dice: sono d’accordo; non potevi proprio fare altro. E lei: è chiaro, non era possibile in nessuna maniera dargliela vinta senza dimostrare che il mio punto di vista era diverso, così ho finto completa indifferenza per quella sua stupida uscita. Il centro commerciale adesso è pieno di persone, fuori piove a tratti, la gente là dentro si sente come protetta e fortunata, e tutti vanno avanti e indietro senza sosta, forse nella ricerca di qualcosa, o magari per sentirsi semplicemente immersi in mezzo agli altri.
Lei si ferma, osserva con interesse un capo di abbigliamento esposto dentro la vetrina di un negozio, poi alla fine dice: mi piacerebbe però riuscire a fargliela pagare. L’altra sorride: certo, per questo non dovresti avere troppi problemi. E lei: è vero, ma non vorrei sbagliare gesto e fare soltanto la figura della vendicativa. D’accordo, fa l’altra, la sua superficialità però prevede che ti posizioni ben più in alto di quelle sue sciocchezze. In fondo io non gli chiedo molto, dice lei ricominciando a camminare. A me basta non essere trattata mai come una qualsiasi, e che si tenga conto in ogni caso della personalità che esprimo. E l’altra: sono d’accordo, un atteggiamento del genere da parte sua è ciò che di peggio possa capitare ad una come te.
La folla si muove quasi tutta in una certa direzione, e loro due si lasciano quasi sospingere dagli altri. Resta comunque una differenza di fondo tra di noi che non porterà mai niente di buono, dice lei. E l’altra: credo proprio tu debba dare una spinta a questo aspetto, in modo che se anche le cose sono destinate ad incrinarsi, almeno succeda subito, senza strascicare un rapporto indirizzato prima o poi verso la fine. Hai ragione, dice lei; siamo diversi, inutile girarci attorno, e questo almeno per me è un grosso problema. Lui non mi cerca, non mi fa sentire importante, non mi concede la fiducia che vorrei. Lascia che le scelte per noi due siano solo le mie, e poi si limita quasi sempre ad annuire, senza mostrare mai entusiasmi.
Devo lasciarlo, dice ancora lei. E l’altra: se ti senti di dover fare questa cosa, è meglio tu la faccia subito. Forse come vendetta magari è anche un po’ troppo, riprende lei. Però potrebbe darsi il caso che in seguito lui mi cercasse con maggiore impegno, e questo atteggiamento potrebbe far cambiare molte cose. Certo, dice l’altra; hai tutto da guadagnare nello smuovere le acque. Intanto loro due sono arrivate ad uno degli ingressi principali del centro commerciale, e la gente in questa zona pressa ancora di più, visto che fuori adesso piove forte. Scansiamoci, fa lei, evitiamo questa gente, basta spostarci al margine del corridoio. Poi riprendono come prima a camminare lentamente, evitando ogni poco qualcuno che viene loro incontro.
Ho deciso, dice lei alla fine. Aspetterò che lui dica qualcosa, mentre io cercherò di rimanere in silenzio il più possibile. Dovrà chiedere il mio parere prima o dopo, ed io a quel punto gli dirò quello che penso, senza falsità, senza costruzioni artificiali. Gli spiegherò che non sono il tipo di persona che si astiene dal combattere, e dargliela vinta sulle sue contraddizioni non può essere il mio stile. Brava, fa l’altra; è così che mi piace il tuo comportamento, quando tiri fuori del carattere, e riesci ad essere te stessa, senza compromessi. Già, fa lei; tutto vorrei salvo i compromessi: e in ogni caso intendo essere apprezzata per come sono veramente, e mai per come potrei essere.


Bruno Magnolfi

lunedì 14 novembre 2016

Destino oscuro.

            

            Mi scusi capitano, ma sono sfinito: sarà per l’essere stato rannicchiato per tante ore in questo nido, o anche per il rumore di tutti i proiettili che con fatica forse mi è riuscito di mettere a segno, e pure per il mio dito che a furia di stare sempre premuto sopra il grilletto del mio emmegi, sembra adesso quasi diventato un pezzo di legno, proprio staccato dal resto del corpo. Va bene, sergente, adesso cerco di farti sostituire, ma spero almeno tu abbia tirato giù qualcuno di quei bastardi. Penso di sì, tre o quattro li ho visti infilare di corsa in mezzo a quelle macerie, forse li ho colpiti per davvero. Riposati un po’, non più di cinque minuti comunque: purtroppo un camion dei nostri, non molto lontano da qui, è saltato poco fa sopra una mina, e dal comando ci hanno chiesto di mettere su, proprio dove siamo noi, un avamposto per l’artiglieria. Ed io non so se ce la faremo, visto che su quel camion c’erano dei rinforzi destinati proprio a noi, che adesso non so nemmeno quale fine abbiano mai fatto.
            Ho bisogno di riposare, capitano, e anche di calma: se vado ancora avanti in questo modo, rischio di fare delle cose insulse. Lo so, lo so, ma se non proseguiamo col fuoco addosso a quei musi di scimmia, quelli tirano su la testa, riprendono fiato, si renderanno conto velocemente che siamo solo in pochi dietro queste case. Sergente, so che posso contare sul suo appoggio incondizionato, ed anche se lo sforzo che le chiedo risulta per lei notevole, ed io me ne rendo conto benissimo, l’ordine perentorio in queste condizioni è quello di tornare al più presto possibile alla sua postazione. Non posso, dice allora il sergente, non ce la faccio; piuttosto mi espongo al fuoco nemico, mi arrendo, fingo di essere stato colpito e mi sdraio in mezzo alla polvere. Non dica sciocchezze sergente, non siamo venuti qui per giocare, il nostro dovere viene ancora prima di tutto.
Va bene, però adesso mi metto qui, dice lui mentre si siede con la testa tra le mani; mi pare quasi impossibile essere arrivato fino a questo punto. Perché vede, capitano, a me quella gente che abbiamo di fronte, non ha fatto proprio nulla di male, e forse comprendo anche il loro punto di vista, considerato che siamo noi ad essere giunti fino qui a sparargli addosso e farli fuori. Non diciamo sciocchezze, sergente, la guerra non è qualcosa che decidiamo io e lei su delle basi così sciocche e superficiali, ci sono sicuramente interessi più alti e più importanti che hanno determinato queste azioni, noi dobbiamo solo obbedire e fare al meglio possibile il nostro dovere. Va bene, fa lui, ma adesso che ho visto da vicino che cosa significa tutto questo, mi sento quasi un obiettore di coscienza, tanto mi ripugna il sangue che devo far versare; e tutta quella gente che ho inquadrato nel mirino, mi ricorda parecchio molte delle persone del mio paese, gente uguale a me, insomma.
Sergente, non mi costringa a metterla agli arresti. Questi non sono discorsi degni di un soldato. Può darsi capitano, dice lui, però qualche dubbio può prendere a chiunque, non le pare possibile anche a lei? Senta sergente, non c'è più tempo per stare a tergiversare: o torna al suo posto, oppure disobbedisce ai miei ordini, prenda una decisione finale. Faccio poco volentieri quello che mi chiede, dice lui; tra due minuti andrò ad infilarmi di nuovo dentro il buco, dietro ai sacchi di sabbia e camuffato tra le pietre, ma oramai non sono più convinto di un bel niente, vorrei morire io al posto di qualcun altro a cui debbo sparare, mi pare tutto diventato così poco credibile. Ecco, sergente, le dò un po' d'acqua dalla mia borraccia, spero che bevendola assuma anche un po' del mio coraggio. Lo spero, capitano, ma può anche darsi che nella confusione riesca a versare tutta l’acqua nella polvere, tanto mi tremano le mani pensando a quei suoi ordini. E forse anche al suo destino.


Bruno Magnolfi

venerdì 11 novembre 2016

Vapore acqueo.

            

            Lui oggi si sente ombroso, taciturno; si è sistemato sulla sua poltrona preferita, con la lampada vicina, ed è rimasto lì per tutto il pomeriggio, a leggere qualcosa e prendere appunti. Lei ad un certo punto è rientrata, lo ha salutato come sempre, senza grande enfasi, osservandosi attorno quasi con un'ombra di sospetto; poi è andata a cambiarsi, ed infine è tornata per sedersi in silenzio, sistemandosi vicino al vecchio tavolo del salotto, proprio di fronte a lui. Mi fa bene ogni tanto starmene un giorno a casa lontano dal mio lavoro, ha detto lui. Lei ha annuito, ma secondo il suo parere non c’era molto da dire: è così per tutti, pensava, anche se non ha ritenuto di dover ribadire niente. Dobbiamo cambiare, ha spiegato invece lei sottovoce, dopo una pausa. Non si può tirare ancora avanti in questa maniera insopportabile. Lui l’ha guardata senza cambiare espressione, quasi si aspettasse un’uscita del genere, ed infine le ha steso una mano, senza spostarsi, come per invitarla verso il suo posto; in quel gesto evidentemente si rannidavano alcune speranze, ma lei si è alzata con indifferenza ed è subito andata verso la finestra, forse per sentirsi più libera, più indipendente da quel gesto di lui, anche se poi si è girata per guardarlo di nuovo e con maggiore attenzione.
            Fuori la giornata è più fredda, aveva pensato un attimo prima, trattenendo nella sua mente l’immagine di quel cielo grigio visto fuori dai vetri; ma è così che mi piace l’autunno, col vapore che fa già la nuvoletta quando ti esce di bocca. Resta evidente come lui non voglia affrontare quell’argomento, non adesso comunque, e così si comporta come ha fatto sempre, restando a lungo in silenzio, lo sguardo perso altrove, forse nella speranza di alleggerire magari in parte quel clima. Ho intenzione di andarmene, almeno per qualche tempo, dice lui alla fine, cercando probabilmente un rilancio un po' alla disperata, ritrovandosi, così come si sente, preso alle strette, ed anche nella convinzione che una cosa del genere possa in qualche modo rimetterlo in gioco. Certo, fa lei, puoi farlo, ma non cambierà di una virgola quanto resta qua dentro.
            Solamente adesso lei, riavvicinandosi al tavolo, nota appoggiata sul piano, la stampa di una singola prenotazione aerea per sola andata, che in fondo spiega quanto le sue parole siano assolutamente fondate. Va bene, dice sentendosi improvvisamente ancora più nervosa e meno accondiscendente nei confronti di lui; vedo che hai già portato le cose in avanti. In fondo è meglio per tutti se passiamo un periodo senza vederci, fa lui. Non lo so, dice lei; forse riesce soltanto ad allontanare momentaneamente i problemi. Lui allora si alza, affonda le mani dentro le tasche, gira su se stesso e va verso quella stessa finestra che si affaccia su un minuscolo giardino accanto alla strada. La giornata è più fredda, pensa di slancio, le persone camminano e rilasciano un sottile vapore visibile in aria, mentre respirano.
Ho voglia di caldo, dice alla fine, spingersi verso sud può essere una buona idea. Lei si sente come punta sul vivo, torna a dargli le spalle prendendo in mano quel biglietto per osservarlo con maggiore attenzione, poi: ormai posso soltanto prendere atto delle cose che hai intenzione di fare, dice con un certo sarcasmo. Può anche essere un semplice invito, quello che ti stai ritrovando sotto gli occhi, dice lui mentre continua a guardare la strada; non ci vuole poi molto a trasformare una fuga dai nostri problemi, in una vacanza per due di grande piacere. No, grazie, sentenzia lei, ho altri programmi. Come vuoi, dice lui, in ogni caso più riduci ogni mio spazio di manovra, più significa che hai già stabilito dentro di te il nostro futuro. Futuro, fa lei sorridendo con una certa amarezza; mi pare qualcosa di molto nebuloso, almeno in mezzo a tutti i pensieri che ho. Può darsi, fa lui, in ogni caso nessuno di noi due sembra convinto di come vada disegnato, tanto vale iniziare a prendere un foglio di carta e delle matite. Ci penserò, dice lei quasi con stizza. Poi lui gira la maniglia, forse per assaporare l'aria di fuori, e spalanca in silenzio quella finestra: entra dentro un bel freddo asciutto adesso, ciò che naturalmente si poteva già immaginare osservando il panorama dai vetri; e tutto il vapore di quella stanza pare improvvisamente andarsene via.


Bruno Magnolfi

lunedì 7 novembre 2016

Spazzatura elettronica.

           
            Adesso è giunto il momento in cui mi sento proprio stanca, dice lei parlando quasi in un soffio. Stanca delle tue maniere, del tuo monotono essere sempre uguale a te stesso. Hai fatto la scorza con quelle poche cose di cui ti interessi, nel muoverti per casa in una maniera sempre così prevedibile, senza mai alcuna variazione. Ho continuato per anni a farti notare come poco per volta ti andavi riducendo, ma tu hai sorriso ad ogni mio debole appunto, ed hai tirato dritto senza preoccuparti minimamente di quanto dicevo. Forse perché, con tutto il rispetto che ho costantemente avuto nei tuoi confronti, ho sempre cercato comunque di non farti affatto pesare le cose che spesso continuavo ad esplicarti, usando sempre parole dai toni morbidi, e ammettendo che quanto dicevo in fondo era soltanto un parere, una mia interpretazione.
            Certe volte non mi sono fatta trovare, dice ancora la donna, e ti ho lasciato uno stringato messaggio con cui ti comunicavo che forse sarei tornata più tardi, che avevo qualcosa di importante da fare, magari che ero in giro con qualche mia amica, e che la cena comunque era pronta, e potevi andare avanti con le tue cose anche senza di me. Poi ritornavo, e ti trovavo nella stessa maniera di sempre, indifferente a qualsiasi variazione, persino lontano da ogni pensiero dettato dalla curiosità. Quasi sdraiato, come ogni sera, perso davanti alla televisione, e senza un minimo di cura per te e per le cose intorno al tuo evidente egoismo.
            Poi ho cercato di stimolarti, dice lei abbassando ancora la voce; l’ho fatto cercando qualcosa che potesse in qualche modo coinvolgerti, che ti desse una spinta per uscire una buona volta da quel tuo solito bozzolo, e per molte delle cose che ho messo insieme, ho finto addirittura che ti arrivassero quasi per caso, per non farti pesare niente di me, neppure quelle piccole idee. Ho sorriso, in certi casi, quando al contrario ci sarebbe stato da piangere, ma ho sempre voluto trovare un'altra possibilità da concederti, anche se tu ogni volta hai sempre trovato il modo di neutralizzare tutto quanto. Ed ho smosso il più possibile almeno ciò che ho potuto, se non altro per darti l'impressione che il resto del mondo intorno non è fermo, come invece sei tu; ma senza alcun risultato.
            Il tuo unico sforzo è sempre stato soltanto quello compiuto per il tuo lavoro, spiega lei con ancora più calma; impegno peraltro portato avanti giusto in qualche maniera, e accompagnato perfino da continue lamentele nei confronti dei colleghi, del tuo capo, dell’organizzazione generale, e anche degli orari a cui ti sei spesso sentito costretto. La liberazione che hai sempre avvertito, giungendo alla fine del tuo turno lavorativo, non è però mai stata controbilanciata da una vera voglia di fare, di recuperare almeno qualcosa, come se il resto del tempo a tua disposizione potesse essere risolto in un niente completo, che peraltro in questa maniera non può neppure riuscire a darti lo slancio per impegnarti di più e più proficuamente proprio in quel tuo mestiere.
Infine, adesso appena sussurrando, la donna dice di nuovo ma con altre parole ciò che ha appena spiegato; non è facile, pensa subito dopo, aver trovato il momento adatto per dire a lui tutto quanto, anche se solamente in una registrazione di questo mio cellulare. Poi arresta la memoria elettronica, ed osserva a lungo quel file, un piccolo scarabocchio sopra lo schermo, così importante da contenere ormai quasi tutto di quei suoi pensieri, di ciò che ha sempre avuto presente, tutto quello che a lui avrebbe sempre voluto spiegargli. Poi però lo cestina, con un semplice clic.


Bruno Magnolfi

sabato 5 novembre 2016

Insegnamenti ordinari.

          
            L’ampio salotto di casa risulta ingombro, più che da mobili antichi, da un arredamento evidentemente ormai vecchio, invariato da diversi decenni, ed il grande tavolo di legno centrale rimane posizionato sopra un tappeto un po’ logoro, a coprire un pavimento di un vago colore rosso scuro, ben incerato però, e costituito da piastrelle di una normale graniglia di marmi. L’anziana signora vorrebbe dirgli qualcosa, mentre continua con dedizione ad impegnarsi su un piccolo lavoro di cucito, seduta nell’angolo più luminoso di quella stanza, ma lui sembra distante, pur seduto a quel tavolo, interessato com’è dalla lettura di un articolo del suo giornale.
            Dobbiamo essere maggiormente concreti e realisti, e pensare che le cose da ora in avanti possono persino peggiorare, vorrebbe forse spiegarle lui, magari soltanto per smuovere qualcosa della sua sensibilità residua, probabilmente ancora presente nella vecchia mentalità della sua mamma, pur così restia a qualsiasi cambiamento; ma di fatto, immobile sopra le pagine scritte, allontana subito da sé quell’argomento, ad evitare che le parole e le frasi possibili, inanellandosi velocemente tra loro, portino verso chissà quali discorsi, che adesso secondo lui non è proprio il caso di affrontare. Lei invece, nello stesso momento, in qualche maniera riesce persino ad immaginare proprio quei pensieri del figlio, mentre stanno sull’orlo del farsi parole, ma sapendo già l’argomento a cui si potrebbero riferire, si sente poco propensa a spianargli la strada di quel dialogo, e così resta in perfetto silenzio, nell’attesa magari di una prova decisamente più convincente di personalità, da parte di lui. In più sa che è quasi l’ora del tè, un rito praticamente irrinunciabile per una come lei, eppure resta in attesa, come se dovesse essere proprio suo figlio a ricordarglielo. Infine sbuffa, muovendo sensibilmente le mani e insieme il pezzo di stoffa a cui sta lavorando, e lui, proprio per non darle soddisfazione, finge di non accorgersi praticamente di niente.
            Allora lei si alza, appoggia con cura le sue cose, poi senza fermarsi chiede a suo figlio, ricordandosi d’improvviso che ha oramai quasi cinquant’anni, se desiderasse una tazza di quel tè che proprio in questo momento sta andando in cucina per preparare, ed infine esce dalla stanza, dopo lo scontato diniego di lui, che non ha mai gradito, in tutta la sua vita, quella bevanda. Lui allora ne approfitta per alzarsi dal tavolo, andare alla finestra, e scansando la tendina, guardare fuori con occhio indagatore quel minimo panorama invariato da sempre, per poi tornare a sedersi, quasi nella stessa posizione di prima. Le giornate si sono accorciate, pensa di dire alla mamma appena lei sarà tornata con la sua tazza fumante, ma quando questo avviene davvero, gli sembra improvvisamente una frase talmente scontata da sentirsi quasi in obbligo di evitare l’apertura della sua bocca. Anche lei probabilmente pensa la medesima cosa riguardo i pomeriggi sempre più brevi, tanto da accendere una lampada accanto alla sua postazione, una volta seduta; ma anche a lei forse risulta un argomento troppo banale.
            Allora il figlio si alza, indossa con metodo la sua giacca pesante, e dice che adesso andrà a fare due passi, per tornare tra un’ora o poco più, proprio per aiutarla a preparare la cena; lei lo osserva un momento, sollevando lo sguardo sopra le lenti dei suoi occhiali, e dice soltanto: va bene, senza espressione, e nient’altro. Ha ancora molte cose da imparare, pensa subito dentro di sé, mentre ascolta in fondo all’ingresso, il portone aprirsi e richiudersi: e forse non c’è più neanche il tempo per insegnargli davvero qualcosa.


            Bruno Magnolfi 

venerdì 4 novembre 2016

Dialogando.

          
Lei è immobile in questo momento, ne ha pienamente coscienza. Apre le persiane di casa ogni mattina prestissimo, come ha sempre fatto, ogni giorno all'incirca alla medesima ora, ed assapora quell'aria da fuori che gira e si avvita lentamente nel vuoto, come se all'interno del suo appartamento dovesse arrivare dalle altre case un possibile annuncio di chissà quali incredibili notizie. È ancora presto, lo sa benissimo, ha tutto il tempo che vuole per fare tutto quanto con calma, e continuare persino ad osservare quel niente che riesce a vedere, forse piuttosto monotono, ma indubbiamente rassicurante, quel vuoto buio e completo da cui è circondata. Quando torna a chiudere i vetri e rientrare, sembra proprio, tramite quel pizzico di volontà che la spinge ad occuparsi di sè, che tutta la macchina che la circonda, pur lentamente, inizi poco per volta a mettersi in moto, ed ecco che i primi pensieri la colgono, soprattutto riguardo quelle iniziali piccole preoccupazioni di sempre, comuni a chiunque in qualsiasi altro giorno, e praticamente anche oggi senza grandi variazioni di sorta.
Quando infine esce da casa, pronta ad affrontare i suoi compiti, quell’aria che le era tanto piaciuta affacciandosi dalla finestra, adesso le appare decisamente più ostile, quasi uno schiaffo, così disumana ed estrema, come d’altronde lo è perfino il suo passo, che risuona, in quell’aria di tutti, a lei ancora più estraneo, cadenzato e sgradevole, come un ticchettare nervoso che la perseguita lungo quel tratto di strada fino alla fermata degli autobus. Ci sono sempre le solite facce a quella fermata, così lei per evitare chiunque, spesso si finge distratta, e quando dopo pochi minuti arriva il suo mezzo pubblico, lei sale di scatto, quasi sorpresa della sua prontezza e del suo ordinario prendere subito posto. La solita gente di ogni giorno forse la osserva, ma lei torna a guardare qualcosa dal finestrino, mostrando completa indifferenza, mentre ad ogni fermata si accomoda meglio lì dove si trova, ed inizia a costruirsi la sua personale atmosfera.
Più tardi si sentirà maggiormente protetta, avvolta come sa essere, poco per volta, da una sorta di materiale trasparente e invisibile conosciuto soltanto da lei, che le permette di stare con gli altri, ma comunque difesa da loro. Parla, sorride, affronta ogni argomento con personalità, e la logica che la sorregge è quella di sempre, la stessa che adopera per qualsiasi suo compito. Rientra a casa, nel pomeriggio, e torna a socchiudere la sua finestra, come se le mancasse quell'aria che rammulina soltanto da quelle parti, fuori dai vetri, e scioglie finalmente quella corazza da cui è stata protetta fino a questo momento. Non c’è niente nelle sue stanze, nulla che le possa davvero piacere; eppure qualcosa la tiene quasi inchiodata là dentro, come se non ci fosse altro luogo capace di darle una rassicurazione paragonabile a quella che prova.
Si muovono le tende della sua finestra ancora socchiusa, lei adesso si perde a girare per casa con calma, conservando la voglia perenne di tornare ad uscire, di spingersi di nuovo là fuori ad affrontare tutto ciò che può trovarsi di fronte. La finestra le parla, le dice qualcosa che pare quasi una nenia infantile, un sussurro a cui lei non riesce in nessun modo ad opporsi; infine si siede però, e riesce a rilassarsi davvero: la sua tenda ora è ferma, gli infissi, con l’ultimo piccolo colpo di vento, si sono chiusi da sé, e lei adesso è tranquilla: il dialogo può continuare.


Bruno Magnolfi