domenica 29 dicembre 2019

Vuoto.


        

            Ridono, quando sono insieme. Gli altri per esempio hanno sempre un'immancabile birra con cui gingillarsi, ma loro due no, a loro sembra che basti poter stare all'aria aperta e scambiare le riflessioni più sconclusionate che riescono a tirar fuori quando si ritrovano. Li guardano ogni tanto, ma in fondo tutti nel gruppo si sonno abituati al loro comportamento: inizialmente sembrava ironia quella che mettevano assieme con i loro modi, poi tutti quanti si sono lasciati convincere che loro due sono proprio fatti così, differenti dagli altri, vicini ai ragazzi certe volte, ma in tutte le altre occasioni lontanissimi da tutti. Qualcuno non comprende neppure il perché si facciano vedere quasi ogni giorno al loro solito posto di ritrovo, anche se spesso arrivano insieme, come qualche altra volta se ne vanno via insieme. Ma poi all’improvviso uno dei due non si è più fatto vedere. L’altro si, ma restando sempre ai margini della comitiva.
            Difficile stabilire che cosa sia potuto accadere, anche perché a nessuno sembra interessare anche soltanto parlarne. Perché questo è il comportamento ufficiale di fondo: ognuno è padrone di sé, si va e si torna a proprio piacere, nessuna spiegazione, si respira la libertà a pieni polmoni, anche quella di non suscitare alcuna curiosità. Si sorseggia la birra e poi basta. Lui dice che stasera è passato da qui perché non sapeva che fare. Poi ride, come per aver detto qualcosa di divertente, e gli altri lo guardano un attimo, e buttano giù un sorso, senza trovare commenti da fare. Soltanto uno su due: in fondo va bene, visto che quell’uno soltanto riempie un piccolo vuoto, lo stesso che fino a poco fa riempivano in due. Non ha alcuna importanza cosa possa essere accaduto, se nessuno ne parla, lo chiede, se nessuno ne ha qualcosa da dire, vuol dire che va bene così, le variazioni vanno presto ricucite, ridotte in fretta alla normalità.
            In seguito anche lui non si fa più vedere, ma tutti se lo aspettavano, non c’è niente di strano, doveva succedere: spesso è solo questione di tempo, poi le cose assumono poco per volta il comportamento che era stato già immaginato, e così non c’è proprio niente da aggiungere, era quasi previsto, non c’è da meravigliarsi di niente. Infine ritornano, tutt’e due, e ridono come niente fosse successo anche se nessuno dei ragazzi ha voglia di chiedere loro qualcosa. Ci saranno stati dei buoni motivi, sicuramente, o forse era semplicemente un momento in cui le cose non potevano andare altrimenti, proprio così, senza mettersi minimamente di mezzo a preoccuparsi di un qualsiasi comportamento. Invece loro due adesso parlano, magari ridendo, proprio come sempre, ma in questo momento sembra abbiano voglia di dire le cose.
            “Siamo contenti di venir qui”, dice uno dei due; “anche se non c’è molto da fare, oltre a sentirsi insieme, poi ridere, guardare qualcuno che si beve una birra, o che guarda per terra. Non è molto, però va bene anche così, perché non ci devono essere dei veri motivi per sentirsi compresi, è già sufficiente stare seduti sulle sedie all’aperto di questa casa del popolo, e ascoltare qualcuno che dice una cosa, poi un altro magari che gli risponde, gli altri che restano perennemente in silenzio, e tutti che non si aspettano niente da questa serata, o da un’altra, o anche da tutte quelle altre che verranno in futuro. Va bene così, perché nient’altro è importante.

            Bruno Magnolfi

giovedì 26 dicembre 2019

Calmo viatico.


           

            Inizialmente doveva pensarci, almeno certe volte, e fare ogni cosa quasi per una auto imposizione, come una decisione ormai presa una volta per tutte; ma adesso, dopo tutto questo tempo, le viene assolutamente naturale, come qualsiasi altro gesto che si compia senza neppure riflettere. Sono trascorsi ben dieci anni da quando lui se n’è andato, quasi senza lasciarle una spiegazione plausibile, una motivazione razionale, un elemento, almeno abbozzato, di riflessione accettabile sulle ragioni per cui la loro relazione non avesse avuto fortuna, esclusi quei tre o quattro anni iniziali, quando tutto era parso perfetto, almeno per lei. Adesso che non ha più qualcuno a cui dedicarsi, nessuno a cui dovere delle spiegazioni, o motivare la propria condotta, quei suoi gesti e tutti i movimenti che prosegue a compiere in modo anche meccanico dentro l’appartamento in cui è rimasta da sola, si sono perciò come dilatati, e lei ha rallentato tutto quanto, quasi che il tempo da trascorrere le fosse apparso poco per volta ben più importante di ogni azione da compiere.
            Persino quando la sua vicina di casa le suona il campanello, le rare volte in cui questo accade, lei arriva fino in fondo al corridoio per aprire la porta con una lentezza quasi estenuante per chi non ne conoscesse le ragioni profonde. Molte volte le è già accaduto di osservare un oggetto che rotola sopra il suo tavolo di cucina, e infine cade, senza che lei muova in fretta una mano per evitare che questo succeda, o per provarne almeno un blando tentativo. Le ha lasciato una rendita lui, un bel gruzzolo che le permetta di non preoccuparsi di nulla, almeno da quel punto di vista, ed il senso di inutilità in cui lei si è sprofondata pian piano è tale da costringerla in una specie di sfera del tutto personale e intoccabile. “Come va, oggi?”, le chiede la vicina mentre lei con tutta la calma del mondo la lascia entrare dentro la sua casa. L’osserva, si ferma, muove una mano, si inumidisce le labbra prima di rispondere, e poi spiega: “direi bene, tutto sommato; ho pensato persino di uscire nel pomeriggio, ma poco per volta ho finito per abbandonare l’idea, e così eccomi qua”.  
            Ogni parola naturalmente è ben scandita, ogni frase quasi una nenia interpretata al rallentatore, ma oramai non sembra affatto che reciti, e piuttosto, almeno chi non la conosce, sarebbe quasi portato a pensare che la sua è una qualche strana malattia ti tipo nervoso, come una specie di stato di agitazione al contrario. Forse è proprio questo il senso finale che lei intende mostrare soprattutto a se stessa, ma alla fine anche agli altri: niente per lei è più come una volta, anzi lei stessa è diversa, come attaccata da un male incurabile, un morbo tanto complesso e quasi unico, tale da produrre in una persona fragile e sensibile quale lei si ritiene, un comportamento di difesa così semplice e contemporaneamente stravagante. “Se ha bisogno di qualcosa”, le dice ogni volta la vicina che mantiene un atteggiamento deferente ma distaccato con lei, “non si periti a suonare il campanello del mio appartamento”. “Grazie”, generalmente è la sola risposta che ottiene, e mentre va via, aspettando con calma che lei le manovri la porta che dà sul pianerottolo in comune, non manca mai di pensare che in fondo è soltanto una povera donna che forse andrebbe aiutata.   
            Lei sorride mentre non manca di dare un giro di chiave al portoncino del suo appartamento, e poi in maniera estenuante si volta, e torna a muovere dei passi lentissimi generalmente fino a tornare al suo posto preferito per stare in casa seduta: vicino alla finestra cioè; ma non tanto perché da lì è possibile osservare qualcuno che si muova lungo la strada, quanto perché riesce, vicino ai vetri, ad apprezzare appieno, osservando le chiome degli alberi allineate lungo il viale, la saggia e caparbia lentezza della luce del sole durante ogni giorno, quasi un viatico per i suoi pensieri.

            Bruno Magnolfi

lunedì 23 dicembre 2019

Rapidamente vita.


          

            Presto. Oggigiorno non si può certo permettere con indifferenza che per una sciocchezza qualsiasi si debba impiegare del tempo. Si deve affrettare ogni aspetto, tutto deve essere compiuto alla svelta, non si può gettar via le ore e le giornate con delle semplici cose per le quali è sufficiente impiegare appena qualche minuto. Lei scende le scale, è cosciente del suo leggero ritardo, ma forse non ha molta importanza, con pochi passi affrettati sarà subito là davanti al solito posto, dove di nuovo si è data appuntamento con Carlo, giusto per prendere con lui un semplice caffè, scambiare quattro chiacchiere di circostanza, forse decidere il giorno in cui andare insieme a teatro, e poi via, un breve saluto e di corsa verso gli acquisti da fare.
            Un sacco di cose da scegliere e da provare, impiegare il minor tempo possibile per riuscire a decidere la giacchina e la gonna che ha in mente, forse anche una camicetta, qualcosa comunque da spendere poco, proprio il minimo indispensabile. E ancora fare un salto al mercato, prendere pane, formaggio, la frutta e la carne, non più di una busta per tornare a percorrere tutta la strada a ritroso, fino a tornarsene a casa, evitando che le dita delle mani inizino ad indolenzirsi per tutto quel peso da sorreggere mentre cammina. Prepararsi qualcosa da mangiare, forse restando anche in piedi, mentre prosegue a consultare qualcosa tra il telefono ed il suo elaboratore portatile, naturalmente con un occhio sugli ultimi comunicati che intanto trasmette la televisione, prestando importanza solo alle cose di vero interesse.
            Quindi via, verso il lavoro, per attaccare subito con il turno pomeridiano, dove dentro la sala insieme ad altre venti persone bisogna rispondere con le cuffie a tutti coloro che hanno bisogno di informazioni, di dati, notizie, dettagli, però subito, adesso, immediatamente, perché non c’è un solo minuto da perdere, e va tutto risolto nel minor tempo possibile. Sinapsi che si attivano giusto in un lampo, parole che vengono lanciate a destra e a sinistra senza imbrogliarsi, espressioni del volto che oramai rinunciano persino a formarsi per lasciare agli occhi e alla bocca tutto l’impegno che serve al cervello per lavorare e conservarsi costantemente sotto pressione.      
            Nelle piccole pause che a volte si formano pensare qualcosa che valga per quel poco di tempo che resta della giornata una volta terminato quel turno, insieme all’orario del suo lavoro: tornarsene a casa, fare un salto da una sua amica, accettare un passaggio da qualche collega; scelte da fare, da architettare in un attimo, senza sbagliare un bel niente, prima di ritrovarsi a fare qualcosa che lei non avrebbe voluto, come una serata sbagliata, delle giustificazioni da dare, alcune spiegazioni da mettere avanti, moltiplicando frasi e discorsi che sembrano non essere mai sufficienti a risolvere tutte le cose e a mostrare la sua vera volontà.
            D’altra parte è questa la vita: riuscire a reggere il passo che tutto quanto prosegue a richiedere, mentre si seguita costantemente a comprimere tutto ciò che serve di meno, le cose che giorno per giorno si sono ridotte ad essere ben poco importanti, di cui forse ce ne importa di meno, così ininfluenti oramai che vanno a comprimersi, in un attimo appena, nella folla indifferenziata delle dimenticanze, un cumulo informe che forse dovremo riprendere in mano un giorno o quell’altro; d’accordo, ma non certo adesso.  

            Bruno Magnolfi

sabato 21 dicembre 2019

Almeno per oggi.


               

            Il bambino sale ancora una volta la piccola scala dello scivolo nei giardinetti di quel quartiere, anche se oramai non ride quasi più mentre si lascia scorrere per quell’attimo di tempo che dura il divertimento lungo la breve striscia metallica ben levigata. Suo padre, seduto sulla panchina vicina, legge senza interesse qualche articolo di un vecchio giornale che ha trovato là sopra, quasi per sentirsi impegnato in qualcosa. Il pomeriggio pare portarsi avanti con una certa lentezza, come se persino la vegetazione del piccolo parco cittadino mostrasse indolenza, con le foglie gialle degli alberi ed i rami scheletrici, rispetto alla misura del tempo. "Mattia", inizia a dire l'uomo per richiamare l’attenzione del suo bambino; "ultimo giro e poi ce ne andiamo", gli fa, con una voce che cerca di tranquillizzarlo. Suo figlio, nonostante forse si stia già annoiando, sembra però quasi non ascoltarlo: "questo è il mio spazio” pare che pensi, "ed anche se non mi diverto quasi per niente a giocare da solo così, questo è comunque il massimo che posso ottenere da una giornata qualsiasi, senza nessuna novità".
            Il padre piega il giornale e quindi lo lascia esattamente dove lo ha trovato, poi va incontro a suo figlio, che si rialza in piedi dopo l’ultima identica discesa, e con rassegnazione e lo sguardo un po’ basso prende la mano che gli viene offerta. “Mio papà da quando è disoccupato passa molto tempo con me”, sembra pensare mentre tornano verso casa; “però non ha più voglia di ridere come qualche volta accadeva”. Lui sta aspettando da tempo almeno una risposta positiva da qualcuna di quelle aziende alle quali ha spedito le carte con l’elenco preciso delle proprie esperienze, ma tutto per lui sembra come sospeso. Domani andrà di persona in un posto che gli hanno indicato, e dignitosamente, a chi vorrà ascoltarlo, spiegherà che oramai è arrivato agli sgoccioli, non ce la più a tirare avanti con un figlio piccolo da crescere, senza un lavoro.
Forse gli diranno le solite cose, non è il momento giusto, non stiamo cercando del personale, siamo a posto cosi; oppure gli chiederanno se è disposto a fare trasferte, o ad accettare mansioni rischiose, oppure a lavorare di notte, su dei turni precisi e pesanti. "Ho un figlio piccolo", dovrà rispondere lui, come se fosse la sua palla al piede, il suo cruccio, l'impedimento più grande di tutti; "e purtroppo non ha più una madre". Tireranno un sospiro, osserveranno le loro carte sopra la scrivania ordinata, e poi diranno: "le faremo sapere", come dicono sempre. Ma lui tornerà da Mattia e gli dirà una volta di più che va tutto bene, presto inizierà a svolgere un nuovo lavoro, e potranno permettersi qualcosa di più delle ristrettezze in cui vivono adesso.
Certe volte si sveglia presto, mentre il bambino sta ancora dormendo, e allora arriva fino ai mercati, dove servono braccia per sistemare le casse, spostare i pianali dagli autocarri, farsi vedere attento, preciso, uno che sa darsi da fare senza tanti problemi, e i caporali lo lasciano fare, gli indicano i posti dove sistemare le casse, magari gli allungano anche un paio di guanti, per non farsi male su una scheggia o su un chiodo. Quando tutto è finito gli danno qualcosa, certe volte gli chiedono di farsi vedere l’indomani mattina, ma spesso anche no, ed allora lui se ne torna alla svelta verso il suo appartamento, dove dorme ancora suo figlio, ma sa almeno che adesso può comprare qualcosa per lui, per mangiare in maniera decente, almeno per oggi.

Bruno Magnolfi

         

martedì 17 dicembre 2019

Aggiornamento di stato.

           

            La televisione continua a ripetere da stamani le medesime notizie, forse nel caso in cui qualcuno si fosse distratto, magari mostrando una evidente incapacità a lasciarsi debitamente informare. Nel corridoio degli uffici pubblici lui continua a cercare una specifica bacheca chiusa con delle vetrine, in cui gli hanno spiegato esserci affissi degli elenchi cartacei riportanti probabilmente anche il suo nome, in qualità di iscritto al nuovo corso di aggiornamento peraltro del tutto necessario per continuare a svolgere il proprio mestiere. Il problema di fatto è che il corridoio appare lunghissimo, con le pareti coperte di avvisi e di variegate bacheche, ed anche affollato di persone probabilmente alla ricerca di qualcosa che le riguardi, ed in questa  baraonda a lui non pare di vedere nulla che sia riferito alla sua situazione.
            Chiede a qualcuno nel caso in cui si trovasse davanti ad una persona nelle sue stesse condizioni, ma nessuno sembra neanche dargli troppo retta, forse soltanto per l’indole legittima di non evidenziare le proprie cose ad uno sconosciuto. Lui perciò dopo mezz’ora si stufa, da’ per scontato che la bacheca e l’elenco ci siano da qualche parte, e che il suo nome sia riportato in calce là sopra, per cui se ne va, senza preoccuparsi di altro. Lo chiamano poco dopo al telefono portatile, quando è già uscito lungo la strada, e gli chiedono senza mezze misure quale numero gli sia stato assegnato nell’elenco del corso di aggiornamento. Lui dice che non lo sa, ma dalla reazione che ottiene dall’altro ricevitore capisce che non è stata una buona idea rispondere così.
            Perciò decide di rientrare negli uffici pubblici, ma prima si ferma in un locale per un caffè, tanto per concedersi una pausa. Qualcuno al bancone del bar dove si è appoggiato, dice con calma che ci sarà da arrabbiarsi sul serio uno di questi giorni, e che coloro i quali tirano le fila della situazione generale, hanno deciso che tutti quanti devono possedere una propria posizione definita. Quando lui infine rientra nel lungo corridoio pubblico degli uffici, molte persone se ne sono ormai andate, e regna adesso una certa calma, tanto che viene subito in avanti un usciere volenteroso per fargli presente quale sia la vera bacheca che lo interessa, e di cercare esattamente là sopra il proprio nome. In un elenco infinito scritto in caratteri minuscoli, appare, nell’ordine alfabetico con cui è stato stilato, anche il suo nome difatti, con a fianco, divergendo dagli altri, la dicitura "inevaso". Il portiere, rimasto alle sue spalle, gli consiglia di andare subito al piano superiore per chiedere chiarimenti, e lui sale frettolosamente la scala di marmo fino a ritrovarsi davanti ad uno sportello con un impiegato occupato a svolgere delle timbrature.
            Attende, poi dice "scusi", timidamente, e l'altro con fare scocciato gli chiede che cosa desideri, ma proprio nel momento in cui lui cerca di spiegare ciò che gli sta succedendo, l'altro si volta per scartabellare qualcosa in uno schedario, quindi torna allo sportello, e mentre pronuncia le parole "ripresentare domanda debitamente compilata", gli allunga un foglio di carta scritto con bei caratteri e firmato presumibilmente da qualche profilo superiore di quegli uffici, riportante le stesse esatte parole. Poi l'impiegato chiude la feritoia attraverso cui gli parlava, e sparisce nelle stanze sul retro, lasciandolo solo. Evidentemente qualcosa non è stato fatto come avrebbe dovuto, pensa lui, e mentre va a riprendere le scale per scendere al piano sottostante trova l'usciere di prima che a gesti lo indirizza verso una piccola e ripida scala di servizio, tramite la quale lui si ritrova direttamente sulla strada, senza alcuna spiegazione aggiuntiva. Così torna a casa, e la sua televisione, rimasta accesa forse per svista, sembra ancora ripetere le medesime cose di prima, anche se adesso è una donna che legge con voce melodiosa le varie notizie.


            Bruno Magnolfi
       

mercoledì 11 dicembre 2019

Buon andamento aziendale.

            

            Torna facile dare appuntamento senza alcun preavviso ad una persona già forse impaurita dalle voci che corrono ultimamente in azienda, chiedendole perentoriamente di farsi vedere negli uffici della direzione al termine dell’orario del suo turno di lavoro. Lui è uno di quei dipendenti ormai segnato, che va costretto a dimettersi, o almeno lasciare alla svelta quel suo ruolo di supervisore del ramo produzione, troppo ambiguo il suo comportamento negli ultimi tempi, così poco consono alle esigenze di produttività dell'impresa ed alla linea che desidera tenere la nuova proprietà. Non c'è bisogno di spiegare neppure troppe cose, basta convincerlo che i suoi metodi non sono adeguati, e che può rivolgersi tranquillamente alla concorrenza, se vuole conservare un profilo simile a quello che riveste in questo momento, oppure accettare un forte abbassamento di livello e rientrare nei ranghi più produttivi, al massimo come caposquadra.
            Non si può essere troppo flessibili, c’è bisogno di dare una sferzata alle sacche di stanchezza del personale che ultimamente si sono venute a concretizzare, e senz’altro far circolare la voce che tra i dipendenti dell’area produttiva è stato colpito qualcuno che reggeva le fila di un certo andazzo, può essere la svolta giusta che in questo momento ci vuole. Naturalmente non interessano a nessuno gli anni di esperienza e le capacità dimostrate dal dipendente nel galleggiare tra i capireparto senza mai pestare i piedi a qualcuno, e non è comunque un tipo di figura intermedia troppo amata dai dipendenti dentro l’azienda; peraltro non appare dalla sua schedatura neanche uno con delle simpatie sindacali, forse soltanto per compiacenza verso i suoi superiori, per cui, senza alcuna difesa, dovrà rassegnarsi rapidamente, magari anche su due piedi, alle novità che incombono attorno alla propria carriera.
            In seguito non ci saranno dei grossi problemi: colpito lui e qualcun altro del genere, gli altri abbasseranno velocemente le orecchie e saranno maggiormente disposti ad aumentare tutti i ritmi di lavoro, e quindi anche accettare senza battere ciglio gli straordinari richiesti. Certo, di controparte lui potrebbe rifarsela con qualche superiore, magari prenderne di mira l’auto con cui lo ha visto dentro al parcheggio, e di nascosto forare una ruota o graffiare la carrozzeria, ma anche questo può essere un problema aggirabile, magari facendogli spiegare segretamente da qualche dipendente di cui si fida, che se avverranno cose del genere sarà lui il primo ad esserne incolpato. Per vie legali naturalmente non avrebbe alcuna possibilità di cavarsela, ed anche se cercasse di mettere contro la direzione un qualsiasi gruppo di dipendenti che per qualche motivo tengono dalla sua parte, sarà facile disinnescare qualsiasi volontà in questo senso.
            Così non resta che starsene in ufficio almeno in tre, ad attendere che lui arrivi all'orario pattuito, e senza neppure invitarlo a sedersi, fargli un paio di domande specifiche per metterlo il più possibile a disagio, fino a quando, lasciandogli intercettare degli ambigui sguardi ammiccanti tra coloro che ha di fronte, inizierà a balbettare e a comprendere sempre meno che cosa gli viene davvero richiesto. Nessun sorriso, nessuna benevolenza, soltanto un’aria di ostilità riversatagli in faccia da chi è fermamente convinto delle sue scarse qualità, tanto da dover mettere in pratica, per costrizione, tutte le misure necessarie per il futuro buon andamento aziendale.


            Bruno Magnolfi  
           

          

venerdì 6 dicembre 2019

Originali nascosti.




La donna senza fretta cammina lungo il marciapiede, si sofferma ad osservare una vetrina quasi distrattamente, poi prende una decisione. Entra nella piccola gioielleria con fare piuttosto deciso ed un immancabile sorriso raggiante sulla faccia. È ben vestita, capelli in ordine, ed un trucco leggero sopra la sua espressione, con un rossetto velato sulle labbra, da gran signora. Si sente scaltra lei, in queste occasioni sa che nessuno può tenerle dietro, figuriamoci un piccolo commerciante abituato a mettere sul banco anellini di fidanzamento e qualche girocollo senza importanza. Lei si guarda attorno per un attimo, poi chiede subito di una collana importante, un regalo da fare a sua madre dice, qualcosa che lasci l'anziana donna senza parole. Il gioielliere si schiarisce la voce, balbetta qualcosa, guarda fuori dalla porta a vetri con la chiusura automatica, poi si decide ed apre la cassaforte nascosta dietro un angolo, tirando fuori subito i pezzi migliori tra quelli che tiene dentro al suo negozio.
Lei intanto parla, dice delle cose generali di sua madre, sui rapporti che intrattengono, sul tenore di vita a cui la sua vecchia è da sempre abituata, ma senza esagerare, con metodo, lasciando supporre molti aspetti e mettendo in condizioni il gioielliere di ascoltarla e di annuire alla massa di notizie che gli viene sciorinata. I pezzi le piacciono, ma non è convinta completamente, "perché mia madre", spiega senza smettere un momento di parlare, "è abituata a cambiare i gioielli che indossa anche diverse volte al giorno, a seconda delle circostanze, e per questo le sue amiche, quando si incontra con loro per la partita a carte o per il tè, secondo lei devono sempre rimanere quasi meravigliate di tutto ciò che riesce a sfoggiare".
Il negoziante tira fuori altre cose: spille, bracciali, diademi, i migliori pezzi di tutto ciò che tiene in cassaforte; l'ora è morta, in genere non viene nessuno durante il primo pomeriggio, e lui può intrattenersi senza problemi con una cliente così importante che a guardarla bene gli pare addirittura di conoscere, tanto da aver notato la sua faccia magari in televisione, durante qualche ricevimento d'alta borghesia ripreso dalle telecamere. Lei osserva tutto e fa diverse volte i complimenti al gioielliere per la sua capacità di mettere in vendita anche degli oggetti poco usuali, ma niente riesce a convincerla davvero, e dopo aver fotografato con il suo cellulare un paio di collane, "per averne memoria", spiega all’uomo che non è del tutto convinta, deve pensarci, probabilmente ripasserà durante uno di quei giorni seguenti.
Il gioielliere l'accompagna fino alla porta, le apre e con un gran sorriso le dice che per lei sarà sempre a sua disposizione, in qualsiasi momento vorrà tornare a fare una visita nel suo piccolo negozio. Lei se ne va, con la sua borsetta firmata ed il tailleur elegante sotto al soprabito, e naturalmente soltanto quando lui sta rimettendo a posto gli oggetti sparsi sui velluti del bancone, si accorge che qualcosa manca, il pezzo meno preso in considerazione durante tutta la visita della donna. Ma in fondo tutto ciò non ha neppure una enorme importanza: ciò che lei si è preso è solamente una copia del pezzo originale, il quale resta al sicuro tenuto dentro un fagottino, messo in un angolo come qualcosa senza alcun valore, riconoscibile soltanto per una sigla con cui il gioielliere ama ricordarsi bene quali siano là dentro i gioielli veri e originali.

Bruno Magnolfi

giovedì 5 dicembre 2019

Conforto necessario.

          

            "Non mi sento bene", dice lui con la sua voce di circostanza, osservando qualcosa nel vuoto mentre sta seduto di fronte alla vetrata del soggiorno che rimanda i bagliori rossastri del sole al tramonto. Lei non risponde, rimane appoggiata con la schiena sulla sua comoda poltrona, a cercare con gli occhi fissi in avanti le aree di variazione quasi impercettibili dei colori nel cielo davanti a sé. “Non saprei descrivere i sintomi", prosegue lui, "ma è come se qualcosa di estraneo si fosse inserito nella mia testa, e mi confondesse continuamente i pensieri". Lei sembra non dare peso a queste parole, impassibile prosegue ad osservare l’incupirsi progressivo ed inarrestabile di ogni sfumatura. “Dovresti prendere un calmante”, stabilisce alla fine; “le prove della Messa da Requiem ti hanno svuotato, ti è rimasto soltanto il solito nervosismo prima di ogni debutto”.
            “Forse hai ragione”, fa lui; “in ogni caso sotto il profilo del concerto di domani mi sento abbastanza tranquillo. Le cose stanno andando piuttosto bene, e non prevedo sorprese, anche se niente gode di completa certezza". Poi si alza dalla sua poltrona, fa qualche leggero cenno incomprensibile con il capo, e poi si volta verso il tavolo, dove si serve qualcosa da bere. "Non è facile tenere sempre un profilo attento e  rigoroso", dice dopo un minuscolo sorso. "Spesso sembra che tutti siano pronti a puntarti un dito contro, nel caso in cui ti lasci andare appena di un niente". Lei improvvisamente lo guarda fisso, come cercando di vedere qualcosa sopra al suo viso che le è probabilmente sfuggito fino a questo momento.
            Squilla il telefono, i soliti auguri di colleghi, di amici e musicisti, poi lui torna a sedersi spegnendo l’apparecchio, forse cercando di nuovo quel punto impreciso che fissava fino ad un attimo fa. “Certe volte immagino delle cose che neppure esistono”, le dice come facendo una confessione dolorosa. “Poi mi vengono davanti delle masse sonore scomposte, come se tutto si muovesse ancora nell’attesa di essere riorganizzato, sistemato a dovere, controllato in maniera precisa e definita”. Per lui la musica è solo pianificazione, severità, mestiere insomma, niente che sfugga alla mano di tutto ciò che viene ogni volta prestabilito. Lei conosce benissimo il suo rigore e la sua disciplina nel portare avanti le cose, come comprende benissimo la sua pausa riflessiva del giorno prima, e così conosce i dubbi inconfessati che sembrano attanagliarlo durante ogni vigilia, anche se qualcosa stavolta sembra diverso.
            “Puoi farti sostituire”, dice lei all’improvviso per dargli una scossa a cui lui certamente non può rimanere indifferente. Invece non ottiene alcun risultato, come fosse esattamente quanto lui sta proseguendo a pensare. Torna a guardarlo girando di nuovo la testa dalla sua poltrona, e vede che piange, che non riesce proprio ad affrontare qualcosa che lo tormenta. “Devo fare il mio dovere”, dice lui sottovoce, come se la sua fosse praticamente una missione, qualcosa di paragonabile alla difesa della propria patria. “Non mi sento sorretto”, dice di botto; “e se fino ad oggi non ho mai provato questa necessità, adesso è diventato qualcosa di estremamente importante”. Lei si alza, gli va vicino, gli accarezza la faccia: è solo un bambino, pensa; soltanto un bambino con le necessità di tutti i bambini, di sentirsi accudito, protetto, confortato.


            Bruno Magnolfi
           

lunedì 2 dicembre 2019

Grave.


          
            In piazza ci sono tutti, i conoscenti e le facce amiche di sempre, naturalmente; ma anche tante persone curiose, che nessuno si attenderebbe di vedere in occasioni di questo tipo. Sul palco suonano i ragazzi per allietare la giornata, ed intanto si distribuiscono in giro le copie del nuovo giornale, accettando qualche offerta da parte di chi sta apprezzando questo grosso sforzo. Quelli che non si fanno vedere sono coloro a cui il semplice richiamo di un’occasione del genere non è affatto arrivato, e forse non arriverà mai, perché non credono più, o non hanno mai creduto, in queste mobilitazioni, in queste feste, in questi segnali.
            Sonja stringe le tante mani e sorride a chi le fa i complimenti, ma dentro di sé prosegue ad interrogarsi su coloro che non ci saranno quest’oggi, e rimarranno disinteressati per sempre a farsi vedere per strada, a mostrare la loro idea, a schierarsi in qualche maniera. Forse non ha neanche molta importanza adesso tutto questo: il giornale sembra riscuota un buon successo, e tutti coloro che lo prendono tra le mani paiono proprio apprezzarlo, sia nei titoli, che per come è impaginato, tanto che alcuni fanno qualche donazione, altri si informano su come abbonarsi.
            I ragazzi continuano a suonare, poi lei sale sul palco, loro si interrompono, lei sorride a chiunque, e prende il microfono. “Deve essere il giornale di tutti, anche di quelli che oggi non sono qui, per una ragione o per l’altra”, dice. La gente applaude, è d’accordo, non è certo il momento di rappresentare una parte soltanto della cittadinanza. “Dobbiamo intercettare in qualche modo anche il loro pensiero”, prosegue, “e mostrare che nella nostra idea, gli articoli che formano queste pagine non devono essere solamente quelli relativi ad un solo modo di essere, ma anche di quello riguardante tutti gli altri, persino di coloro che non credono, o magari non hanno mai creduto possibile, di poter essere in qualche modo rappresentati”.
            Le persone applaudono con entusiasmo, forse sono parole anche facili da condividere, più complicato magari è mettere in pratica delle idee di questo genere, ma Sonja lo sa, e conosce benissimo le difficoltà che ci sono per arrivare ad interloquire con certe fette di popolazione, ma non si lascia abbattere per questo, e con uno sguardo gettato fino ai margini della piazza del suo paese, abbraccia tutti quanti, forse apparentemente in maniera anche troppo simbolica, però avendo abbastanza chiaro dentro se stessa lo sforzo a cui è chiamata nei prossimi tempi.
            Poi scende dal palco, tutti le stringono la mano e molti l’abbracciano per mostrarle il proprio affetto e la loro vicinanza, e qualcuno dice con convinzione che dovrebbe presentarsi come candidata a sindaco per le prossime elezioni comunali, ma lei si schernisce, non è questo che vuole, la politica la lascia volentieri in mano ad altri. A Sonja basterebbe che qualche persona in più si interessasse finalmente delle faccende del loro borgo abitato, mostrasse interesse alle vicende che vi accadono, alle possibilità che forse vi si offrono, e magari che qualcuno si sentisse davvero immerso in questa piccola comunità, dove spartire le preoccupazioni, i malesseri, certe volte le tristezze, ma anche le gioie, e forse persino le cose comuni più leggere e divertenti. 
            “Una cittadina composta da persone che si sentono uguali, e che si danno una mano l’una all’altra”, pensa ancora Sonja mentre cammina tra la gente. Poi, in mezzo a tutti, sente un dolore acuto ad un fianco, si tocca velocemente con la mano lungo la schiena, e scopre subito una piccola ferita sanguinolenta. Qualcuno l’ha colpita, forse con un coltello o qualcosa del genere. Si piega, la sorreggono, la portano al margine della confusione, la soccorrono: niente di particolarmente grave, dirà un medico presente; ma forse anche qualcosa di gravissimo.

            Bruno Magnolfi

venerdì 29 novembre 2019

Presa d'atto della realtà.

         

            Lei si sente preoccupata. Non per quello che potrà essere domani o tra qualche tempo; ma soltanto perché l'andamento generale delle sue recenti giornate la costringono sempre di più a pensare soltanto a se stessa, spesso anche per una sorta di autodifesa, invece di preoccuparsi soprattutto degli altri come avrebbe sempre voluto. Si guarda attorno e scopre quasi in ogni momento che tutti sono come rannicchiati in se stessi, qualcuno difendendo le proprie posizioni, altri giustificando le scelte, oppure motivando in qualche modo il loro personale passato, e in ogni caso prendendo in considerazione solamente chi adotta quel medesimo comportamento, costringendo chiunque ad accogliere addirittura lo stesso linguaggio che lascia esprimere le persone quasi esclusivamente in termini coniati soltanto al singolare.
            Sonja si ritrova ultimamente da sola a guardarsi dentro lo specchio, cosa che ha sempre fatto poco in tutto il resto della sua vita, per cercare di leggere la sua vera espressione, quella che forse vedono gli altri quando si lascia andare a qualche commento, e poi ad analizzare il suo sguardo, la sua faccia, le sue piccole rughe, addirittura i capelli, per comprendere meglio qualcosa di sé, un argomento che forse ha sempre un po’ tralasciato. Le dicono sempre più spesso che sono d’accordo con lei, oppure che non lo sono per niente, ma motivando ogni pensiero che hanno loro dentro la testa in dei termini esclusivamente individuali, il più delle volte addirittura sfuggendo in questo modo alla matrice vera che ha definito la maggior parte delle decisioni che lei si è sentita di prendere, nell’arco di tutto il periodo da quando ha fondato, insieme a tutti gli altri, il circolo culturale “Victor Jara”.  Secondo lei una qualsiasi cosa da dire, un’affermazione, sciocca o importante che sia, ha semplicemente valore in se stessa, non in funzione di chi la sta esprimendo; ma questa idea sembra ormai superata.
            Pare incredibile che oggi sia diventato quasi assente un punto di vista maggiormente collettivo, quello che aveva praticamente definito tutte le prime decisioni del circolo, ed in virtù del quale sembrava avere senso rivendicare uno spazio reale di oggettività, un bisogno di condivisione del presente con tutti coloro che avevano voluto aderire all’idea principale di fondo. I tempi sono cambiati, si è spesso azzardato a dire qualcuno in proposito, nonostante riflettendoci sopra sia parso impossibile poter perdere in questa maniera e rapidamente certi fondamentali ideali. Ma tant’è, si prendono in considerazione soltanto gli atteggiamenti maggiormente superficiali, e spesso si tralascia proprio l’analisi della concretezza dei fatti.  
            Sonja sa di sentirsi piuttosto sconfortata, quando si trova di fronte in maniera evidente queste semplici e fondamentali evidenze, eppure è disposta a dare battaglia ed a tentare di portare chiunque a migliori consigli, naturalmente con l’aiuto degli altri che pensano le sue stesse cose. Ma l’amarezza che prova le risulta difficile da condividere davvero con chi le sta accanto, perciò si sente sempre più sola, quasi isolata in una comunità che certe volte avverte distante, respingente, diversa, nonostante in questa fase, considerate tutte le condizioni in cui si trova ad operare, non possa far altro che prendere atto della realtà.


            Bruno Magnolfi    
        

       

martedì 26 novembre 2019

Strade da prendere.



            Si presentano delle occasioni, certe rare volte, in cui qualcosa, non si sa neppure bene perché, pare muoversi sul serio. Un senso di urgenza, di necessità a partecipare, di voglia improvvisa del nuovo, un insieme di stimoli che portano i più sensibili a rispondere a questo forte richiamo, ed a spingersi avanti, senza provare né dubbi né perplessità. Una decisione quasi comune, un passaparola spontaneo, una voglia improvvisa di mostrare con la propria semplice presenza il fatto di aspirare a qualcosa, come se un improvviso salto di qualità nel vivere ordinario chiamasse a raccolta gli individui migliori, oppure più attenti, di un'intera comunità. Questa l'atmosfera che si respira nella cittadina di Sonja, alla vigilia della festa durante la quale sarà distribuita la prima copia del giornale di tutti, una rivista che aspira ad essere un punto di riferimento per gli abitanti del suo borgo cittadino.
            Mancano soltanto pochi giorni, lei si corica nel suo letto come sempre, tante cose sono rimaste incompiute se solo ci pensa, molte di più di quante ne avrebbe potuto prendere in esame fino adesso. Eppure c’è sempre un sogno tra gli altri, che forse per sua natura sembra in qualche maniera avverarsi riscattando improvvisamente tutto il resto. Così Sonja vive quest’ultima avventura, come fosse la principale tra tutte, quella che mostrerà sicuramente cosa è davvero possibile fare per gli altri, impegnandosi in un modo esemplare, fino ad annullare talvolta persino le proprie esigenze, lasciare se stessa in un angolo, fino quasi a scomparire del tutto, risucchiata dalle necessità generali, tra i bisogni evidenti della gente comune, anche di quella che proprio non sa di avere pure lei dei bisogni.
            Chiude gli occhi da sola per cercare la calma in mezzo a tutti i pensieri che le turbinano in questo momento dentro la testa, e per un attimo si scopre una piccola donna, piena di paure come fosse ancora bambina, quasi incapace di razionalizzare al meglio le sue riflessioni come fa sempre durante ogni giorno quando sta in mezzo alla gente. E’ questo il momento in cui tutto sembra andarsene come per proprio conto, cercando quasi soluzioni surreali a quanto si è ancora annodato a margine delle preoccupazioni che restano ferme, a formare delle piccole angosce, quei tanti malesseri capaci di sciogliersi soltanto dando compimento al più presto ad ogni ulteriore riflessione esauriente e concreta.
            Sonja sa bene cosa resti da fare, quale sia la strada imboccata, quali possibilità possono aprirsi adesso per lei e per coloro che hanno creduto alla loro voglia di spingersi avanti, ma forse non basta, perché è il resto della cittadinanza che in questo momento dovrà decretare un giudizio, quello sul suo collettivo, definendo una volta per tutte cosa ci sia davvero di importante là dentro, e che cosa questo rispecchi del pensiero di tutti. Lei riflette cercando la calma, anche se l’emozione la prende, la spinge a chiedersi come abbia fatto a ritrovarsi fino a quel punto, in bilico, in balia di una debolezza che non ha forse mai avuto fino ad oggi, la stessa che la fa tremare pensando a come sarà la sua amata cittadina fra poco, nel prossimo futuro, fra qualche anno: un paese qualsiasi, disimpegnato ed indifferente; oppure un posto vivo, attento alla realtà, capace di scegliere in ogni momento la strada da prendere.

            Bruno Magnolfi 

        

lunedì 25 novembre 2019

Davanti a chiunque.

          

            Uno dei ragazzi che prestano una mano ogni tanto al circolo culturale "Victor Jara", dice con voce bassa ma parole potenti, che senz’altro il momento è particolare, e che bisogna impegnarsi a fondo in quella loro cittadina, per non darla vinta ai tanti superficiali che vi abitano, ed anche alla massa dei menefreghisti. Qualcuno degli altri annuisce, forse con scarsa convinzione, ma quando si tratta di decidere su qualcosa del genere ognuno sa bene che è doveroso per chiunque fare ciò che è stato stabilito. Sempre difficile, si dice, tirar fuori dei pareri positivi dai propri concittadini, ma è questo l'impegno più forte, quello di valore maggiore. Si è pensato di fare un piccolo capannello nella piazza principale del paese, in occasione dell’uscita della nuova rivista del circolo, e di chiamare a gran voce la cittadinanza, magari intorno ad un tavolino presso cui dare delle informazioni e consegnare a tutti quel primo numero, ma qualcuno vorrebbe trovare una forma più particolare per attirare l’attenzione della gente.
            Una piccola manifestazione forse, un breve corteo in cui inserire una parola d’ordine, una semplice frase che riesca a dare la scossa, un motto che possa essere condiviso da molte persone. Qualcuno sorride, non è facile riconoscersi in un evento del genere, anche se c’è un bel po’ di entusiasmo a trascinare le cose. Infine qualcuno pensa ad un vero e proprio piccolo palco da installare nella piazza, ed invitare là sopra alcuni musicisti del luogo a suonare, in modo da proporre il segno di una festa, di una novità per cui rallegrarsi e sentirsi vicini.
            Si decide a maggioranza che questa proposta è accettabile, ed evitando di fare le cose in modo improvvisato si chiedono i relativi permessi alle autorità e si mette in atto rapidamente un piccolo volantinaggio per indicare la data e chiarire gli aspetti dell’occasione. Sonja improvvisamente sente nell’aria lo spirito giusto, le sembra davvero che tutto possa decollare proprio come lo ha immaginato all’inizio, ed in questa fase fa predisporre dai ragazzi tutti i documenti che servono, firmando qualsiasi cosa di cui è necessario prendersi la responsabilità.
            I suoi genitori, pur anziani come sono, una volta informati di tutto quello che è stato ormai predisposto, si mostrano contenti anche loro di quanto al momento sta per avvenire, proprio rendendosi conto che è possibile davvero riuscire a cambiare qualcosa nella testa di tutti i loro compaesani, e che la loro figlia si merita una grande gratitudine, capace come si sta dimostrando di pensare davvero al bene comune, organizzando benissimo le migliori idee che circolano in certi canali. Anche Carlo le telefona per darle il suo appoggio morale, spiegando che le cose da ora in avanti non potranno che migliorare per tutto quel loro centro abitato.
            La tipografia perciò ha già iniziato a stampare, e la prima copia impaginata è già nelle mani dei soci del circolo, per cui si valuta dentro le stanze del “Victor Jara” quale possa essere l’impatto finale di quel giornale sulla gente comune, ma nessuno trova da indicare lacune o porre eventuali perplessità. Si va avanti, la data ormai è stabilita nel prossimo sabato, i musicisti e tutto il resto praticamente è già pronto, il paese inizia persino a parlarne nell’attesa di toccare con mano quanto sono stati capaci di portare in piazza quelli del collettivo, davanti agli occhi di chiunque sarà presente. Basta adesso; resta soltanto da attendere.

            Bruno Magnolfi


          

      

domenica 24 novembre 2019

Imminenti possibilità.


           

            Oltre questi giorni segnati già dall’inquietudine, potrebbe esserci qualcosa di estremamente positivo, una rinascita incredibile, un cambiamento estremo naturalmente in meglio, capace di far addirittura ridere chiunque attorno alla scarsa fiducia che si avverte nel presente riguardo al prossimo futuro. Nel circolo intanto ci si tiene la testa con le mani, e tutti comprendono di essersi esposti persino troppo con il resto della cittadinanza, sbandierando con estrema sicurezza la fiducia negli immediati risultati di tutto il loro impegno, mostrando in questo modo soltanto una certa debolezza, ed una esagerata convinzione nelle proprie possibilità.
            La data di uscita del primo numero di “Victor” infine, è stata ormai decisa, e si lavora in questi ultimi giorni alla sua impaginazione, scegliendo con estrema cura le cose migliori e più d’impatto sul lettore, da evidenziare e mettere in risalto rispetto a quelle da usare come una sorta di ordinario riempimento. Sarà un numero zero, di pura prova, e le aspettative per alcuni sono ormai giunte ad un livello tale che immancabilmente potranno mostrare subito dopo soltanto delusione riguardo ai risultati. Sonja prosegue a guardare avanti, come sempre, e cerca di sganciarsi per come può dal progetto generale, ritornando frettolosamente ad interessarsi delle tradizionali attività del circolo, in modo da non puntare tutto quanto sul giornale, e tentando di lasciare per tutti i soci una qualche via di fuga, se qualcosa davvero andasse proprio male.
C'è una strana aria di attesa nel paese, e gli argomenti che si affrontano nei capannelli lungo il corso sono i soliti, generici, i medesimi di sempre. Si parla del paese, degli individui più particolari che in giro magari si vedono di rado; si dice che la stagione non si è certo rimessa, il vero inverno non è ancora arrivato, e qualcuno spiega di preferire il freddo piuttosto a questa pioggia continua e fastidiosa. Della coppia appena composta praticamente non si parla quasi più, anche perché Carlo e Sonja recentemente non si sono più fatti vedere insieme a spasso per le strade. Loro si sono comunque incontrati qualche altra volta, ma con minore assiduità, forse proprio per non bruciare troppo in fretta quell’entusiasmo che in un primo tempo avevano mostrato.
Così arriva Virginia, la bibliotecaria comunale, in un pomeriggio qualunque, entrando dentro al circolo culturale mentre Sonja sta china alla propria scrivania a sistemare le ultime cose della sua rivista. “Anche se il giornale sarà distribuito soltanto tramite dei volontari, devi imporre un prezzo da far pagare a chi vorrà averla ed anche leggerla”, dice lei con impeto. “In questo modo potremo tenerne qualche copia anche noi nella biblioteca, e magari potrai metterla in vendita anche presso qualche negozio maggiormente in vista, e proprio il pagamento di ogni copia mostrerà ad ognuno il suo valore”. L’altra la guarda per un attimo. “Non avevo riflettuto a questo aspetto”, dice la presidente del circolo culturale; “però ritengo ci sia del vero in ciò che dici. Avevamo pensato di donarla per farne circolare un numero maggiore di ogni numero in uscita, ma adesso che me lo fai notare in questo modo è come regalare carta straccia ai più, che appena voltato l’angolo infileranno i fogli dentro al primo cestino di immondizia”.
“Si potrebbe offrire gratuitamente il numero zero, e forse anche il primo vero numero, stampando comunque sulla copertina il suo prezzo reale, in modo da far comprendere a tutti che c’è del lavoro dietro ad una pubblicazione di questo genere, ed in seguito applicare a tutti coloro che si saranno affezionati alla rivista quella stessa tariffa, naturalmente da tenere piuttosto bassa, e chiedere casomai un’offerta per il sostegno della sua pubblicazione”. “Bene”, dice Virginia, "io ci credo molto in questo tuo progetto, perciò devi impegnarti al massimo per avere un valido risultato, in modo da non ritrovarti mai ad essere dispiaciuta per non aver tentato qualsiasi possibilità”.

Bruno Magnolfi

mercoledì 20 novembre 2019

Indifferenza ad oltranza.


      

            Che cosa importa essere coscienti o meno di quello che è possibile accada tra appena un momento, oppure chissà quando, o magari mai? Sdraiarsi per dormire, nel proprio letto, stanchi di tutto, ed immaginare subito un caleidoscopio di visioni che riescano tranquillamente ad essere il semplice compendio di quanto è stato riflettuto appena in tempi recenti, come un sommario piuttosto fantasioso di quello che capita, o che forse bisognerebbe capitasse. Ci si dibatte all’interno di un percorso che probabilmente non produce risultati, anche se l’impegno in questa maniera appaga facilmente lo sforzo, e si lascia che il succo di tutta la questione sia qualcosa di inafferrabile: importante, interessante, eppure ancora troppo volatile.
            “Voglio dei frutti reali, da questa mia dedizione a quanto ho creduto da sempre”, si mormora piano, con l’espressione di chi crede davvero a quanto desiderato, come se qualcosa evidentemente fosse rimasto addietro, e potesse davvero in questo momento affiancare in fretta tutto il resto, senza alcuno sforzo da parte di chi non ha mai nemmeno creduto nelle capacità di arrivare a dei veri risultati definiti. Si scredita tutto con grande facilità, senza però essere capaci di sostituire ciò che crolla con rimpiazzi efficienti, migliorativi, o almeno dello stesso tenore di quanto si è fatto gettare.
            Altri piccoli attacchi sono stati ideati: brutte scritte sui muri, alzate di spalle al semplice passaggio degli attori del circolo culturale, frasi infamanti nei loro confronti magari pronunciate sottovoce e con un mezzo sorriso, fino a far serpeggiare l’idea che qualcosa di immorale si annidasse tra le fila dei promotori del benedetto giornale “Victor”. Niente di nuovo, in considerazione del fatto che qualsiasi novità in quella cittadina di provincia è sempre stata vista con un certo sospetto, ma forse in questo caso qualcuno sembra impegnarsi di più nel denigrare chiunque prosegua a dare credito al progetto di dotare la cittadinanza di un mensile autogestito.  
            Carlo poco per volta si è quasi defilato dal circolo, con grande dispiacere; altri simpatizzanti iniziano a prendere le distanze, e Sonja stessa è giunta velocemente a chiedersi se sia stata una buona idea quella che ha voluto portare avanti fino adesso con tutta la determinazione che ha impiegato. In ogni caso ormai è tardi anche per un qualsiasi ripensamento, ed anche se tutto l'impegno che verrà adoperato dal circolo non sarà in qualche misura ripagato, le cose devono senz’altro procedere, ad ogni costo. Perché nessuno può permettersi di voltare la pagina ed archiviare l’idea, a patto di perdere la faccia ed anche qualsiasi credibilità.
            I suoi genitori non dicono niente, attendono come sempre le scelte che farà lei, e si sa già che accetteranno in ogni caso qualunque decisione. Virginia invece, la sua amica bibliotecaria, riesce a darle una vera spinta peraltro insperata. Una rubrica, quasi un inserto all’interno di “Victor”, propone lei; una pagina densa, in cui prendere in esame alcuni libri di cui suggerire la lettura agli utenti, sottolineando una motivazione oppure un’altra per farlo, e poi proporre delle semplici recensioni aperte alla discussione e al dibattito, invitando la cittadinanza interessata a chiedere in prestito da loro i relativi volumi. La sua istituzione ne può trarre grande vantaggio, e tutto questo può essere motivo esauriente per avere tra le mani le pagine di un giornale del genere.
            Tutto inizia insomma a prendere forma, in questa maniera, anche a dimostrazione della vitalità positiva di alcuni personaggi che vivono all’interno di quel semplice agglomerato cittadino; ed oramai l’uscita imminente del primo numero della rivista, riesce ad assumere sempre di più le connotazioni e i profili di una vera e propria sfida lanciata quasi di proposito a chi cerca di restare comunque sul piano del dissenso o dell’indifferenza.

            Bruno Magnolfi   

lunedì 18 novembre 2019

Risultati avversi.


           
            Il giornale si chiamerà “Victor”, hanno deciso all’unanimità i soci del circolo culturale, anche in funzione del fatto che il percorso per giungere alla sua pubblicazione, sta diventando per tutti loro una specie di vittoria. E’ un vantaggio per chiunque, si dice, la possibilità di avere a disposizione una rivista mensile, pur di poche pagine e con una grafica senz’altro discutibile, che tenta comunque di parlare a tutti quanti di tutta l’estesa cittadinanza, anche di quella costituita da chi non crede affatto in questo progetto, peraltro molto impegnativo, o di chi manifesta un evidente disinteresse. La collettività in seguito ne trarrà un sicuro vantaggio, si mormora nell’ambito del circolo, ed il fatto che stiano facendosi sentire da qualche parte delle decise avversità, non significa affatto che l’idea generale non sia assolutamente buona, forse la migliore da sempre per quanto riguarda il circolo. Non sono molte le cittadine di provincia a poter permettersi il lusso di una pubblicazione autogestita che riguardi tutto il territorio comunale, e se tutto questo riesce ad assumere una connotazione anche di tipo politico, ciò significa che coloro i quali animano il vivaio dove nascono iniziative di questo genere, stanno nel giusto, con indubbia e grande imparzialità, la stessa che da tempo risulta ormai assente in altri contesti.
            Carlo Cantoni è rimasto scioccato dagli ultimi fatti accaduti che lo riguardano. In molti gli hanno battuto una mano sopra una spalla, quasi a dargli una nuova spinta, anche se forse in molti non lo sentono ancora uno di loro, considerato che è venuto ad abitare in quel paese soltanto da poco tempo; ma a lui forse non è bastato, ha sentito incrinarsi qualcosa nel rapporto sincero cercato da sempre con tutti, ed adesso ha scelto di stare un passo più addietro, impegnarsi di meno e di concentrarsi maggiormente nella sua professione di insegnante, piuttosto che di attivista del circolo culturale "Victor Jara". Con Sonja di questa sua scelta fino adesso non ha neanche parlato, perché “sono questioni piuttosto personali” ha riflettuto, ed è difficile per lui spiegare come ci si sente quando si prendono decisioni di una certa importanza, “e poi comunque lei è assorbita in maniera globale dall’uscita imminente del primo numero della rivista”, e probabilmente, nella ricerca spasmodica di fungere da coordinatrice di tutte le idee e le iniziative che sembrano come prendere vita dal niente attorno a questa pubblicazione, non ha proprio più tempo per preoccuparsi di altro.
            Tutti comprendono perfettamente, nei confronti dell’ispiratrice di quel giornale, la sua bramosia di mettere finalmente in mano ai suoi concittadini una realtà di quel genere, di concretizzare quasi la possibilità di parlare con loro, di tentare tramite quel semplice strumento, il dialogo fondamentale all’interno di una semplice cittadina di provincia, quello tra chi ha compiuto da tempo una precisa scelta di campo, e tutti gli altri. Perché il giornale su cui in diversi ormai stanno già  lavorando, non può limitarsi a relazionare soltanto un definito elenco di notizie e di varie informazioni sull’abitato e su quel loro territorio; “ci vuole un'anima che sostenga la nostra pubblicazione”, dice adesso Sonja a voce alta a chi le chiede qualcosa, ed è per quella che lei si sta adoperando. Già, ci vuole qualcosa di inespugnabile, evidente ed indiscutibile: un elemento che dimostri che con impegno e con grande dedizione si possono ottenere dei risultati che in seguito siano utili proprio a tutti, persino a coloro che hanno avversato da subito l’idea, il progetto, la volontà che ci sta dietro; e che sono disposti anche a boicottare con superficialità tutto quanto, pur di contrastare il buon fine dell’impegno degli altri.

            Bruno Magnolfi

sabato 16 novembre 2019

Peggio di sempre.


         

            Un ragazzo passa correndo lungo la strada principale che attraversa quasi tutto il paese. Sembra giocare, come se quel semplice percorrere di fretta la parte più antica del centro abitato, fosse una specie di gara, uno scherzo da tirare a qualcuno ridendo, quasi una beffa nei confronti di chi tenta di dare del senso al passato, magari proprio per fornire più fiato al futuro. Corre davanti al caffè della piazza principale, in mezzo a diverse persone lì in piedi, che parlano con convinzione tra loro, e lascia che tutti lo notino in quel suo atteggiamento beffardo, che finge di scontare il desiderio di rendere migliori le cose forse proprio tramite quelle parole, riducendo purtroppo ogni volontà solo ad uno scherzo, una semplice superficialità, una stupidaggine qualsiasi, senza alcun significato. 
            Ci sono Carlo e Sonja tra quelle persone, e forse stanno prendendo assieme agli altri gli ultimi accordi per portare a compimento i loro progetti, le idee che hanno avuto ultimamente per rendere più aderente alla collettività il compito del loro circolo culturale. Si parla naturalmente della pubblicazione di questo benedetto giornale, una specie di rivista mensile in bianco e nero dove ospitare qualsiasi voce che nel paese abbia voglia di farsi sentire, ed il confronto per arrivare al primo numero da dare in tipografia naturalmente è serrato, pieno di entusiasmi ma anche di dubbi ed incertezze, tanto che si continua a cercare delle mediazioni tra tutti quanti.
            Il ragazzo passa quasi nel mezzo al gruppo di persone, si ferma soltanto un momento, guarda Carlo in faccia mentre distratto sta parlando con un’altra persona, e d’improvviso sputa verso di lui, come per dare una definizione precisa ai propri pensieri. Poi riprende a correre. Non è un estraneo, in molti sanno chi sia, e già in altri casi ha avuto dei comportamenti particolari; però quello di oggi è qualcosa che va ben oltre qualsiasi comprensione. Si dice subito sia stato mandato da altri, che il suo comportamento sia semplicemente il frutto di alcune malelingue ben note che non reputano positivamente le attività di quel circolo, e qualcuno ci vede proprio un interesse politico dietro a quel gesto, e senza comunque cercare di far pagare al ragazzo la sua sciocca bravata, ci si interroga subito su come scoprire cosa possa esserci nascosto nell’ombra.     
Si serrano le fila, si dice che non è il momento di fare polemiche ma neppure di indugiare troppo: è doveroso andare avanti superando qualsiasi ostacolo, ed il fatto che le attività del circolo culturale siano prese di mira, dimostra perfettamente che tutti loro sono nel giusto, che ciò che è stato pensato deve assolutamente essere portato a pieno compimento. Sonja si trattiene, è dispiaciuta per ciò che è accaduto, perciò apre immediatamente le porte del circolo ed invita tutti ad entrare là dentro, perché la strada e la piazza stanno diventando sempre più dei luoghi insicuri, dove la voglia di fare da parte di qualcuno viene già interpretata come una semplice provocazione. Bisogna cautelarsi, dice Sonja senza riferirsi a nessuno in particolare, guardarsi attorno, essere prudenti; insomma fare tutto quello che serve, ma preparandosi al peggio.

Bruno Magnolfi

mercoledì 13 novembre 2019

Orizzonte di speranza.

         
            "Ecco", dicono gli attivisti politici maggiormente impegnati. "Tutto ha già preso la china del revisionismo, e d'ora in avanti non ci sarà più da aspettarsi niente di buono". Sonja lo sa che a volte in giro si dicono cose del genere, e forse vorrebbe convincere almeno qualcuno tra i più tosti iscritti anche al partito, che nonostante quello che sembra, tutte le attività tendono a restare comunque incanalate nello stesso alveo, ed anche se al circolo culturale “Victor Jara” ultimamente si parla sempre meno dei temi tradizionalmente più cari ad una associazione nata per scopi quasi politici, è ugualmente possibile portarne avanti le finalità impegnandosi in funzioni di supporto, ed anche poco specifiche. Chiara, che lavora nella biblioteca comunale, quando loro due affrontano quell’argomento, le dice che va bene così, che la cosa più importante è riuscire a coinvolgere il maggior numero di persone possibili nelle diverse attività; ma nonostante tutto, rimane comunque in lei una patina di amarezza per non riuscire ad affrontare con la cittadinanza anche i problemi più seri e più di fondo, quelli che riguardano la collettività.
            Sulla base di questo pensiero, ultimamente è maturata nella mente di Sonja la possibilità di creare una specie di giornale del circolo, un vero e proprio contenitore di idee e di istanze raccolte dalla bocca di chiunque abbia in testa qualcosa, da usare come una riserva di spunti ed un elenco di cose da fare, e anche come cerniera nei confronti della cittadinanza. Prendere nota di quanto avviene nel centro abitato, come anche nelle campagne circostanti; dare puntuale notizia delle novità più in evidenza, raccogliere commenti su qualsiasi tema, e quindi a turno, da parte dei soci che se la sentono, effettuare delle vere e proprie interviste alle persone qualsiasi, anche mediante l’uso di un registratore, in modo da mettere in seguito sopra la carta il pensiero vero di tutti quanti, senza alcun filtro, lasciando affrontare da chi ne abbia la voglia anche i temi più scomodi. Quando lei ha presentato il progetto, durante una riunione del circolo, qualcuno ha storto la bocca, ma nessuno tra tutti i presenti si è dichiarato del tutto in disaccordo.
            L'idea del giornale sembra buona, dice adesso qualcuno; probabilmente ci costerà molto dal punto di vista dell'impegno personale di ognuno di noi, e naturalmente servirà anche un discreto esborso di risorse che dovremo impiegare per la sua stampa e la capillare distribuzione; però si può provare, correggere gli iniziali inevitabili errori, e vedere poi quale risultato potremo in seguito raggiungere, anche in termini di apprezzamento cittadino. Alcuni pensano già a delle piccole rubriche fisse da portare avanti anche a livello del tutto personale, altri hanno in mente di ospitare su quel giornale anche le opinioni più scomode, quelle che nessuno normalmente avrebbe mai il coraggio di riferire, ed altri ancora pensano finalmente di inserire là dentro i temi più cari del circolo, quelli per cui il "Victor Jara" è nato, ormai parecchio tempo fa.
            Sonja in questi giorni avverte comunque nell'aria un nuovo entusiasmo, quasi un formicolio se non una febbre, che percorre i soci e gli affezionati del circolo. Era da tempo che non si provava qualcosa di questo genere: “perché sono questi i momenti migliori”, pensa adesso con grande sincerità; “quelli per cui tutto sembra d'improvviso risvegliarsi e mostrare in avanti la strada migliore, quella che concede a chiunque l’orizzonte della speranza.


            Bruno Magnolfi