giovedì 27 settembre 2018

Piccoli cambiamenti.


          

            Marisa gira per casa come sempre. Sua figlia è rientrata dal negozio della signora Martini da circa una mezz’ora, e quando è passata lungo il corridoio loro due si sono salutate appena, subito prima che Clara salisse come sempre al piano di sopra per infilarsi svelta in camera sua. Tra poco dovrà comunque scendere in cucina, chiedere a sua madre che cosa abbia previsto per la cena, e poi dare una mano alla preparazione del cibo e nella sistemazione della tavola. Non è facile passare sopra tutto e dirsi che le cose stiano andando proprio bene, forse ci vorrebbero dei caratteri diversi per farlo, e magari aver sviluppato negli anni dei comportamenti meno spigolosi e maggiormente comprensivi l’una verso l’altra. Però Marisa prende l’iniziativa, e mentre lava le verdure chiede quasi distrattamente chi siano quei ragazzi che da un po’ di tempo vanno a scrutare Clara dalla vetrina del negozio proprio mentre lei sta lavorando.
Non lo so, risponde la figlia registrando con sorpresa un evidente scambio di informazioni tra sua mamma e la Martini; sono ragazzi del paese, io non ho dato mai confidenza a nessuno, ma loro ogni tanto passano da lì e allora mi salutano. E’ tutto qua. La mamma non commenta, in fondo sono cose più che normali, Clara è una bella ragazza, a qualcuno prima o dopo farà senz’altro girare un po’ la testa. Tra un paio di giorni comunque potresti uscire prima dal tuo lavoro, le fa, visto che hai allungato l’orario ormai diverse volte in questi ultimi tempi; vorrei arrivare fino in città per acquistare delle cose. Se puoi farlo ci andiamo insieme in macchina, altrimenti prendo da sola la corriera. Clara rimane in silenzio, il problema posto è semplice, ma porta con sé una serie di altri quesiti. Innanzitutto la signora Martini che sembra ormai sempre più praticamente assente nel negozio, e lascia servire la clientela esclusivamente a lei. E poi visto che tra due giorni è sabato, avrebbe proprio voluto fare un salto davanti al bar Soldini prima di rientrare a casa, e magari fermarsi a scherzare con quei ragazzi che la stanno invitando già da qualche tempo.
Non so se la signora Martini me lo permetterà, dice sottovoce; lo posso chiedere domani. Magari lei ha in mente un programma ben diverso, visto che in questi giorni dovrebbe anche arrivare un rappresentante con il suo nuovo campionario da farci scegliere. D’accordo, tronca l’argomento sua madre; sabato andrò con la corriera, così sarai libera di occuparti di tutte le tue cose. Mi dispiace, dice Clara dopo una lunga pausa in cui ha accomodato le posate e i tovaglioli sopra il tavolo. Mi sento quasi costretta a fare così, però sarei stata contenta di venire in città insieme con te, magari per girare in qualche negozio dove nessuno ci conosce, e guardare bene quali siano le novità di questo periodo. Poi le cade una forchetta, si china per raccoglierla, la porta sotto l’acqua per lavarla e sua madre le va vicino, come per sostenerla.
Sei grande ormai, le dice. Sai decidere da te che cosa ti interessa maggiormente tra le cose che hai attorno. C’è sempre un momento in cui avvengono dei piccoli distacchi, per un motivo oppure per l’altro.  Lo so che prima o dopo resterò più da sola, magari per delle intere serate in questa grande casa, ma non voglio certo ostacolarti, ora che le cose sembrano proprio mettersi bene nei tuoi confronti. Poi si morde la lingua, la figlia la guarda, mette al suo posto la forchetta, e poi resta in silenzio. Ci sarà tempo pensa, per comprendere meglio queste parole.
           
            Bruno Magnolfi

martedì 25 settembre 2018

Difficili decisioni.



Non c'è niente lungo la strada, solo qualche casa che la costeggia, come se quelle poche abitazioni che si incontrano volessero quasi affacciarsi sulle sponde di un fiume sempre placido, dove si avvista raramente qualche barca, o arriva certe volte un pescatore con la sua canna, la sua pazienza, e le sue speranze. Quando si esce dal paese si sa che si trovano solo grandi strisce di terreni coltivati a pascolo, e più avanti una boscaglia fitta costituita da cerri, da ornelli, e anche da castagni. Ci vuole quasi un’ora per arrivare fino in città, con la corriera anche di più, e soprattutto è necessario uno stomaco forte, che regga tutte quelle curve attorno alle colline.
Alcuni ragazzi nel corso di certi sabati si avventurano lungo quella statale, pieni di intenzioni e di voglia di inventarsi qualche serata senza precedenti, ma i più restano in paese, senza molte cose da escogitare, se non muovere i soliti passi lenti intorno alla piazza principale e davanti al bar Soldini. Si parla sempre delle stesse cose, aggiornamenti minuti sulle medesime persone, piccole sciocchezze spacciate come chissà quali novità, e poi commenti sfusi e frasi ironiche per provare a ridere di gusto intorno agli argomenti monotoni di sempre. 
Qualcuno snobba quei comportamenti, quel perdere del tempo senza alcuno scopo, e certi anziani naturalmente si lamentano della gioventù che immaginano così senza futuro, alla quale secondo loro sembra più che sufficiente sentirsi parte di un gruppo per star bene, per avvertire già una sensazione di completo appagamento, come se non ci fosse necessità di impegno. Però non ci sono molti altri svaghi nel paese, ed ognuno deve fare delle scelte per trovare la maniera di sentirsi più o meno sociale. Certe volte poi ci vuole anche un piccolo incoraggiamento per qualcuno, come se ci fosse un discrimine preciso tra chi si ritrova sulle solite panchine e tutti gli altri, e si sentisse la necessità di essere accettati davvero, almeno per le prime volte.
Per Clara è presto per andare al negozio della signora Martini, così parcheggia l’auto della sua mamma lungo una viuzza, e poi attraversa a piedi la strada principale, fino ad arrivare sulla piazza, proprio davanti al bar Soldini. Di mattina non c’è quasi nessuno, se non tre o quattro pensionati che si guardano attorno senza fare niente. Potrebbe farsi vedere anche lei a quelle panchine, una sera delle prossime. Potrebbe accettare l’invito dei ragazzi che sembrano simpatici, che con lei probabilmente cercano soltanto di allargare le loro amicizie. Gli anziani del paese però osservano tutto, hanno un giudizio pronto per qualsiasi cosa, e ognuno di loro sa bene chi sia lei, che cosa faccia, quali siano i suoi comportamenti più abitudinari.
Va superato uno scoglio, non c’è dubbio, forse qualcuno potrebbe riportare velocemente qualsiasi notizia anche a sua mamma, e sua mamma probabilmente non sarebbe troppo contenta di quanto va accadendo. O forse invece si, perché con sua madre non è mai facile capire quale sia il suo pensiero più profondo, quale peso abbia voglia di dare ogni volta ai piccoli avvenimenti a cui le capita di essere spettatrice. Dovrà decidere Clara, questo è il punto, anche se sa perfettamente che una decisione vera dentro di sé è stata presa già da tempo.


Bruno Magnolfi  



venerdì 21 settembre 2018

Dettagli da nulla.


           

            Eravamo compagne di scuola, dice la signora Martini. Lei amava sedersi nel primo banco, ogni anno scolastico, io invece non ci tenevo affatto ad essere sempre sotto gli occhi della maestra di turno. Però mi piaceva quella bambina, aveva sempre qualcosa nei suoi comportamenti che le altre non si sognavano neanche. Marisa, le dicevo certe volte: raccontami una piccola storia che nessuno mi hai mai letto. E lei lentamente iniziava un racconto che mi faceva subito fantasticare, tanto che alla fine mi chiedevo dove mai avesse imparato quelle favole così belle e intriganti. Soltanto più tardi sono riuscita a capire che era capace anche con un certa facilità e naturalezza di inventarsi ogni vicenda che raccontava, così, su due piedi, senza preparazione.
            Poi ci siamo perse per tanti lunghissimi anni, forse tutti quelli che sono intercorsi tra la fine del periodo scolastico e la morte di suo marito. Non lo so per quale motivo, o che cosa sia successo a lei in tutto quel tempo, però ogni tanto la incontravo per strada, e più tardi, quando rilevai il negozio di merceria sulla strada principale del paese, ecco che veniva qualche volta ad acquistare da me ciò che le serviva. Martini, mi diceva con il suo modo un po’ duro; vorrei questo articolo. Ed il suo fare mi teneva a distanza, come sempre, tanto che non ho mai trovato la possibilità di ricordarle in maniera adeguata i tempi spensierati della nostra infanzia. Ma io non ho mai dimenticato niente degli anni scolastici, e quando lei in tempi recenti venne a chiedermi se avessi per caso bisogno di un aiuto al negozio proponendomi sua figlia Clara, dissi subito di si, perché sapevo che con lei non ci sarebbe più stata un’altra occasione per riavvicinarsi.
Le dissi che era naturalmente necessario un periodo di prova, e che non doveva credere che facessi questo per amicizia o per ragioni di cuore, visto che il funerale di Ernesto si era svolto soltanto qualche mese più addietro. Mi serve una persona nel negozio, le spiegai senza sorridere, e Clara mi piace, ma deve impegnarsi e dimostrare di essere all’altezza del compito. Va bene, disse Marisa, perché forse era proprio quello che mi voleva sentir dire, e così mi mandò sua figlia da sola, il giorno seguente, senza accompagnarla né in quella occasione e neppure un’altra volta qualsiasi in tutto questo periodo da quando Clara lavora da me. Così sono trascorsi già cinque anni, dice la signora Martini, e a me farebbe tanto piacere che il clima lentamente cambiasse tra me e la Marisa, anche perché ormai abbiamo ambedue i nostri anni, e per quanto mi riguarda non mi dispiacerebbe un giorno di questi lasciare il negozio interamente nelle mani di Clara, visto che io non ho avuto figli, in modo da mettermi finalmente a riposo.
Continuo a rimandare, lo so, forse dovrei essere più decisa, ma so pure che prima o dopo dovrò affrontare questo argomento con ambedue le Carraresi, e so già perfettamente che a Marisa non piacerà per niente l’idea di dare così tanta importanza a sua figlia anche se invece, secondo me, la merita tutta. Perché Clara è brava, silenziosa quanto basta, e con la nostra clientela al negozio ci sa fare davvero, perché ha pazienza e garbo, tanto che gli affari della merceria vanno piuttosto bene. Forse inizierò col sentirmi indisposta uno di questi giorni, ed anche se mi dispiace la lascerò sempre più in solitudine a gestire il negozio, dice la signora Martini; fino a quando l’argomento sarà già bello pronto per essere discusso nei suoi dettagli.

Bruno Magnolfi

giovedì 20 settembre 2018

Impossibilità.



Ci sono soltanto cinque abitazioni che costituiscono la frazione denominata “del platano”, a tre chilometri circa dalla cittadina di Borgo San Carlo, e se sul davanti le facciate sono divise tra loro dalla stessa strada statale che serpeggia e sparisce sulle colline più avanti, sui fianchi queste case rimangono delimitate da alcune abbondanti strisce di terra perlopiù coltivate a semplice prato, intervallate da diverse colorate piazzole di giardino fiorito. Al signor Remo invece piace più di ogni altra cosa mettere in azione il suo motocoltivatore di colore rosso, e così realizzare quei solchi precisi nella terra e quelle perfette linee geometriche piantumate che lasciano risaltare il grande orto che cura, ricco di varietà vegetali, posizionato un po’ più nascosto dei giardini degli altri, proprio sul retro della sua casa, però ripulito spesso ed in ogni dettaglio, specialmente una volta terminata una delle frequenti e meticolose zappettature, talmente rigoglioso da permettergli di portare sulla tavola ogni volta i frutti meravigliosi di quel suo impegno, fonte di orgoglio e di soddisfazioni. Certe volte ai suoi vicini di casa regala con grande piacere dei pomodori, del cavolo, delle zucchine, oppure l’insalata gradita sempre da tutti, ed anche questo lo fa sentire utile e generoso.
Anche con le Carraresi qualche volta il signor Remo vorrebbe essere carino più di come forse può apparire loro, ma in certi casi gli risulta proprio difficile comportarsi con slancio e con una certa spontaneità, visto che sembra quasi persista una barriera di diffidenza intorno alla abitazione delle due donne, peraltro la più grande di tutto quel gruppo di case, tale da tenere a distanza praticamente chiunque, anche lui. Tanto più che Marisa, la madre, cura ad orto un piccolo pezzo di terra,  ma mette a dimora soltanto poche varietà, quasi si vergognasse di farlo, ed alla fine dedica a queste piantine soltanto una piccola parte del tempo che invece si lascia sottrarre dalle sue rose e dalle altre piante fiorite esposte davanti alla strada.
Difficile anche parlarci con lei, darle magari qualche consiglio, oppure chiederle qualcosa riguardo alle sue strane tecniche orticole, dice il signor Remo; sembra che questa donna sia perennemente in guerra col mondo, anche se forse, alla fine, dietro al suo carattere poco malleabile, deve sicuramente esserci una persona che soffre persino dei suoi stessi modi di comportarsi. E poi c’è sua figlia Clara, una santa secondo lui, sempre in silenzio, nell’ombra, probabilmente per sopportare meglio qualsiasi situazione si possa presentare tra le mura domestiche. Lui lo sa bene, abita proprio di fronte a loro due, dal lato opposto della strada statale, e persino quando vede la ragazza uscire da sola con l’automobile, gli viene da tirare un bel sospiro di sollievo, come se anche lui fosse raggiunto da un pari alleggerimento vedendola allontanarsi dalla mamma. Però c’è da dire che sono ambedue persone estremamente riservate, e per questo non ci si può alla fine lamentare di niente, spiega a volte agli altri vicini il signor Remo, anche se qualcuno probabilmente le vorrebbe più disponibili, allegre, sociali, nonostante tutto questo appaia praticamente impossibile.


Bruno Magnolfi


venerdì 7 settembre 2018

Opinioni diverse.



Sta giù, gli fo, ti dico io cosa c'è da vedere. Va bene, fa lui; una vera fortuna avere tutto per noi un posto di osservazione così privilegiato. Già, gli fo io, e la cosa più importante è che nessuno ci possa notare, che nessuno riesca neppure ad immaginarsi che noi stiamo vedendo perfettamente tutto quanto ciò che ci sta attorno. Dai allora, non perdere altro tempo, dimmi cosa riesci a guardare, fa lui, e cerca di essere il più possibile imparziale nelle tue descrizioni. Bé, ci sono delle persone che camminano lungo il marciapiede, fo io, gente piuttosto interessante devo dire, ma tra queste intravedo giusto due individui, un uomo ed una donna, che proprio in questo momento si sono fermati a parlare tra loro non molto lontano da qui. Non riesco purtroppo ad interpretare le loro voci, a comprendere del tutto le parole che si dicono, avverto soltanto una specie di brusio, ma dalle espressioni e dai gesti che fanno credo proprio stiamo discutendo di cose estremamente importanti.
Descrivili, fa lui, non tenermi così sulle spine. D’accordo, fo io: lui sembra il tipo di persona che sa sempre tutto, forse potrebbe essere un insegnante, sembra peraltro molto orgoglioso di indossare una giacca sportiva che sfoggia come per darsi un contegno. Lei invece è una signora un po’ avanti con gli anni, abbigliamento ordinario però curato, forse un tipo a cui non la si dà a bere facilmente: una persona attenta, meticolosa, e difatti non rimane certo in silenzio ad ascoltare il professore, ma anzi sembra interromperlo spesso, pur con una certa educazione, per dirgli senza mezzi termini quale sia la sua opinione.
Va bene, fa lui, però adesso chiariscimi meglio la dinamica dei fatti: insomma se si riesca a comprendere chi dei due abbia ragione, ad esempio, o magari chi riuscirà a concludere meglio tutta la discussione, chi sarà capace di coinvolgere persino altre persone in quanto si stanno dicendo questi due. Non lo so, faccio io, ci sono delle cose che sembrano come sfuggirmi, ma a me pare sia la donna in questo momento ad essere più motivata rispetto agli argomenti del professore, anche se sono convinto non calcherà mai troppo la mano in tutto quanto. E’ come se della chiacchierata ne facessero una questione di principio, sembra quasi che nessuno dei due intenda riconoscere le opinioni dell’altra.
Eppure ci deve pur essere una soluzione per tutto quanto, fa lui; si deve pur trovare il giusto argomento che metta a tacere ogni altra convinzione e mostri un interesse più alto che non sia una sciocca vincita sul campo che lascia assolutamente il tempo che trova. Ecco, fo io, adesso però si è avvicinata una terza persona, si ferma vicino a loro, sembra sia un conoscente di ambedue, difatti scambia con loro dei saluti essenziali, e poi rimane per qualche attimo in ascolto degli argomenti portati avanti fino adesso dal professore e dalla signora. In una pausa dice qualcosa, sfoggia un carattere calmissimo, il tipo di persona che riesce a ponderare ogni parola che esprime. Ma ora sembra proprio abbiano trovato un punto di convergenza, si riavviano, riprendono come tutti a camminare lungo il marciapiede.
Bene, fa lui, forse sono riusciti a trovare l’equilibrio che pareva mancasse, oppure semplicemente quei due si sono sentiti sopraffatti da un’opinione maggiormente obiettiva di quella che avevano loro, e così hanno deciso di chiudere lì ogni altra discussione. Forse nessuno alla fine aveva davvero ragione, ma tutti si sono accorti che c’era troppa individualità in ciò che sostenevano.


Bruno Magnolfi

martedì 4 settembre 2018

Memoria persa.

            

            Lucio confida al medico di provare un forte senso di oppressione ogni volta che si corica nel letto e chiude gli occhi per addormentarsi, come se il suo corpo cercasse quasi di sfuggire in qualche modo a quel necessario stato di riposo.  Si tratta di alcune sensazioni un po’ particolari, spiega meglio, come se tutte le preoccupazioni della giornata ed anche del periodo si concentrassero nella mia mente proprio in quegli attimi, spaventandomi e rendendomi spesso irrigidito. In pochi minuti però la stanchezza e l’abitudine prendono naturalmente il sopravvento, ed infine riesco come tutti ad addormentarmi, tanto che alla fine sono in grado in genere di riposare bene per tutta la notte senza dover affrontare altri problemi, conservando pur tuttavia una parte di quel forte turbamento provato subito prima del sonno, restandomi impresso nella mente come una brutta esperienza, al punto che riesco a sentirne ancora il sapore amaro per tutto il mattino seguente dopo il risveglio.
Il medico chiede allora a Lucio se questa sua presunta oppressione non sia data per esempio dalla monotonia o dalla pesantezza del suo lavoro, oppure da alcuni comportamenti assunti da qualche suo collega o da qualche conoscente, o anche dai rapporti che intrattiene con i suoi affetti più vicini magari, che in certi casi forse riescono a deluderlo; o magari semplicemente da qualcosa che lui stesso vorrebbe fare e che invece proprio non affronta, ma mentre lo ascolta Lucio comunque si limita a disegnare un gesto in aria con la mano, presentando un mezzo sorriso sopra la sua faccia, come a mostrare l’infondatezza di tutte quelle ipotesi. No, dice subito dopo. Non è questo. Si tratta di una parte di me, di un elemento della mia personalità che sento nel profondo, dove nessun altro ha un ruolo, se non solamente me stesso e la mia sensibilità.
Forse è soltanto un ricordo, prosegue Lucio, qualcosa che senza averne precisa coscienza cerco di far riaffiorare ogni volta alla mia mente, qualcosa che con ogni probabilità adesso non ho più dentro di me, forse perché semplicemente l’ho rimosso: praticamente ci sono certe zone del mio passato di cui sono sicuro una volta essere stato custode geloso dentro di me, ma che poco per volta sono uscite dalla mia memoria. Non so, magari tra un po’ di tempo probabilmente riuscirò a mettere a fuoco nuovamente quel particolare ricordo o tutti quegli altri di chissà quanto tempo fa, però sono sicuro che la mia mente ne ripescherà soltanto la parte che maggiormente sceglie di desiderare, tralasciando furbamente tutte le altre. Sarà così semplicemente un’altra cosa, anche se sono sicuro fingerò che siano stati proprio quelli i miei ricordi che avevo come perduto, ed in questo modo tutto verrà brutalmente riplasmato, come fosse un materiale duttile a cui si può cambiare la forma ogni volta che si vuole. L’oppressione che provo insomma è data forse proprio da questa debolezza che sento nel mio animo, da questa mancanza sistematica di qualche elemento nella mia memoria, e dalla incapacità che provo alla fine di avere in me dei ricordi veri, concreti, obiettivi.
Tutti siamo fatti più o meno così, dice il medico, la nostra memoria produce un continuo lavorio di miglioramento e di sostituzione dei particolari di ogni ricordo, fino a rendere la memoria di ogni fatto del passato spesso quasi un’altra cosa, forse più piacevole, più congeniale alla nostra voglia di tenerne a mente fedelmente dei dettagli. Va bene, dice Lucio, in ogni caso l’oppressione che provo non è certo qualcosa di così comune, e non può essere curata banalmente con qualche pillola o degli ordinari ritrovati medici. Ci vorrebbe un cambio di programma nella mia mentalità, qualcosa che mi provocasse una certa indifferenza verso tutto il mio passato, piuttosto che cercare di ricostruirlo. Come se improvvisamente mi ritrovassi a vivere soltanto di presente, senza bisogno alcuno di avere ancora dei ricordi.


Bruno Magnolfi