domenica 29 dicembre 2019

Vuoto.


        

            Ridono, quando sono insieme. Gli altri per esempio hanno sempre un'immancabile birra con cui gingillarsi, ma loro due no, a loro sembra che basti poter stare all'aria aperta e scambiare le riflessioni più sconclusionate che riescono a tirar fuori quando si ritrovano. Li guardano ogni tanto, ma in fondo tutti nel gruppo si sonno abituati al loro comportamento: inizialmente sembrava ironia quella che mettevano assieme con i loro modi, poi tutti quanti si sono lasciati convincere che loro due sono proprio fatti così, differenti dagli altri, vicini ai ragazzi certe volte, ma in tutte le altre occasioni lontanissimi da tutti. Qualcuno non comprende neppure il perché si facciano vedere quasi ogni giorno al loro solito posto di ritrovo, anche se spesso arrivano insieme, come qualche altra volta se ne vanno via insieme. Ma poi all’improvviso uno dei due non si è più fatto vedere. L’altro si, ma restando sempre ai margini della comitiva.
            Difficile stabilire che cosa sia potuto accadere, anche perché a nessuno sembra interessare anche soltanto parlarne. Perché questo è il comportamento ufficiale di fondo: ognuno è padrone di sé, si va e si torna a proprio piacere, nessuna spiegazione, si respira la libertà a pieni polmoni, anche quella di non suscitare alcuna curiosità. Si sorseggia la birra e poi basta. Lui dice che stasera è passato da qui perché non sapeva che fare. Poi ride, come per aver detto qualcosa di divertente, e gli altri lo guardano un attimo, e buttano giù un sorso, senza trovare commenti da fare. Soltanto uno su due: in fondo va bene, visto che quell’uno soltanto riempie un piccolo vuoto, lo stesso che fino a poco fa riempivano in due. Non ha alcuna importanza cosa possa essere accaduto, se nessuno ne parla, lo chiede, se nessuno ne ha qualcosa da dire, vuol dire che va bene così, le variazioni vanno presto ricucite, ridotte in fretta alla normalità.
            In seguito anche lui non si fa più vedere, ma tutti se lo aspettavano, non c’è niente di strano, doveva succedere: spesso è solo questione di tempo, poi le cose assumono poco per volta il comportamento che era stato già immaginato, e così non c’è proprio niente da aggiungere, era quasi previsto, non c’è da meravigliarsi di niente. Infine ritornano, tutt’e due, e ridono come niente fosse successo anche se nessuno dei ragazzi ha voglia di chiedere loro qualcosa. Ci saranno stati dei buoni motivi, sicuramente, o forse era semplicemente un momento in cui le cose non potevano andare altrimenti, proprio così, senza mettersi minimamente di mezzo a preoccuparsi di un qualsiasi comportamento. Invece loro due adesso parlano, magari ridendo, proprio come sempre, ma in questo momento sembra abbiano voglia di dire le cose.
            “Siamo contenti di venir qui”, dice uno dei due; “anche se non c’è molto da fare, oltre a sentirsi insieme, poi ridere, guardare qualcuno che si beve una birra, o che guarda per terra. Non è molto, però va bene anche così, perché non ci devono essere dei veri motivi per sentirsi compresi, è già sufficiente stare seduti sulle sedie all’aperto di questa casa del popolo, e ascoltare qualcuno che dice una cosa, poi un altro magari che gli risponde, gli altri che restano perennemente in silenzio, e tutti che non si aspettano niente da questa serata, o da un’altra, o anche da tutte quelle altre che verranno in futuro. Va bene così, perché nient’altro è importante.

            Bruno Magnolfi

giovedì 26 dicembre 2019

Calmo viatico.


           

            Inizialmente doveva pensarci, almeno certe volte, e fare ogni cosa quasi per una auto imposizione, come una decisione ormai presa una volta per tutte; ma adesso, dopo tutto questo tempo, le viene assolutamente naturale, come qualsiasi altro gesto che si compia senza neppure riflettere. Sono trascorsi ben dieci anni da quando lui se n’è andato, quasi senza lasciarle una spiegazione plausibile, una motivazione razionale, un elemento, almeno abbozzato, di riflessione accettabile sulle ragioni per cui la loro relazione non avesse avuto fortuna, esclusi quei tre o quattro anni iniziali, quando tutto era parso perfetto, almeno per lei. Adesso che non ha più qualcuno a cui dedicarsi, nessuno a cui dovere delle spiegazioni, o motivare la propria condotta, quei suoi gesti e tutti i movimenti che prosegue a compiere in modo anche meccanico dentro l’appartamento in cui è rimasta da sola, si sono perciò come dilatati, e lei ha rallentato tutto quanto, quasi che il tempo da trascorrere le fosse apparso poco per volta ben più importante di ogni azione da compiere.
            Persino quando la sua vicina di casa le suona il campanello, le rare volte in cui questo accade, lei arriva fino in fondo al corridoio per aprire la porta con una lentezza quasi estenuante per chi non ne conoscesse le ragioni profonde. Molte volte le è già accaduto di osservare un oggetto che rotola sopra il suo tavolo di cucina, e infine cade, senza che lei muova in fretta una mano per evitare che questo succeda, o per provarne almeno un blando tentativo. Le ha lasciato una rendita lui, un bel gruzzolo che le permetta di non preoccuparsi di nulla, almeno da quel punto di vista, ed il senso di inutilità in cui lei si è sprofondata pian piano è tale da costringerla in una specie di sfera del tutto personale e intoccabile. “Come va, oggi?”, le chiede la vicina mentre lei con tutta la calma del mondo la lascia entrare dentro la sua casa. L’osserva, si ferma, muove una mano, si inumidisce le labbra prima di rispondere, e poi spiega: “direi bene, tutto sommato; ho pensato persino di uscire nel pomeriggio, ma poco per volta ho finito per abbandonare l’idea, e così eccomi qua”.  
            Ogni parola naturalmente è ben scandita, ogni frase quasi una nenia interpretata al rallentatore, ma oramai non sembra affatto che reciti, e piuttosto, almeno chi non la conosce, sarebbe quasi portato a pensare che la sua è una qualche strana malattia ti tipo nervoso, come una specie di stato di agitazione al contrario. Forse è proprio questo il senso finale che lei intende mostrare soprattutto a se stessa, ma alla fine anche agli altri: niente per lei è più come una volta, anzi lei stessa è diversa, come attaccata da un male incurabile, un morbo tanto complesso e quasi unico, tale da produrre in una persona fragile e sensibile quale lei si ritiene, un comportamento di difesa così semplice e contemporaneamente stravagante. “Se ha bisogno di qualcosa”, le dice ogni volta la vicina che mantiene un atteggiamento deferente ma distaccato con lei, “non si periti a suonare il campanello del mio appartamento”. “Grazie”, generalmente è la sola risposta che ottiene, e mentre va via, aspettando con calma che lei le manovri la porta che dà sul pianerottolo in comune, non manca mai di pensare che in fondo è soltanto una povera donna che forse andrebbe aiutata.   
            Lei sorride mentre non manca di dare un giro di chiave al portoncino del suo appartamento, e poi in maniera estenuante si volta, e torna a muovere dei passi lentissimi generalmente fino a tornare al suo posto preferito per stare in casa seduta: vicino alla finestra cioè; ma non tanto perché da lì è possibile osservare qualcuno che si muova lungo la strada, quanto perché riesce, vicino ai vetri, ad apprezzare appieno, osservando le chiome degli alberi allineate lungo il viale, la saggia e caparbia lentezza della luce del sole durante ogni giorno, quasi un viatico per i suoi pensieri.

            Bruno Magnolfi

lunedì 23 dicembre 2019

Rapidamente vita.


          

            Presto. Oggigiorno non si può certo permettere con indifferenza che per una sciocchezza qualsiasi si debba impiegare del tempo. Si deve affrettare ogni aspetto, tutto deve essere compiuto alla svelta, non si può gettar via le ore e le giornate con delle semplici cose per le quali è sufficiente impiegare appena qualche minuto. Lei scende le scale, è cosciente del suo leggero ritardo, ma forse non ha molta importanza, con pochi passi affrettati sarà subito là davanti al solito posto, dove di nuovo si è data appuntamento con Carlo, giusto per prendere con lui un semplice caffè, scambiare quattro chiacchiere di circostanza, forse decidere il giorno in cui andare insieme a teatro, e poi via, un breve saluto e di corsa verso gli acquisti da fare.
            Un sacco di cose da scegliere e da provare, impiegare il minor tempo possibile per riuscire a decidere la giacchina e la gonna che ha in mente, forse anche una camicetta, qualcosa comunque da spendere poco, proprio il minimo indispensabile. E ancora fare un salto al mercato, prendere pane, formaggio, la frutta e la carne, non più di una busta per tornare a percorrere tutta la strada a ritroso, fino a tornarsene a casa, evitando che le dita delle mani inizino ad indolenzirsi per tutto quel peso da sorreggere mentre cammina. Prepararsi qualcosa da mangiare, forse restando anche in piedi, mentre prosegue a consultare qualcosa tra il telefono ed il suo elaboratore portatile, naturalmente con un occhio sugli ultimi comunicati che intanto trasmette la televisione, prestando importanza solo alle cose di vero interesse.
            Quindi via, verso il lavoro, per attaccare subito con il turno pomeridiano, dove dentro la sala insieme ad altre venti persone bisogna rispondere con le cuffie a tutti coloro che hanno bisogno di informazioni, di dati, notizie, dettagli, però subito, adesso, immediatamente, perché non c’è un solo minuto da perdere, e va tutto risolto nel minor tempo possibile. Sinapsi che si attivano giusto in un lampo, parole che vengono lanciate a destra e a sinistra senza imbrogliarsi, espressioni del volto che oramai rinunciano persino a formarsi per lasciare agli occhi e alla bocca tutto l’impegno che serve al cervello per lavorare e conservarsi costantemente sotto pressione.      
            Nelle piccole pause che a volte si formano pensare qualcosa che valga per quel poco di tempo che resta della giornata una volta terminato quel turno, insieme all’orario del suo lavoro: tornarsene a casa, fare un salto da una sua amica, accettare un passaggio da qualche collega; scelte da fare, da architettare in un attimo, senza sbagliare un bel niente, prima di ritrovarsi a fare qualcosa che lei non avrebbe voluto, come una serata sbagliata, delle giustificazioni da dare, alcune spiegazioni da mettere avanti, moltiplicando frasi e discorsi che sembrano non essere mai sufficienti a risolvere tutte le cose e a mostrare la sua vera volontà.
            D’altra parte è questa la vita: riuscire a reggere il passo che tutto quanto prosegue a richiedere, mentre si seguita costantemente a comprimere tutto ciò che serve di meno, le cose che giorno per giorno si sono ridotte ad essere ben poco importanti, di cui forse ce ne importa di meno, così ininfluenti oramai che vanno a comprimersi, in un attimo appena, nella folla indifferenziata delle dimenticanze, un cumulo informe che forse dovremo riprendere in mano un giorno o quell’altro; d’accordo, ma non certo adesso.  

            Bruno Magnolfi

sabato 21 dicembre 2019

Almeno per oggi.


               

            Il bambino sale ancora una volta la piccola scala dello scivolo nei giardinetti di quel quartiere, anche se oramai non ride quasi più mentre si lascia scorrere per quell’attimo di tempo che dura il divertimento lungo la breve striscia metallica ben levigata. Suo padre, seduto sulla panchina vicina, legge senza interesse qualche articolo di un vecchio giornale che ha trovato là sopra, quasi per sentirsi impegnato in qualcosa. Il pomeriggio pare portarsi avanti con una certa lentezza, come se persino la vegetazione del piccolo parco cittadino mostrasse indolenza, con le foglie gialle degli alberi ed i rami scheletrici, rispetto alla misura del tempo. "Mattia", inizia a dire l'uomo per richiamare l’attenzione del suo bambino; "ultimo giro e poi ce ne andiamo", gli fa, con una voce che cerca di tranquillizzarlo. Suo figlio, nonostante forse si stia già annoiando, sembra però quasi non ascoltarlo: "questo è il mio spazio” pare che pensi, "ed anche se non mi diverto quasi per niente a giocare da solo così, questo è comunque il massimo che posso ottenere da una giornata qualsiasi, senza nessuna novità".
            Il padre piega il giornale e quindi lo lascia esattamente dove lo ha trovato, poi va incontro a suo figlio, che si rialza in piedi dopo l’ultima identica discesa, e con rassegnazione e lo sguardo un po’ basso prende la mano che gli viene offerta. “Mio papà da quando è disoccupato passa molto tempo con me”, sembra pensare mentre tornano verso casa; “però non ha più voglia di ridere come qualche volta accadeva”. Lui sta aspettando da tempo almeno una risposta positiva da qualcuna di quelle aziende alle quali ha spedito le carte con l’elenco preciso delle proprie esperienze, ma tutto per lui sembra come sospeso. Domani andrà di persona in un posto che gli hanno indicato, e dignitosamente, a chi vorrà ascoltarlo, spiegherà che oramai è arrivato agli sgoccioli, non ce la più a tirare avanti con un figlio piccolo da crescere, senza un lavoro.
Forse gli diranno le solite cose, non è il momento giusto, non stiamo cercando del personale, siamo a posto cosi; oppure gli chiederanno se è disposto a fare trasferte, o ad accettare mansioni rischiose, oppure a lavorare di notte, su dei turni precisi e pesanti. "Ho un figlio piccolo", dovrà rispondere lui, come se fosse la sua palla al piede, il suo cruccio, l'impedimento più grande di tutti; "e purtroppo non ha più una madre". Tireranno un sospiro, osserveranno le loro carte sopra la scrivania ordinata, e poi diranno: "le faremo sapere", come dicono sempre. Ma lui tornerà da Mattia e gli dirà una volta di più che va tutto bene, presto inizierà a svolgere un nuovo lavoro, e potranno permettersi qualcosa di più delle ristrettezze in cui vivono adesso.
Certe volte si sveglia presto, mentre il bambino sta ancora dormendo, e allora arriva fino ai mercati, dove servono braccia per sistemare le casse, spostare i pianali dagli autocarri, farsi vedere attento, preciso, uno che sa darsi da fare senza tanti problemi, e i caporali lo lasciano fare, gli indicano i posti dove sistemare le casse, magari gli allungano anche un paio di guanti, per non farsi male su una scheggia o su un chiodo. Quando tutto è finito gli danno qualcosa, certe volte gli chiedono di farsi vedere l’indomani mattina, ma spesso anche no, ed allora lui se ne torna alla svelta verso il suo appartamento, dove dorme ancora suo figlio, ma sa almeno che adesso può comprare qualcosa per lui, per mangiare in maniera decente, almeno per oggi.

Bruno Magnolfi

         

martedì 17 dicembre 2019

Aggiornamento di stato.

           

            La televisione continua a ripetere da stamani le medesime notizie, forse nel caso in cui qualcuno si fosse distratto, magari mostrando una evidente incapacità a lasciarsi debitamente informare. Nel corridoio degli uffici pubblici lui continua a cercare una specifica bacheca chiusa con delle vetrine, in cui gli hanno spiegato esserci affissi degli elenchi cartacei riportanti probabilmente anche il suo nome, in qualità di iscritto al nuovo corso di aggiornamento peraltro del tutto necessario per continuare a svolgere il proprio mestiere. Il problema di fatto è che il corridoio appare lunghissimo, con le pareti coperte di avvisi e di variegate bacheche, ed anche affollato di persone probabilmente alla ricerca di qualcosa che le riguardi, ed in questa  baraonda a lui non pare di vedere nulla che sia riferito alla sua situazione.
            Chiede a qualcuno nel caso in cui si trovasse davanti ad una persona nelle sue stesse condizioni, ma nessuno sembra neanche dargli troppo retta, forse soltanto per l’indole legittima di non evidenziare le proprie cose ad uno sconosciuto. Lui perciò dopo mezz’ora si stufa, da’ per scontato che la bacheca e l’elenco ci siano da qualche parte, e che il suo nome sia riportato in calce là sopra, per cui se ne va, senza preoccuparsi di altro. Lo chiamano poco dopo al telefono portatile, quando è già uscito lungo la strada, e gli chiedono senza mezze misure quale numero gli sia stato assegnato nell’elenco del corso di aggiornamento. Lui dice che non lo sa, ma dalla reazione che ottiene dall’altro ricevitore capisce che non è stata una buona idea rispondere così.
            Perciò decide di rientrare negli uffici pubblici, ma prima si ferma in un locale per un caffè, tanto per concedersi una pausa. Qualcuno al bancone del bar dove si è appoggiato, dice con calma che ci sarà da arrabbiarsi sul serio uno di questi giorni, e che coloro i quali tirano le fila della situazione generale, hanno deciso che tutti quanti devono possedere una propria posizione definita. Quando lui infine rientra nel lungo corridoio pubblico degli uffici, molte persone se ne sono ormai andate, e regna adesso una certa calma, tanto che viene subito in avanti un usciere volenteroso per fargli presente quale sia la vera bacheca che lo interessa, e di cercare esattamente là sopra il proprio nome. In un elenco infinito scritto in caratteri minuscoli, appare, nell’ordine alfabetico con cui è stato stilato, anche il suo nome difatti, con a fianco, divergendo dagli altri, la dicitura "inevaso". Il portiere, rimasto alle sue spalle, gli consiglia di andare subito al piano superiore per chiedere chiarimenti, e lui sale frettolosamente la scala di marmo fino a ritrovarsi davanti ad uno sportello con un impiegato occupato a svolgere delle timbrature.
            Attende, poi dice "scusi", timidamente, e l'altro con fare scocciato gli chiede che cosa desideri, ma proprio nel momento in cui lui cerca di spiegare ciò che gli sta succedendo, l'altro si volta per scartabellare qualcosa in uno schedario, quindi torna allo sportello, e mentre pronuncia le parole "ripresentare domanda debitamente compilata", gli allunga un foglio di carta scritto con bei caratteri e firmato presumibilmente da qualche profilo superiore di quegli uffici, riportante le stesse esatte parole. Poi l'impiegato chiude la feritoia attraverso cui gli parlava, e sparisce nelle stanze sul retro, lasciandolo solo. Evidentemente qualcosa non è stato fatto come avrebbe dovuto, pensa lui, e mentre va a riprendere le scale per scendere al piano sottostante trova l'usciere di prima che a gesti lo indirizza verso una piccola e ripida scala di servizio, tramite la quale lui si ritrova direttamente sulla strada, senza alcuna spiegazione aggiuntiva. Così torna a casa, e la sua televisione, rimasta accesa forse per svista, sembra ancora ripetere le medesime cose di prima, anche se adesso è una donna che legge con voce melodiosa le varie notizie.


            Bruno Magnolfi
       

mercoledì 11 dicembre 2019

Buon andamento aziendale.

            

            Torna facile dare appuntamento senza alcun preavviso ad una persona già forse impaurita dalle voci che corrono ultimamente in azienda, chiedendole perentoriamente di farsi vedere negli uffici della direzione al termine dell’orario del suo turno di lavoro. Lui è uno di quei dipendenti ormai segnato, che va costretto a dimettersi, o almeno lasciare alla svelta quel suo ruolo di supervisore del ramo produzione, troppo ambiguo il suo comportamento negli ultimi tempi, così poco consono alle esigenze di produttività dell'impresa ed alla linea che desidera tenere la nuova proprietà. Non c'è bisogno di spiegare neppure troppe cose, basta convincerlo che i suoi metodi non sono adeguati, e che può rivolgersi tranquillamente alla concorrenza, se vuole conservare un profilo simile a quello che riveste in questo momento, oppure accettare un forte abbassamento di livello e rientrare nei ranghi più produttivi, al massimo come caposquadra.
            Non si può essere troppo flessibili, c’è bisogno di dare una sferzata alle sacche di stanchezza del personale che ultimamente si sono venute a concretizzare, e senz’altro far circolare la voce che tra i dipendenti dell’area produttiva è stato colpito qualcuno che reggeva le fila di un certo andazzo, può essere la svolta giusta che in questo momento ci vuole. Naturalmente non interessano a nessuno gli anni di esperienza e le capacità dimostrate dal dipendente nel galleggiare tra i capireparto senza mai pestare i piedi a qualcuno, e non è comunque un tipo di figura intermedia troppo amata dai dipendenti dentro l’azienda; peraltro non appare dalla sua schedatura neanche uno con delle simpatie sindacali, forse soltanto per compiacenza verso i suoi superiori, per cui, senza alcuna difesa, dovrà rassegnarsi rapidamente, magari anche su due piedi, alle novità che incombono attorno alla propria carriera.
            In seguito non ci saranno dei grossi problemi: colpito lui e qualcun altro del genere, gli altri abbasseranno velocemente le orecchie e saranno maggiormente disposti ad aumentare tutti i ritmi di lavoro, e quindi anche accettare senza battere ciglio gli straordinari richiesti. Certo, di controparte lui potrebbe rifarsela con qualche superiore, magari prenderne di mira l’auto con cui lo ha visto dentro al parcheggio, e di nascosto forare una ruota o graffiare la carrozzeria, ma anche questo può essere un problema aggirabile, magari facendogli spiegare segretamente da qualche dipendente di cui si fida, che se avverranno cose del genere sarà lui il primo ad esserne incolpato. Per vie legali naturalmente non avrebbe alcuna possibilità di cavarsela, ed anche se cercasse di mettere contro la direzione un qualsiasi gruppo di dipendenti che per qualche motivo tengono dalla sua parte, sarà facile disinnescare qualsiasi volontà in questo senso.
            Così non resta che starsene in ufficio almeno in tre, ad attendere che lui arrivi all'orario pattuito, e senza neppure invitarlo a sedersi, fargli un paio di domande specifiche per metterlo il più possibile a disagio, fino a quando, lasciandogli intercettare degli ambigui sguardi ammiccanti tra coloro che ha di fronte, inizierà a balbettare e a comprendere sempre meno che cosa gli viene davvero richiesto. Nessun sorriso, nessuna benevolenza, soltanto un’aria di ostilità riversatagli in faccia da chi è fermamente convinto delle sue scarse qualità, tanto da dover mettere in pratica, per costrizione, tutte le misure necessarie per il futuro buon andamento aziendale.


            Bruno Magnolfi  
           

          

venerdì 6 dicembre 2019

Originali nascosti.




La donna senza fretta cammina lungo il marciapiede, si sofferma ad osservare una vetrina quasi distrattamente, poi prende una decisione. Entra nella piccola gioielleria con fare piuttosto deciso ed un immancabile sorriso raggiante sulla faccia. È ben vestita, capelli in ordine, ed un trucco leggero sopra la sua espressione, con un rossetto velato sulle labbra, da gran signora. Si sente scaltra lei, in queste occasioni sa che nessuno può tenerle dietro, figuriamoci un piccolo commerciante abituato a mettere sul banco anellini di fidanzamento e qualche girocollo senza importanza. Lei si guarda attorno per un attimo, poi chiede subito di una collana importante, un regalo da fare a sua madre dice, qualcosa che lasci l'anziana donna senza parole. Il gioielliere si schiarisce la voce, balbetta qualcosa, guarda fuori dalla porta a vetri con la chiusura automatica, poi si decide ed apre la cassaforte nascosta dietro un angolo, tirando fuori subito i pezzi migliori tra quelli che tiene dentro al suo negozio.
Lei intanto parla, dice delle cose generali di sua madre, sui rapporti che intrattengono, sul tenore di vita a cui la sua vecchia è da sempre abituata, ma senza esagerare, con metodo, lasciando supporre molti aspetti e mettendo in condizioni il gioielliere di ascoltarla e di annuire alla massa di notizie che gli viene sciorinata. I pezzi le piacciono, ma non è convinta completamente, "perché mia madre", spiega senza smettere un momento di parlare, "è abituata a cambiare i gioielli che indossa anche diverse volte al giorno, a seconda delle circostanze, e per questo le sue amiche, quando si incontra con loro per la partita a carte o per il tè, secondo lei devono sempre rimanere quasi meravigliate di tutto ciò che riesce a sfoggiare".
Il negoziante tira fuori altre cose: spille, bracciali, diademi, i migliori pezzi di tutto ciò che tiene in cassaforte; l'ora è morta, in genere non viene nessuno durante il primo pomeriggio, e lui può intrattenersi senza problemi con una cliente così importante che a guardarla bene gli pare addirittura di conoscere, tanto da aver notato la sua faccia magari in televisione, durante qualche ricevimento d'alta borghesia ripreso dalle telecamere. Lei osserva tutto e fa diverse volte i complimenti al gioielliere per la sua capacità di mettere in vendita anche degli oggetti poco usuali, ma niente riesce a convincerla davvero, e dopo aver fotografato con il suo cellulare un paio di collane, "per averne memoria", spiega all’uomo che non è del tutto convinta, deve pensarci, probabilmente ripasserà durante uno di quei giorni seguenti.
Il gioielliere l'accompagna fino alla porta, le apre e con un gran sorriso le dice che per lei sarà sempre a sua disposizione, in qualsiasi momento vorrà tornare a fare una visita nel suo piccolo negozio. Lei se ne va, con la sua borsetta firmata ed il tailleur elegante sotto al soprabito, e naturalmente soltanto quando lui sta rimettendo a posto gli oggetti sparsi sui velluti del bancone, si accorge che qualcosa manca, il pezzo meno preso in considerazione durante tutta la visita della donna. Ma in fondo tutto ciò non ha neppure una enorme importanza: ciò che lei si è preso è solamente una copia del pezzo originale, il quale resta al sicuro tenuto dentro un fagottino, messo in un angolo come qualcosa senza alcun valore, riconoscibile soltanto per una sigla con cui il gioielliere ama ricordarsi bene quali siano là dentro i gioielli veri e originali.

Bruno Magnolfi

giovedì 5 dicembre 2019

Conforto necessario.

          

            "Non mi sento bene", dice lui con la sua voce di circostanza, osservando qualcosa nel vuoto mentre sta seduto di fronte alla vetrata del soggiorno che rimanda i bagliori rossastri del sole al tramonto. Lei non risponde, rimane appoggiata con la schiena sulla sua comoda poltrona, a cercare con gli occhi fissi in avanti le aree di variazione quasi impercettibili dei colori nel cielo davanti a sé. “Non saprei descrivere i sintomi", prosegue lui, "ma è come se qualcosa di estraneo si fosse inserito nella mia testa, e mi confondesse continuamente i pensieri". Lei sembra non dare peso a queste parole, impassibile prosegue ad osservare l’incupirsi progressivo ed inarrestabile di ogni sfumatura. “Dovresti prendere un calmante”, stabilisce alla fine; “le prove della Messa da Requiem ti hanno svuotato, ti è rimasto soltanto il solito nervosismo prima di ogni debutto”.
            “Forse hai ragione”, fa lui; “in ogni caso sotto il profilo del concerto di domani mi sento abbastanza tranquillo. Le cose stanno andando piuttosto bene, e non prevedo sorprese, anche se niente gode di completa certezza". Poi si alza dalla sua poltrona, fa qualche leggero cenno incomprensibile con il capo, e poi si volta verso il tavolo, dove si serve qualcosa da bere. "Non è facile tenere sempre un profilo attento e  rigoroso", dice dopo un minuscolo sorso. "Spesso sembra che tutti siano pronti a puntarti un dito contro, nel caso in cui ti lasci andare appena di un niente". Lei improvvisamente lo guarda fisso, come cercando di vedere qualcosa sopra al suo viso che le è probabilmente sfuggito fino a questo momento.
            Squilla il telefono, i soliti auguri di colleghi, di amici e musicisti, poi lui torna a sedersi spegnendo l’apparecchio, forse cercando di nuovo quel punto impreciso che fissava fino ad un attimo fa. “Certe volte immagino delle cose che neppure esistono”, le dice come facendo una confessione dolorosa. “Poi mi vengono davanti delle masse sonore scomposte, come se tutto si muovesse ancora nell’attesa di essere riorganizzato, sistemato a dovere, controllato in maniera precisa e definita”. Per lui la musica è solo pianificazione, severità, mestiere insomma, niente che sfugga alla mano di tutto ciò che viene ogni volta prestabilito. Lei conosce benissimo il suo rigore e la sua disciplina nel portare avanti le cose, come comprende benissimo la sua pausa riflessiva del giorno prima, e così conosce i dubbi inconfessati che sembrano attanagliarlo durante ogni vigilia, anche se qualcosa stavolta sembra diverso.
            “Puoi farti sostituire”, dice lei all’improvviso per dargli una scossa a cui lui certamente non può rimanere indifferente. Invece non ottiene alcun risultato, come fosse esattamente quanto lui sta proseguendo a pensare. Torna a guardarlo girando di nuovo la testa dalla sua poltrona, e vede che piange, che non riesce proprio ad affrontare qualcosa che lo tormenta. “Devo fare il mio dovere”, dice lui sottovoce, come se la sua fosse praticamente una missione, qualcosa di paragonabile alla difesa della propria patria. “Non mi sento sorretto”, dice di botto; “e se fino ad oggi non ho mai provato questa necessità, adesso è diventato qualcosa di estremamente importante”. Lei si alza, gli va vicino, gli accarezza la faccia: è solo un bambino, pensa; soltanto un bambino con le necessità di tutti i bambini, di sentirsi accudito, protetto, confortato.


            Bruno Magnolfi
           

lunedì 2 dicembre 2019

Grave.


          
            In piazza ci sono tutti, i conoscenti e le facce amiche di sempre, naturalmente; ma anche tante persone curiose, che nessuno si attenderebbe di vedere in occasioni di questo tipo. Sul palco suonano i ragazzi per allietare la giornata, ed intanto si distribuiscono in giro le copie del nuovo giornale, accettando qualche offerta da parte di chi sta apprezzando questo grosso sforzo. Quelli che non si fanno vedere sono coloro a cui il semplice richiamo di un’occasione del genere non è affatto arrivato, e forse non arriverà mai, perché non credono più, o non hanno mai creduto, in queste mobilitazioni, in queste feste, in questi segnali.
            Sonja stringe le tante mani e sorride a chi le fa i complimenti, ma dentro di sé prosegue ad interrogarsi su coloro che non ci saranno quest’oggi, e rimarranno disinteressati per sempre a farsi vedere per strada, a mostrare la loro idea, a schierarsi in qualche maniera. Forse non ha neanche molta importanza adesso tutto questo: il giornale sembra riscuota un buon successo, e tutti coloro che lo prendono tra le mani paiono proprio apprezzarlo, sia nei titoli, che per come è impaginato, tanto che alcuni fanno qualche donazione, altri si informano su come abbonarsi.
            I ragazzi continuano a suonare, poi lei sale sul palco, loro si interrompono, lei sorride a chiunque, e prende il microfono. “Deve essere il giornale di tutti, anche di quelli che oggi non sono qui, per una ragione o per l’altra”, dice. La gente applaude, è d’accordo, non è certo il momento di rappresentare una parte soltanto della cittadinanza. “Dobbiamo intercettare in qualche modo anche il loro pensiero”, prosegue, “e mostrare che nella nostra idea, gli articoli che formano queste pagine non devono essere solamente quelli relativi ad un solo modo di essere, ma anche di quello riguardante tutti gli altri, persino di coloro che non credono, o magari non hanno mai creduto possibile, di poter essere in qualche modo rappresentati”.
            Le persone applaudono con entusiasmo, forse sono parole anche facili da condividere, più complicato magari è mettere in pratica delle idee di questo genere, ma Sonja lo sa, e conosce benissimo le difficoltà che ci sono per arrivare ad interloquire con certe fette di popolazione, ma non si lascia abbattere per questo, e con uno sguardo gettato fino ai margini della piazza del suo paese, abbraccia tutti quanti, forse apparentemente in maniera anche troppo simbolica, però avendo abbastanza chiaro dentro se stessa lo sforzo a cui è chiamata nei prossimi tempi.
            Poi scende dal palco, tutti le stringono la mano e molti l’abbracciano per mostrarle il proprio affetto e la loro vicinanza, e qualcuno dice con convinzione che dovrebbe presentarsi come candidata a sindaco per le prossime elezioni comunali, ma lei si schernisce, non è questo che vuole, la politica la lascia volentieri in mano ad altri. A Sonja basterebbe che qualche persona in più si interessasse finalmente delle faccende del loro borgo abitato, mostrasse interesse alle vicende che vi accadono, alle possibilità che forse vi si offrono, e magari che qualcuno si sentisse davvero immerso in questa piccola comunità, dove spartire le preoccupazioni, i malesseri, certe volte le tristezze, ma anche le gioie, e forse persino le cose comuni più leggere e divertenti. 
            “Una cittadina composta da persone che si sentono uguali, e che si danno una mano l’una all’altra”, pensa ancora Sonja mentre cammina tra la gente. Poi, in mezzo a tutti, sente un dolore acuto ad un fianco, si tocca velocemente con la mano lungo la schiena, e scopre subito una piccola ferita sanguinolenta. Qualcuno l’ha colpita, forse con un coltello o qualcosa del genere. Si piega, la sorreggono, la portano al margine della confusione, la soccorrono: niente di particolarmente grave, dirà un medico presente; ma forse anche qualcosa di gravissimo.

            Bruno Magnolfi