lunedì 30 gennaio 2017

Variazioni attese.

           

Adesso guardo dentro di me e non vedo niente, dice lui al suo amico. In fondo non posso neppure stupirmi troppo di tutto questo, in quanto non ho mai fatto quasi nulla per una mia pur sacrosanta esigenza personale, nulla che mi prendesse davvero fino in fondo, ed ho sempre lasciato al contrario scorrere le cose per proprio conto, semplicemente per indifferenza, senza mai interromperle, senza mai chiedermi se dovessi o meno tentare di cambiarle.
Non c'è niente di male, dice l'altro; guarda me: anche io non mi preoccupo di nulla, ed ogni volta che ho cercato di variare le cose da cui mi sento circondato, alla fine mi sono sempre scoperto con un semplice pugno di mosche nelle mani, se non peggio. In ogni caso però ho sempre pensato che l’esistenza fosse fatta esattamente in questo modo: ci sono delle cose che vanno avanti da sé, per propria indole, inutile opporsi, non serve proprio a niente, tanto vale gustare con semplicità quei frutti che ci vengono offerti, senza chiedere nulla di diverso. 
Attorno a loro non c'è molto a parte la natura, soltanto dei campi quasi abbandonati appena fuori dall'ultimo paese ai margini di quella strada provinciale, e i due hanno appoggiato le biciclette al tronco di un vecchio albero, sul ciglio della strada, e poi si sono seduti su di una bella pietra liscia, piazzata in modo orizzontale. C'è il sole oggi, dice ancora l'amico, non dovremo preoccuparci d'altro, le giornate scorrono come le ruote delle nostre biciclette sulla strada, non dobbiamo fare niente, soltanto lasciare che tutto sia ancora così, senza neppure immaginare cose differenti.
Questo è ancora un buon punto di vista, se niente interviene per guastarlo, riprende lui. Ma il fatto che io adesso abbia iniziato a sentire questo vuoto sia dentro che fuori di me, significa qualcosa, qualcosa a cui non posso rimanere indifferente: devo reagire, devo intervenire, addirittura allearmi con quanti provano lo stesso mio malessere, e trovare al più presto delle soluzioni che migliorino il mio stato e anche quello di tutti gli altri, se è possibile.  Non vedo delle buone prospettive per te, gli fa l’amico. Solo un futuro di incertezze e di sicure sofferenze. Ti potresti ritrovare ad aver sprecato molto del tuo tempo senza essere riuscito ad avere in cambio neppure una minima soddisfazione.
I campi attorno profumano di umidità, ed una fila di alberi simili tra loro segna indubbiamente il margine di un piccolo torrente, o forse di un vecchio fosso scavato dagli uomini per l’irrigazione, che corre diritto e regolare poco lontano dal ciglio della strada. Non si vede nessuno attorno, neppure un’auto che gira per sbaglio da quelle parti, ma la sensazione che produce il luogo è quella di una porzione di mondo rimasto quasi immobile da decine d’anni. 
Non so dove andare a cercare ciò che mi serve in questo momento, dice ancora lui, però è solo questo il mio problema; credo di dover dare spazio alle mie esigenze, anche se non mi convincono: devo approfondirne degli aspetti, cercarne il senso, indagare cosa possa esserci dietro questo malessere che spinge, che mi fa sentire inappropriato. Poi si alza dalla pietra, l'altro lo guarda, infine si alza anche lui ed insieme tornano a salire sulle loro biciclette. Il silenzio, forse è il silenzio quello che ci vuole, conclude lui iniziando a pedalare: abbiamo tutti parlato persino troppo, senza riuscire alla fine a spiegarci proprio niente; saranno i fatti, da ora in avanti, anche le semplici variazioni quasi insignificanti, che nel prossimo futuro dovranno spiegare quale sia la direzione. Basterà per noi posizionare le antenne ben alzate, mettersi da subito in ascolto dei segnali, ed il resto forse arriverà da solo, dandoci tutte le indicazioni che ci servono.


Bruno Magnolfi

venerdì 27 gennaio 2017

Uscite domenicali.

                  

Ciao mamma, dice il ragazzo rientrando dai suoi soliti giri pomeridiani per tutto quel quartiere. Lei si affaccia per un attimo alla porta di cucina, evidentemente impegnata a sfornellare qualcosa, lo guarda subito con severità, poi sentenzia: vai in bagno a lavarti le mani, come se bastasse solo quello a togliere almeno dalla propria mente tutto ciò che suo figlio ha potuto fare fino a poco prima. Lui fischia un motivetto, gira per le stanze, accende la televisione appoggiata su un mobile basso del salotto-ingresso. Lei, con il solito grembiule dai colori stinti addosso, si siede sul bracciolo di una poltroncina. Dove sei stato, chiede a bassa voce mentre osserva senza interesse lo schermo acceso di fronte a sé. Dietro di lei il ragazzo è già passato dalla cucina per servirsi di un pezzo di pane strappato con le mani e di un tubetto di salsa al pomodoro già iniziato. In giro, le fa, senza neanche guardarla direttamente.
Suona il telefono, è un’amica della donna: lei ride, scambia qualche battuta con l’altra, si danno appuntamento per qualche cosa, dopo aver affrontato diversi argomenti frivoli, e infine viene chiusa la comunicazione. La mamma riprende la sua espressione seria mentre torna in cucina. Il ragazzo tira fuori un libro ed un quaderno, tanto per far vedere che non dimentica i suoi compiti scolastici, ma lei poco dopo gli va dietro le spalle per dare un’occhiata a quello che sta facendo. Compito di matematica domani, dichiara lui senza girarsi. Se riesci a non alzarti dal libro fino all’ora di cena ti cucino le frittelle, fa lei. Dai, dice lui, è cosa fatta, puoi iniziare a prepararle, allora.
Lei lo lascia a quei suoi impegni con un debole sorriso, ma prima che rirsca ad uscire dalla stanza lui le dice a bruciapelo: domenica, anche se è il suo giorno, non ci vorrei andare da papà. La mamma torna indietro, si volta verso il ragazzo, dice: ma lo sai che tuo papà ci tiene. Mi sono stufato, fa lui, vuole sempre andare a vedere la partita, e a me non frega niente del calcio. Bé, potresti fare un sacrificio e accontentarlo comunque, dice lei con un filo leggero di soddisfazione. Lo so, ma non mi trovo, cerca sempre di fare la persona che ha capito tutto, ed ogni cosa che mi dice sembra sempre una lezione di vita vissuta, una noia mortale, insomma. Non devi stare con lui per chissà quanto tempo, fa lei, basta appena un giorno ogni tanto, non ci trovo niente di difficile, e poi devi considerare che ognuno ha il suo carattere, dobbiamo cercare tutti di essere magnanimi e sopportare gli altri almeno qualche volta.
Però tu non lo hai sopportato, dice il ragazzo dopo una pausa. Lei, punta sul vivo, lo guarda con durezza, poi fa: per me è diverso, stare insieme per noi era una scelta almeno all’inizio; poi quando ci siamo accorti che non riuscivamo più a sentirci bene l'uno con l'altra, abbiamo tratto le nostre conclusioni. Ecco, fa lui, per me è un po’ la stessa cosa, e poi domenica vorrei uscire insieme a te e portarti in giro a passeggiare, se è una giornata di sole e come si deve. Va bene, fa lei, ci penserò sopra, più tardi decideremo come sistemare la faccenda. Adesso studia.
Trascorre mezz'ora, il ragazzo ricomincia a girellare per casa, poi va in cucina. Hai già finito immagino, dice la mamma. Più o meno, fa lui; allora hai già pensato cosa dirgli per domenica a papà? Senti, fa lei, se vuoi rimandare devi alzare il telefono e dirglielo così, senza stare tanto a girarci attorno. Va bene, dice il ragazzo, fai pure il numero che poi ci parlo. La donna prende l’apparecchio, compone il numero, poi passa a suo figlio il ricevitore. Avrei un impegno per domenica, gli dice subito a suo padre dopo i saluti: roba di ragazzi e di ragazze, ti dispiace se rimandiamo? Va bene, dice il padre, e dopo qualche altra parola chiudono la conversazione. A posto, dice lui alla mamma, così domenica posso andarmene in giro coi miei amici. Ma non dovevi portare in giro me?, dice la mamma. Certo, ma a te ti vedo tutti i giorni, mentre con questi ragazzi succede solo di rado.


Bruno Magnolfi

mercoledì 25 gennaio 2017

Possibili cambiamenti.

            

            Ci sono delle volte in cui tutto mi sembra inutile, dice lei. Mi alzo presto, esco, torno, vado avanti e indietro anche dieci volte di fila, e corro tutto il giorno per cercare di mettere un limite alla grande quantità di cose da fare; ma gli impegni mi crescono attorno da tutte le parti, lasciandomi esausta. Fabrizio poi non mi aiuta, lui ha il suo lavoro che lo assorbe anche troppo, ed il resto per lui è come un mondo minore. Non so come riescano a fare nelle altre famiglie, ma io mi sento sfinita.
Forse organizzano meglio le cose, dice sua madre. Probabilmente il tuo problema è che ti perdi appresso a qualcosa a cui non varrebbe neppure la pena di dare considerazione. Prenditela più comoda, affronta solamente ciò che ti appare davvero importante, e poi concediti delle pause, lascia che tutto scorra per conto proprio, senza farti prendere dentro a questo vortice.       
Lei allora sorride, pensa che sua mamma sia come sempre un pozzo di saggezza, anche se poi non ha mai avuto delle esperienze come le sue, e quindi non può comprenderla fino in fondo. Annuisce, si alza a preparare il caffè, osserva per un attimo un angolo della stanza rimasto in disordine, ma volge subito lo sguardo da un’altra parte. Per lei, lamentarsi di qualcosa, è diventato come un aspetto normale delle sue giornate, anche se è vero che è sempre di corsa.
Ce l’ho con te, dice alla fine sorridendo, perché fin da piccola mi hai insegnato a non tirarmi mai indietro, e ad affrontare sempre con piglio tutti gli impegni e le avversità, cosa che in apparenza sembrerebbe la componente migliore di un buon carattere, ma che in questo caso mi porta soltanto ad essere sempre completamente distrutta. L'aspetto più inquietante è che non riesco oramai a trarre alcuna soddisfazione da tutto questo muovermi e preoccuparmi. È come se corressi soltanto per il gusto di farlo, alla fine per far girare in un modo semplicemente normale tutte le cose, e dopo basta.
Devi prenderti una pausa, dice la mamma, è necessario: forse una breve vacanza, magari da sola, con la convinzione che te la sei meritata. Insomma, credo che l'unica cosa da fare sia rompere in maniera decisa questo andamento oramai incancrenito, e far uscire fuori le componenti più nascoste della tua personalità. Magari potresti iscriverti ad un corso, qualcosa che ti faccia confrontare con altre persone in una condizione simile alla tua, e che ti faccia appassionare a degli interessi che siano completamente al di fuori della quotidianità che stai vivendo.
Dici bene, proprio una come te che non si è mai occupata quasi di niente, e che ha sempre avuto degli interessi rimasti confinati in mezzo a tutte le altre cose ordinarie, tanto che se da un certo punto di vista ha ragione, perché è meglio conoscerle certe realtà, dall’altro brilla per riuscire a impegnarsi solo in apparenza e in maniera del tutto superficiale, magari giusto per non fare la figura della sprovveduta con qualche sua amica.
Questo detto da mia figlia non le fa molto onore, dice la mamma; si può sapere qualcosa di tante realtà, oppure saperne molto e approfonditamente di una o anche due. È una scelta, una forma del carattere, ed il mio è senz'altro molto diverso da come sei fatta tu. Non ci trovo niente di male nel conoscere un po’ delle cose che contano, senza provare il bisogno di approfondirle, soltanto per sapere giusto di cosa stiamo parlando quando vengono affrontati certi argomenti.
Va bene, fa lei, in fondo credo tu abbia proprio ragione, almeno alla prova dei fatti: non ti ho mai vista nervosa o agitata, salvo rarissimi casi, come invece capita a me quasi ogni giorno. Cambierò, mamma, è l’unica cosa da fare, ne sono quasi convinta, e inizierò fin da subito a pensare a tutto quanto in modo diverso, sempre che sia davvero possibile.


Bruno Magnolfi

venerdì 20 gennaio 2017

Semplice rispetto.

           

Sul lavoro lei non è molto considerata. Tutti i suoi colleghi in quella birreria si sentono sempre in dovere di dirle come fare una cosa oppure l'altra; e se proprio non c'è niente per cui lamentarsi anche in malo modo riguardo la sua attività, tutti provano costantemente il bisogno di sollecitarla nel velocizzare la preparazione dei tramezzini, dei panini, delle focacce ripiene. Lei se ne sta sempre in silenzio, sul retro del locale, al suo banco di lavoro perennemente ingombro di affettati, di insalata, di maionese, e di un sacco di altre cose che alla lunga le fanno quasi schifo, mentre accanto al muro ci sono tutti gli scaldavivande e le piastre elettriche da tenere sempre sott'occhio, ad evitare che si bruci il cibo. Anna, urlano tutti: ma non è ancora pronto quell’ordine?, oppure: devi mettere meno salsa nei panini, te l’ho già detto mille volte.
Lei non si preoccupa, è sicura di riuscire in ogni sera a fare tutto quello che le chiedono coloro che di solito stanno davanti ai clienti, nella zona principale, alle spine e dietro al bancone, e per questo non se la prende mai di niente. In fondo sono tutti bravi, pensa a volte: solo che si fanno prendere un po’ la mano dal lavoro, e quando arriva l’ora del locale pieno, diventano subito quasi isterici. Nonostante tutto ad Anna piace stare lì, ritiene che se l'attività della birreria sta andando bene, in parte è anche grazie a quel suo impegno. Esce sempre tardi da là dentro, praticamente tutte le sere smette sempre dopo l’orario stabilito, però lei si lava accuratamente le mani e le braccia prima di cambiarsi, poi con calma saluta tutti gli altri e se ne torna a casa.
Anna, sente ancora urlarsi dietro, mentre col suo motorino percorre la solita strada quasi deserta. Sentirà quelle voci anche una volta coricata nel suo letto, naturalmente; certe volte le pare che quelle urla non le usciranno mai più dalle orecchie. Devo fare domanda in qualche altro locale, devo trovarmi un diverso posto di lavoro dove farmi apprezzare maggiormente, pensa a volte, anche se poi rimanda sempre quell’idea ad un altro periodo. Ma adesso si sente decisa, non le va più di soggiacere a quei soprusi, non le va più che tutti le diano sulla voce per niente, così quando torna nel locale, durante il pomeriggio, chiama a raccolta gli altri ragazzi e dice a tutti che adesso è stanca, non ne può più, ha deciso di smettere di lavorare in quel posto.
Gli altri si guardano tra loro, uno dice addirittura a bassa voce: ma non ce n’è motivo. Anna lo guarda, e basta soltanto quello per far capire a tutti che hanno esagerato, e che forse stanno perdendo qualcosa di importante. Cala il silenzio, nessuno sente più la voglia di dire niente; si preparano come sempre le postazioni di lavoro, si accendono le macchine, ed i primi clienti iniziano ad arrivare, come ogni sera. Anna non si fa trovare impreparata, neanche stavolta, e dopo pochi minuti, sopra il piano, ecco già pronto un numero discreto di focacce e di panini, quelli più ordinari, tanto per potersi concentrare in seguito sulle richieste più stravaganti.
Poi arrivano tutti i frequentatori del locale, e l'ora di punta anche stasera sembra infinita, con le sue piccole attività frenetiche da parte di tutti. Nessuno però dice niente ad Anna, se non le indicazioni più normali; nessuno dei ragazzi la chiama o le rimprovera qualcosa, e tutto sembra proprio scorrere bene, fino a quando anche gli ultimi clienti se ne vanno e la birreria abbassa le serrande. Allora Anna va a lavarsi le mani e le braccia, come sempre, ma quando poi si volta sono tutti lì, dietro di lei, a chiederle scusa, e ad implorarla di rimanere insieme a loro.

Bruno Magnolfi
 


mercoledì 18 gennaio 2017

Ragioni insondabili.

        
Certe volte lui, stando fermo e seduto a guardare qualcosa sul muro di fronte che agli altri risulta del tutto incomprensibile, sembra proprio che resti in quella posizione soltanto per ascoltare chi gli rimane vicino, e così ai soliti irriducibili che trascorrono il pomeriggio in quel caffè di paese, non resta che gettargli ogni tanto un’occhiata, e tenerlo sotto controllo insomma, per proseguire come sempre a ridere e a raccontare ognuno le proprie storie, cercando di non mostrare neppure la minima preoccupazione nei confronti della sua inevitabile presenza a quei tavolini. Quando poi lui alla fine si alza ed esce lentamente da quel locale, tutti però tirano un piccolo sospiro di sollievo, perché quel sentirlo vicino in fondo è inquietante, ed in molti forse temono i suoi comportamenti, anche se a dire il vero non ha mai fatto del male a nessuno.
Il tempo non è buono, gli dice sorridendo, forse come direbbe a chiunque, qualcuno che lo riconosce mentre sta arrivando lungo la strada, incrociandolo proprio sulla porta; e lui risponde qualcosa di affermativo con i suoi gesti minuti e le maniere da vecchio professore a riposo, la testa piena di teorie, e le molte convinzioni date da un carattere che sembra lo porti a non cambiare facilmente opinione. Però si ferma, oramai sul marciapiede, e guarda in alto, verso quel cielo grigio e poco incoraggiante, riconoscendo tra sé che forse tornerà persino a piovere. Non sembra avere impegni, a giudicare dai suoi movimenti, in ogni caso per abitudine tende a guardare le cose generalmente con attenzione, studiando ogni particolare e soffermandosi nell’osservare qualsiasi elemento intorno a sé che sia degno di nota.
Sta a lungo lì, in piedi, a riguardare la via dove transita solo qualche macchina ogni tanto, e la sua presenza comunque non rende del tutto leggera l’atmosfera che si porta attorno. Quando infine si decide ad andarsene attraversando la strada e prendendo per un marciapiede, una donna si affaccia dalla finestra, e lo chiama col suo nome, mostrando di conoscerlo piuttosto bene. Lui alza lo sguardo, si ferma, indugia a lungo su ciò che vede, infine torna ad abbassare la testa lanciando in aria solamente un semplice gesto di saluto con una mano. Ma l'altra insiste, anche se lui adesso sembra quasi ignorarla. Ti chiama tua sorella, dice qualcuno che transita lungo la strada, così lui si volta per rendersi conto chi sia che intende farsi in maniera così spudorata i fatti degli altri. Cosa c’è, dice alla fine a quella donna che ancora lo chiama. Niente, fa lei, volevo solo sapere se va tutto bene. Certo, fa lui; tutto come al solito.
Quindi fa ancora due passi, poi però torna a fermarsi e a rivolgere lo sguardo ancora verso quella finestra. E a te come va?, chiede con voce appena sufficiente a farsi sentire da sua sorella. Non molto bene, fa lei: dice il dottore che forse dovrò subire un’operazione chirurgica. Ho capito, fa lui, mi pare una cosa importante, non mi sembra la maniera giusta quella di parlarne per strada. Adesso non ho tempo, prosegue, ma domani mattina passo senz’altro a farti una visita, così potrai spiegarmi tutto per bene. Con queste parole riprende il suo camminare, fino a sparire dietro ad un angolo. Qualcuno comunque ha sentito quanto è stato detto dai due: sono trent’anni che non si parlano, dice uno dall’altra parte del marciapiede ad un suo amico. E nessuno ha mai compreso la vera ragione di questo silenzio.


Bruno Magnolfi 

venerdì 13 gennaio 2017

Silenzio naturale.

            

Vorrei abbassare la voce io per primo, dice Luigi; e naturalmente mi piacerebbe lo facessero anche gli altri. Parlare soltanto per sussurri, riferirsi essenzialmente a chi ci è più vicino, e scegliere con calma ogni parola da pronunciare, in modo da sprecarne il numero minimo possibile. C'è troppo rumore in giro, tutti dobbiamo impegnarci ad abbassare i toni, e rendere maggiore dignità a quei suoni che purtroppo restano appena sullo sfondo, quasi incapaci per propria natura di farsi ascoltare ed apprezzare dalla maggior parte delle persone. Non ci trovo il minimo senso in tutto questo, dice il suo collega e amico di sempre. Le cose si livellano da sé, senza interventi esterni. Il vento tra gli alberi puoi apprezzarlo soltanto se ti trovi da solo in mezzo a un bosco. Tra la gente comune certe cose divengono impossibili.
Ci sono delle volte, dice ancora Luigi, che il nostro parlare si fa inutile, del tutto insopportabile e anche dannoso; si sprecano opinioni su qualunque argomento, e spesso risultano dettate da un modo di pensare così superficiale da non avere quasi significato alcuno. Ma forse solo qua dentro tutto questo che sto cercando di farti comprendere ha davvero un senso, proprio sopra questo palco, dove ogni espressione deve essere pensata, elaborata, forgiata, come se il proseguo di qualsiasi piccolo o grande dramma che portiamo avanti, fosse affidato esclusivamente a certe inequivocabili parole chiave, ed a piccole frasi piene zeppe di significati, o certe volte persino a piccoli gesti, che riescono a rivestire anche da soli molto di più che qualsiasi grande discorso.
Tu Luigi vorresti forse portare il teatro nella vita quotidiana, dice l’amico, ma questo è già stato tentato molte volte, dando sempre risultati deludenti. Niente affatto, dice Luigi con un piccolo scatto; vorrei che si parlasse poco, si pensasse molto di più a che cosa dirsi, e si rendesse giustizia una buona volta ad ogni minima parola, usandola ognuna come pietra preziosa incastonata in un discorso. E’ il silenzio quello che vorrei, rotto soltanto in certi casi da qualcosa di importante, usato come base fondamentale di ogni giornata, ed in mezzo a questo silenzio lasciar sconfinare la riflessione attenta su tutto ciò da cui siamo circondati.
Qualcuno tossisce leggermente in terza o quarta fila, altri paiono annoiati da questo dialogo in fondo poco fruttuoso, ma ad un tratto una luce soffusa viene accesa in platea, meravigliando oltre al pubblico anche gli stessi attori. Una donna, in completo silenzio, dal fondo della sala si avvicina al palco, si ferma ai gradini che stanno ai lati ed osserva con tutta calma il palcoscenico. Luigi con un gesto eloquente la invita a salire, ma lei sembra restia, come non ci fosse niente che le interessasse veramente là sopra al boccascena. Allora è l'altro a scendere i gradini, avvicinarsi a lei, prenderla per mano, ed accompagnarla con gesto aggraziato fin sulle tavole del palco.
I tre si osservano, fingono una certa meraviglia pur continuando a non parlarsi, e infine sorridono, come non ci fosse niente di particolare nei loro atteggiamenti. Lei tira fuori un piccolo libro, quasi un opuscolo, e lo mostra a tutti, come se là dentro fosse raccolto tutto ciò che ci sarebbe di importante da dire in quel momento; così Luigi lo prende, ne apre una pagina praticamente a caso, e con stupore sembra comprendere subito l’importanza di ciò che vi sta scritto. Ovviamente, dice riferendosi alla donna e anche all’amico; poi chiude il libro e lo consegna nelle mani di quest’ultimo, affinché anche lui ne scruti qualche pagina. Ovviamente, dice subito anche l’amico, quasi con lo stesso timbro della voce. Quindi tutti e tre sorridendo si prendono per mano, ed il sipario si chiude lentamente.


Bruno Magnolfi

giovedì 12 gennaio 2017

Epiche lotte.

          
            Va bene, diceva timidamente certe volte la ragazza al microfono. Gli altri praticamente erano quasi assenti, sdraiati come stavano nelle loro scomode sedie, ad ascoltare giusto qualche parola di ciò che si cercava con grande fatica di stabilire. Però quelle semplici frasi poteva sembrare all’improvviso come tuonassero nella grande sala dove si bivaccava, e tutti allora si mostravano pronti, presenti, disposti a seguire meglio quell’intervento, e a darne subito un seguito, come pareva davvero meritasse.
            Poi però tutti tornavano velocemente a perdersi di nuovo, in modo scomposto, disimpegnato, lasciando ogni cosa proprio com’era sempre stata, ed ogni buona idea, pur lanciata con grande entusiasmo, in questo modo si andava a mescolare alle altre, senza brillare cioè, come ingolfata dentro una melassa composta soltanto da superficialità ed indifferenza. Lei era lei, certo, e sapeva sicuramente come scaldare il cuore di ognuno, ma c’erano delle volte in cui le sue parole non parevano affatto sufficienti.
            Così si usciva dall’istituto, poco per volta, e l’occupazione permanente diventava appannaggio di pochi, non perché questi meritassero di dominare la scena, quanto per la grande  disaffezione degli altri. Evidente che diventavano più importanti, anche se poco per volta, i propri personalismi, piuttosto che le grandi opinioni comuni e le battaglie da affrontare insieme con tutti, ma sembrava impossibile fare altrimenti.
            Dopo, magari proprio il giorno seguente, tornava la ragazza, si riprendeva il microfono, guardava tutti negli occhi, e diceva senza mezze parole che adesso le sembrava doveroso accettare qualcosa, pur di portare avanti l’idea principale di fondo. Alcuni fischiavano, altri si alzavano, in molti erano disposti anche a liquidarla una volta per tutte. Ma dopo un attimo tutto era blando come prima, nessun entusiasmo, ognuno riprendeva i propri fili da tessere, e tutto era perso di nuovo.
            Alla fine la ragazza non si fece più neanche vedere: qualcuno disse che non stava bene, altri che aveva perso il carisma, o che erano gli argomenti ad esserle venuti a mancare. Di fatto aveva ripiegato, e in diversi erano persino disposti a comprenderla, ma in poco tempo l’occupazione era davvero fallita, e qualcuno adesso dava tutta la colpa ai suoi modi, a quel suo essersi arresa proprio quando forse sarebbe stato il momento di insistere. Dimenticarla in fretta era imperativo, e se proprio veniva da parlarne, era soltanto in termini negativi, sia da parte di chi non l’aveva apprezzata, sia da parte di coloro che l’avevano sempre sostenuta, e magari aveva pure condiviso molte delle sue opinioni.
            Tutto riprese poi com’era sempre stato, e voltando la pagina si decise che forse i tempi non erano affatto maturi per ciò che in quel lungo periodo aveva infiammato la lotta. Così si tornò a disinteressarsi di ogni questione, fino a quando la ragazza decise un giorno di esserci ancora, mostrando tutto il suo pensiero in un lungo articolo pubblicato da un diffuso giornale. Si diceva che nessuno aveva tratto benefici da quel lungo periodo, e proprio per questo tutti adesso potevano trovare una ragione per tirare ancora in avanti le cose, senza alcuna autocritica, senza rimpianti, e magari senza riflettere troppo su quel passato purtroppo assente sia di vincitori che di vinti.


            Bruno Magnolfi

domenica 8 gennaio 2017

Amico di sempre.

          

Carlo sta fermo, in piedi, in mezzo agli altri. Alcuni ridono, ma nessuno sembra notare che lui lentamente ha tirato fuori dalla tasca una pistola. È una pistola piccola, forse un giocattolo, in ogni caso è sicuramente scarica, e lui non sembra proprio voglia fare del male a qualcuno tra i presenti. Uno dei ragazzi gli chiede sorridendo che cosa intenda dimostrare, ma Carlo lo guarda senza il minimo interesse, e si limita a scuotere leggermente la testa sorridendo, come a mostrare che non c’è niente di serio, solo uno scherzo. Poi torna ad infilare la pistola nella tasca, ed alla fine a muoversi da lì, per raggiungere con calma il bancone del chiosco per le bibite, poco più avanti. Si fa servire una birra semplice, ne beve un sorso, poi si volta ad osservare il gruppo di musicisti che sta suonando su di un palco improvvisato sopra al prato.
Non suonano male, pensa Carlo, o forse sono io che non so giudicare per niente questa musica. In ogni caso mi piace una serata come questa, forse basterebbe non avere i dubbi che mi ronzano per la testa quasi sempre, persino in questo esatto momento. Poi, senza parlare con nessuno, finisce la sua birra e se ne va, giusto per allontanarsi un attimo dagli altri e pensare a qualcosa con più calma. Difficile prendere delle decisioni, difficile capire cosa sia meglio fare in un momento complicato come questo. Qualcuno lo chiama alle sue spalle, Carlo si volta e subito sfoggia una risata, forse solo per mostrare che le cose vanno bene, davvero, e che lui non sta andandosene via, ma gli basta assaporare per qualche attimo quel poco di silenzio che sicuramente c’è dietro quelle case, in questo quartiere senza stile. L’altro invece lo accompagna, senza neppure dire niente, come condividendo il suo stesso bisogno, piuttosto che cercare di stare semplicemente insieme a lui. Bella la serata, gli dice sottovoce senza attendere risposta, anche se non sembra poi molto convinto. Qualcuno passa poco lontano, l’altro si ferma, dice qualcosa a voce alta, infine torna indietro, e lascia solo Carlo, senza dare alcuna spiegazione, perché è evidente come non ce ne sia alcun bisogno.
La serata presenta una piacevole temperatura, ma forse a Carlo piacerebbe quasi sentire un po’ di freddo, rannicchiarsi magari dentro un portone, tenendosi le ginocchia tra le braccia, come qualche volta ha fatto; ma non tira neppure una folata di quel vento che ha soffiato per tutto il pomeriggio, ed adesso ogni cosa sembra ferma, tanto che anche la musica, ora piuttosto lontana, giunge fin lì come un brusio calmo, indistinguibile, seppure ancora presente. Devo tornare indietro, pensa Carlo, parlare con qualcuno, mescolarmi agli altri, fingere che tutto vada bene, che non ci siano assolutamente dei problemi da risolvere. Invece si siede su un gradino, si guarda le mani con quel minimo di luce, poi pensa che nessuno starà mai dalla sua parte, e scoppia a ridere, quasi come faceva tanto tempo addietro, quando era molto più giovane, e stava del tutto fuori da quei giochi che invece lo hanno risucchiato in quegli ultimi tempi.
Poi si alza, deciso a ritornare verso quella festa all’aperto, magari farsi vedere allegro, come sempre, lontano dalle preoccupazioni che invece lo attanagliano. Gli altri adesso ballano nella piccola piazza, si divertono con poco, lasciandosi andare alle sciocchezze spensierate che a lui in questo momento forse piacerebbero, ma che gli sembrano del tutto irraggiungibili. Torna a tirare fuori la pistola, nessuno lo nota, nessuno immagina che cosa abbia in mente in quegli attimi del tutto disperati. E Carlo spara in aria, verso il cielo, come se fossero dei petardi quei suoi colpi, dei mortaretti per rendere completa quella festa, per dare anche il suo apporto al divertimento di tutti quanti. Molti ridono, lo guardano, tanto che quando lo vedono cadere, si immaginano che sia solo uno scherzo, un’altra trovata per far ridere gli amici, per rendere più allegra una serata, alla fine, senza poi grandi pretese; una serata proprio come quella.


Bruno Magnolfi 

mercoledì 4 gennaio 2017

Conoscenze superficiali.

           

Ne sono certa, dice lei alla sua amica mentre stanno passeggiando lungo il corso della loro cittadina. La giornata tutto sommato appare bella e sufficientemente luminosa, e le persone in giro sembrano quasi tutte allegre e sorridenti. E poi, fa ancora lei, se anche non li ho visti proprio teneramente insieme, con questi miei occhi, so che mi posso assolutamente fidare di chi si è preso la briga di descrivere con accuratezza tutti i dettagli della loro scena pseudoamorosa. L'amica si limita ad annuire; è evidente come non sia rimasta troppo convinta dalle parole che ha ascoltato, in ogni caso registra attentamente le certezze che le vengono passate, e poi sorride, quasi per superare le parole che le ha detto lei, e riappropriarsi subito, con personale ironia, delle proprie convinzioni. In fondo, fa ancora lei dopo una pausa, non ci sarebbe neppure niente di male, se non fosse che tutto quanto sembra venga costantemente consumato nella più grande e sciocca segretezza. L’amica la guarda per un attimo: è evidente che il suo parere rimane comunque diverso, in ogni caso di quanto ascoltato non c’è niente di troppo importante per cui non essere d’accordo.
Le due proseguono a camminare senza fretta, e lungo il percorso qualcuno le saluta, così loro ricambiano ogni volta con un largo sorriso, giusto per scambiare dei gesti di convivialità con tutti coloro che le conoscono, ed anche in modo che nessuno di questi pensasse a loro come a due mezze scorbutiche, cercando insomma l’equilibrio massimo con quanti le circondano. Uno poi si ferma, e costringe in questo modo anche loro due a fare una breve sosta per un saluto meno frettoloso. Ci sono novità, chiede quello, come per stuzzicare la loro voglia di parlare. L’amica si limita a dire con una certa timidezza che tutto procede come al solito, ma lei invece nomina subito la coppia di cui ha parlato fino adesso, senza aggiungere niente oltre i loro nomi, giusto per comprendere quanto sappia lui della faccenda. Quello sorride in modo molto evidente, come a mostrare che sa tutto, e che forse non è neppure il caso di parlarne troppo, ad evitare di essere presi per dei tremendi chiacchieroni. Ma lei lo incalza, e lui dice qualcosa ma senza essere troppo esplicativo.
Infine si salutano, e le due donne tornano a camminare esattamente come prima, senza fretta, come per una convinta passeggiata. Visto, fa l’amica, non è proprio del tutto come poteva apparire, forse non c’è una vera e propria storia in atto, solo una simpatia, uno scambiarsi qualche effusione senza troppo impegno. Conosco le persone, fa subito lei: può darsi che per il momento le cose non si siano spinte troppo avanti, ma è soltanto una questione di qualche tempo, e tutto alla fine diverrà esattamente come pensiamo tutti. L’amica annuisce, ovviamente ancora in disaccordo, ma senza darne alcuna prova.
A me piacerebbe si mettessero insieme seriamente, dice alla fine per provocazione: mi pare una bella coppia, può darsi che alla lunga riescano persino a fare una famiglia. Sei pazza, dice lei: hanno due caratteri assolutamente contrastanti, non riuscirebbero mai a sopportarsi a lungo. Dobbiamo anzi fare in modo che se ne rendano conto il più presto possibile, in maniera da evitare loro delle sicure sofferenze. L’amica scoppia a ridere: e come intenderesti fare, le chiede, spedendo ad ognuno dei due una lettera anonima per informarlo dei rischi a cui si sottopone? Può essere un’idea, fa lei, in ogni caso forse è sufficiente che tutti coloro che li conoscono cerchino di scoraggiare questa relazione, magari forzando un po’ i piccoli difetti che ognuno di loro due mostra più evidenti. Hai proprio ragione, fa l’amica; e tutto questo alla fine, oltre che utile, può essere persino divertente.  


Bruno Magnolfi