venerdì 27 maggio 2016

Uniformità della critica.

            
            Dentro ognuno di noi, certe volte, c’è come un silenzio meraviglioso; si forma quasi fosse un vuoto improvviso, una mancanza apparentemente incomprensibile, ma che di colpo permette la nascita di pensieri liberi e puri. Non dura molto, dice lui di fronte alla sua piccola platea di persone comuni, eppure quello è un tempo già sufficiente a far nascere nuovi desideri, e ad infondere con naturalezza la semplice volontà di essere diversi da come effettivamente noi siamo. 
            Si muove leggermente, restando seduto da solo al tavolino sul palco, mentre abbassa gli occhi sulle sue carte. Lo conoscono tutti là dentro, ma questo non ha alcuna importanza. Lui riesce ad essere sempre diverso, ed a porre degli interrogativi che suonano sempre come del tutto nuovi. Beve un po' d'acqua, si schiarisce la voce, infine torna ad avvicinarsi al microfono. Dobbiamo cercare di andare tutti nella medesima direzione, dice, se vogliamo ottenere qualcosa, ma ciò non significa che ciascuno di noi nel corso di questa operazione debba perdere obbligatoriamente la propria personalità. Qualcuno applaude sommessamente ma con impegno dal fondo: il fatto che lui in questo modo dia ancora importanza all'individuo, è apprezzato come un grande elemento di generosità, ed anche di rispetto, proprio perché in quelle parole sostanzialmente si salvaguarda anche il singolo, il pensiero personale, ed è forse questo un punto centrale nelle sue conferenze.
Dalla terza fila però un tizio si alza, sistema con calma il soprabito sul braccio, poi si incammina per il corridoio, con l'evidente intento di andarsene. Lui si interrompe, lo guarda, forse non riesce a comprendere un gesto del genere proprio nell'attimo forse più pregnante della serata. Il silenzio che si crea porta quell’uomo a girarsi, a dare un’ultima occhiata verso quel tavolino illuminato, nello stesso esatto momento in cui lui gli chiede provocatoriamente dal palco se per caso lo avesse annoiato. Il tizio si ferma, guarda qualcosa tra le sue mani, poi dice sorridendo che non è questo il punto: mi aspettavo qualcosa di diverso, spiega con voce forte e abbastanza chiara. Qualcuno alle sue spalle subito mormora, e così gli viene chiesto che cosa di preciso doveva essere differente, secondo lui.
Non ha alcuna importanza il mio parere, dice tranquillo; tanto qua dentro, bene o male, stanno tutti dalla stessa parte. Il fatto è che mi pare oggigiorno si vada ad ondate: si inizia a dire e a comportarsi in un modo, e tutti paiono seguire come automi quello stesso esatto modello. In questo schema personalmente non credo affatto, e comunque è il contrario di ciò che si è detto, visto che il parere singolo non risulta abbia ancora qualche possibilità di emergere: dobbiamo uniformarci, questo è ciò che realmente viene richiesto, al contrario di ciò che subdolamente viene spiegato, e spesso si cerca il collante di tutto più nella critica che nell’apprezzamento.
Dal palco lui sostiene subito che questo non è vero, che si portino esempi per mostrare meglio una convinzione del genere, che si capisca, una buona volta, che la gente ha sempre ragione quando inizia ad avere la medesima idea. Ma il tizio con calma indossa il suo soprabito, fa un gesto tranquillo di saluto con una mano, e poi riprende a guadagnare l’uscita, in silenzio, anche se ormai nella sala regna soltanto un brusio alto e indistinto, che forse dovrebbe essere cavalcato da chi tiene ancora in mano il microfono. Ma in quel momento qualcun altro si alza, discute con voce più forte degli altri, e si perde in un attimo quell’attenzione religiosa che c’era fino a qualche attimo prima, fino a che in diversi, seguendo l’esempio, iniziano a spostarsi verso il fondo, per andarsene via.


Bruno Magnolfi  

lunedì 16 maggio 2016

Cattive attività.



Ci sono stati anche dei periodi peggiori di questo, fa lui, perciò non dobbiamo adesso lamentarci troppo se le cose vanno così. La ragazza lo guarda soltanto per un attimo: a dire la verità lei non li ha conosciuti mai quei periodi di cui stanno parlando adesso, è troppo poco tempo che lo frequenta, in ogni caso prende per buono quello che le viene detto, e così resta in silenzio. Lui sorride: vorrei tanto poterti portare via da questo posto, le dice addolcendo la voce; ma ci vuole pazienza, dobbiamo aspettare l’occasione propizia.
Lei allora si volta, guarda qualcosa fuori dalla finestra, forse si sente già da un’altra parte, lontano da quell’appartamentino all’ultimo piano, così non replica niente, anche perché ha già ascoltato altre volte quella frase, però sente in profondità che le loro strade giorno dopo giorno proseguono a divaricarsi, senza che neanche si possa trovare un motivo preciso per cui questo stia davvero accadendo. Forse ho conosciuto un altro tizio interessato ai tuoi quadri, gli dice lei alla fine per cambiare argomento, e come cercando di riaccendere qualcosa. Ho fatto vedere in giro le foto che avevo, e questo tipo ha detto subito che gli piacerebbe molto visionare le tele. Ho il numero di telefono, se vuoi possiamo chiamarlo, e poi che ne so, dargli magari un appuntamento.
Tutto è persino troppo banale, fa lui; ritrovarsi così ancora nelle mani di gente disposta a sborsare dei soldi per qualche brandello di creatività, e genuflettersi continuamente di fronte ad un mercato che sempre più spesso è soltanto commercio, senza nessuna vera competenza. L’arte deve uscire al più presto dalla storpiatura dei soldi. Chi si sente creativo deve avere un lavoro separato, non c’è altro da fare, qualcosa che gli dia il sostentamento, l’autonomia economica, e così riuscire a produrre in seguito ciò che gli va, operando magari la domenica e nelle proprie ore libere, ed anche con tutto l’impegno che riesce a trovare, ma separatamente da qualsiasi possibilità di divenire forse un giorno ricco e famoso. Devo iniziare a regalare tutti i miei quadri, aggiunge, fino all’ultimo, e trovarmi un semplice lavoro serale di lavapiatti in qualche ristorantino turistico.
Lei torna a guardarlo con simpatia: le piace quando parla così, vorrebbe tanto che lui fosse al di sopra di tutte queste attività materiali, e forse in qualche modo riesce anche ad esserlo qualche volta, anche se poi come gli altri deve scendere a dei compromessi che sicuramente gli pesano più che a chiunque. Purtroppo, lo sai già, gli dice per rimarcare un punto a cui tiene, non posso chiedere ancora dei soldi alla mia famiglia, bisogna trovare una maniera diversa per provare a tirare avanti. E poi so per certo che tu, dopo quanto è accaduto, non accetteresti più un aiuto da loro, neanche in certi casi estremi come forse può essere questo.
Hai ragione, dice lui, continuiamo a parlare senza che questa mia attività ci porti realmente da qualche parte. Ma non importa, viviamo anche questa giornata come fosse l'ultima, smettiamola di amareggiarci, tanto non può servire più a niente. D'accordo, fa lei, potremo andar fuori a vedere qualcosa, per esempio una piazza o magari una chiesa, quello che vuoi; oppure metterci ad un tavolino all'aperto in una delle nostre osterie, e starcene li come altre volte, giusto per salutare gli amici. Va bene, fa lui, per l’occasione ho anche una piccola tela che ho messo giù in questi ultimi giorni, potremo portarla con noi, tanto per farla almeno vedere. Si, fa lei più radiosa, io sono pronta, però se non riesci a vendere neppure questa, non ti arrabbiare come l’ultima volta: la gente a volte è cattiva, anche se non si rende neppure conto di esserlo davvero.


Bruno Magnolfi

lunedì 9 maggio 2016

Decisioni irrevocabili

            
            Fra qualche giorno anche la nostra migliore operatrice dovrà ripartire, dice il dirigente dell’oennegi alla sua segretaria. Mi dispiace, prosegue, perché il suo lavoro anche qui, fino a questo momento, stava comunque dando degli ottimi frutti. Ma è una sua richiesta precisa quella di stare tra la gente medio orientale a definire ogni sua attività, senza alcuna variante. Ha coraggio, questo è il punto, e sa che lo scacchiere internazionale dei diritti dell’uomo si gioca proprio a quel tavolo. La segretaria sorride, sa bene di chi stanno parlando, così scrive qualcosa sul suo piccì, e poi chiede: in quanti andranno stavolta? Sono soltanto in quattro, dice lui, ma gli altri tre sostanzialmente sono soltanto degli accompagnatori, perché purtroppo non abbiamo i fondi per destinare più di una persona altamente qualificata in quella zona.
            Fuori dal piccolo ufficio qualcuno sta parcheggiando la proprio auto sullo spiazzo di fronte, e quando la donna scende con calma dalla vettura si capisce già ad una certa distanza che è lei, con un piccolo faldone di carte sotto ad un braccio, e la faccia di chi ha già definito tutte le sue decisioni. La porta vetrata è già aperta quando arriva fin lì, ed il dirigente le stringe immediatamente la mano, la invita ad entrare, poi ambedue vanno a sedersi ad un tavolo. Non ci sono particolari novità, le spiega subito: il lavoro da fare, una volta giunta sul luogo, è sostanzialmente sempre lo stesso. Il telefono satellitare resta l’anello di congiunzione tra loro, perciò deve essere sempre ben conservato, come fosse la sua unica possibilità di salvezza in caso di guai.
            Lei osserva qualche carta: ultimi dispacci d’agenzia, alcune notizie non confermate, informazioni varie di diverso genere che possono tornarle utili in qualche maniera, il tutto all’interno di quel mondo ostile che valuta il prezzo di una persona anche per ciò che può essere disposta a rischiare. Non c’è molto da dire, aggiunge lui: ogni cosa andrà aggiustata dal momento in cui sarà giunta sul luogo della sua attività, quando il confronto immediato con i suoi colleghi sul posto la metterà al corrente delle cose che ancora le restano non molto chiare. 
Da quando lei è stata da quelle parti l'ultima volta, le attività della oennegi sembrano avere avuto un'evoluzione sostanzialmente negativa, per questo ogni mossa adesso va maggiormente meditata, e le relazioni sul luogo pesate con grande destrezza. Il dirigente la guarda, forse prova anche un attimo di commozione per lei, sostanzialmente per i rischi a cui si sottopone partendo, e anche per le difficoltà della sua missione; poi però mette sul tavolo una busta con dentro i biglietti, i documenti, i soldi, l’elenco dei contatti da prendere subito, una volta giunta sul posto, ed ogni altra informazione utile a ciò che lei si troverà ad affrontare. La donna sorride, sembra già pronta, praticamente non c'è più niente da dirsi, almeno per il momento, e persino la segretaria distoglie gli occhi dal suo schermo per darle un’occhiata che equivale a un saluto.
Non preoccupatevi, dice lei sorridendo; so badare alla mia persona. E dal mio punto di vista credo sia assolutamente peggiore restarmene qui, piuttosto che andare; so quali siano i miei compiti, e ritengo di essere davvero me stessa soltanto assolvendoli. Per questo sono contenta di essere di nuovo pronta a partire: in fondo, questa che vado di nuovo ad affrontare, è semplicemente la vita che ho scelto, quella per cui mi sono preparata a lungo e con grande pazienza; non posso certo negarmi adesso alla prosecuzione di ciò in cui ho sempre creduto. Per questo alla fine devo proprio andarmene: in fondo forse è l’unica cosa a cui tengo davvero.


Bruno Magnolfi

mercoledì 4 maggio 2016

Al limite.

         

            Certe volte mi pare di non avere niente da dirti, fa lei; è come se ci fossimo già detti tutto, ed ogni parola adesso fosse soltanto una ripetizione scialba ed inutile di qualcos’altro. Poi sbuffa, muovendosi sopra i suoi tacchi dentro la stanza da ufficio spaziosa e ben illuminata, con i modi di chi ha solo voglia di andarsene in fretta da lì. Invece alla fine si siede, e con indifferenza apre a caso sopra le sue gambe accavallate la pagina di una rivista che trova su un piccolo tavolo. Lui non la guarda, forse è persino controproducente dirle qualcosa, perciò resta in silenzio, lasciando che l’aria ovattata là dentro sia quasi un rimedio per quei pensieri ingombranti. Così prosegue a consultare qualcosa sopra il piccolo schermo su di un lato della sua grande scrivania.
            Fuori da quello studio dell’agenzia di assicurazioni, ogni poco si sentono giungere in sottofondo delle telefonate alle quali due o tre impiegati cercano di far fronte, ed uno di loro ad un tratto bussa leggermente alla porta solo per avvertire da uno spiraglio che c’è in linea un certo dottor Sironi che chiede del direttore. Lui prende subito un incartamento, quindi alza il ricevitore, ascolta pazientemente alcune frasi gracchianti, poi risponde per cifre qualcosa di poco comprensibile, ed infine, una volta dettato un appuntamento per un giorno della settimana seguente, chiude formalmente la comunicazione. Forse si usano anche troppe parole, le dice adesso guardandola. Sono i nostri sentimenti che non riescono più ad emergere, né dai gesti né dai discorsi, e tutto in questo modo diviene ordinario, scontato, privo di qualsiasi interesse.
            Lei adesso si volta, lo guarda, sembra quasi punta sul vivo, come si sentisse improvvisamente prigioniera di un modo di comportarsi poco adeguato, ma poi gira nervosamente un’altra pagina di quel suo giornale forse insignificante, e prosegue a fingere attrazione per qualcosa scritto là sopra. Va bene, gli dice senza alzare lo sguardo; così hai già deciso, mi sembra. Poi lascia passare un solo secondo in cui forse attende una replica pronta, una parola immediata di chiarimento, magari un gesto veloce di semplice diniego, ma non arrivando da lui alcun segnale in quel breve lasso di tempo, si alza rapidamente con modo stizzito, sbatte quasi la rivista sul tavolo, e si gira decisa a raggiungere la porta ed andarsene.
Con perfetto tempismo a quel punto lui la chiama per nome, lei sui suoi tacchi si volta mostrando un’ espressione severa, e lui a bassa voce le dice soltanto: non è proprio tutto da gettare via; i periodi difficili si possono superare, se si tengono i nervi ben saldi. Lei si ferma, ha già una mano sulla maniglia, ma dall’altra parte dell'uscio sente bussare. Si affaccia appena un’impiegata, dice: scusate, ma ha ritelefonato Sironi e vuole un diverso appuntamento, perché per il giorno fissato ha già un impegno importante. Lui a quel punto si alza dalla sua scrivania, dice che tra cinque minuti lo richiamerà; poi, chiusa la porta accompagnandola con una mano, cerca di scusarsi con lei in qualche maniera: lo vedi anche tu, qui non si può proprio parlare, qualsiasi decisione così non può essere mai quella giusta.
Va bene, fa lei, abbassando lo sguardo: dentro ad un ingranaggio metallico qualsiasi cosa soffice rimane stritolata. Lui la guarda più da vicino restando colpito da quella frase. Forse vorrebbe quasi chiederle, per una semplice curiosità, se abbia letto qualcosa del genere sulla rivista che aveva fino ad ora tra le mani curate, ma si limita semplicemente ad annuire sorridendo. Lei pare intuire quel suo pensiero, cosi aggiunge subito: certe cose si trovano scritte proprio su quei giornali che voi uomini d'affari non sfogliereste neppure pagati. Eppure, tra quelle pagine spesso vuote di senso, certe volte si dicono anche cose sensate.


Bruno Magnolfi

lunedì 2 maggio 2016

Direttore d'infanzia.

            

Al piano terra, esattamente davanti alla strada e tra i pilastri di cemento armato del loro palazzo, giocano spesso alcuni bambini che abitano con le loro famiglie negli appartamenti dei piani superiori, ridendo e rincorrendosi tra loro in quello spazio tutto sommato aperto ma racchiuso da una ringhiera leggera, protetto con la copertura costituita semplicemente dalla costruzione medesima. Viene certe volte un signore ben vestito e con dei modi gentili, che pare comportarsi come se attendesse qualcuno, e pur restando fuori dal perimetro di quella ringhiera, guarda i bambini con un’espressione forse un po’ troppo fissa, senza mai dire niente. Uno di quei bambini avverte la mamma, che il giorno seguente scende da casa per rendersi conto con i propri occhi del personaggio descritto. Ma lui quel giorno non si fa vedere, e così quella madre, disturbata anche dall'inutile attesa, ne parla a tutti i vicini che riesce ad incontrare in termini già molto allarmistici, e bastano la sue poche parole per far precipitare tutto il palazzo e quelli adiacenti in una forte sensazione di paura e di estrema attesa, con i bambini, da quel momento in avanti, mai persi di vista sia dai loro genitori, che dai nonni, ed anche dagli zii e forse da tutti gli amici e i conoscenti di quelle famiglie. Torna lui, un pomeriggio qualsiasi, ed il bambino che ha dato l’allarme adesso gli si ferma davanti, ad una distanza forse di appena due o tre metri. Chi sei, gli chiede, con l’innocenza della sua età; e l'uomo naturalmente sorride, e dopo una pausa risponde semplicemente che è un normale passante a cui piacciono i giochi che loro sono capaci di mettere in piedi.
Qualcuno avverte tutta la tensione che pare sprigionarsi da quel normale dialogo, e certi genitori, tramite gli occhi e i resoconti dei figli, assorbono poco più tardi una sensazione di enorme pericolo imminente che sembra sprigionarsi da una situazione ormai al limite, al punto che vengono allertate le forze dell’ordine, dando per certa la presenza costante in quei paraggi di un molestatore di minori indifesi. Naturalmente nessun bambino viene quasi più fatto uscire dal proprio appartamento, e quello spazio neutrale di gioco, usato fino ad allora da quell’infanzia tranquilla e senza problemi, diventa da un giorno all’altro un completo deserto, scansato persino da quegli adulti che si ritrovano per ventura ad attraversarlo, tanto da riuscire quasi a far andare di corsa quei pochi coraggiosi che proprio vogliono o devono affrontare quel luogo.   
Il tizio ricercato naturalmente non si fa più vedere, anche perché due uomini in divisa al posto dei bambini di sempre, fanno adesso da sentinella per controllare tutto il quartiere, transitando per più volte al giorno anche da quel luogo innocente. La scuola non è molto distante, e subito viene ovviamente allertata, così che ogni spazio possibile sembra chiudersi su quel problema, fino a quando purtroppo tutto l’insieme delle misure attuate sembra proprio non riesca a produrre alcun risultato. Il bambino che per primo ha dato l’allarme viene continuamente abbracciato e protetto da tutti, quasi fosse la vittima vera di qualcosa di cui non si è ancora neppure parlato, e tutti i suoi coetanei per lo stesso motivo sembrano venire strappati continuamente da una selva di pericoli che incombe su loro e che non è neanche il caso di affrontare davvero.
Infine, proprio quel bambino che ha dato origine a tutto, adesso per mano alla mamma e anche alla zia, appena uscito dalla sua scuola che continua fortunatamente a poter frequentare, riconosce in un uomo che resta fermo sul marciapiede esattamente davanti ai suoi piedi, proprio quel tizio che gli ha parlato appena qualche giorno più addietro, e lo indica con un semplice dito: non dire sciocchezze, dice subito la mamma strattonandolo per usargli un rimprovero, e chiedi subito scusa a questo signore per aver pensato male di lui: quest’uomo è semplicemente il direttore della tua scuola, non lo riconosci? Per lui interessarsi di te e degli altri bambini è soltanto ciò che fa parte integrante del suo mestiere.


Bruno Magnolfi