domenica 24 dicembre 2017

Densità di fumo.



La scena appare nebulosa, dai contorni sostanzialmente indefiniti. Lui sta quasi al centro di una vasta stanza, per ciò che riesce a valutare, ma non è sicuro che gli strani personaggi presenti intorno a sé riescano a vederlo. Si sposta leggermente, come per rendersi conto se qualcuno segua davvero quei suoi movimenti, ma nessuna di quelle figure sfuggenti pronuncia parola o cerca di guardarlo in modo diretto, anche se è evidente che tutti percepiscono in qualche modo la sua presenza, proseguendo però a mostrare di ignorarlo, come una cosa fatta proprio di proposito, probabilmente anche soltanto per lasciarlo innervosire. Corrado è quasi sicuro di costituire un elemento assolutamente degno di attenzione per quei presenti, anche se la sua rimane solamente una qualsiasi sensazione, ma è come se tutti si attendessero da lui, all’interno di quell'ambito finto ed estremamente ambiguo, un semplice e grossolano passo falso, forse dato da un errore di valutazione, quasi il desiderio di un suo scivolone maldestro, all’interno di un contesto estremamente indefinito.
Poi però si sveglia di colpo, con in bocca il sapore amaro di una sensazione che prosegue a tormentarlo, così si alza dal letto, accende una lampada bassa, cammina per la camera cercando di non produrre neppure il minimo rumore. Anna però tira su la testa, gli chiede cosa ci sia che non vada bene: è ancora molto presto per vestirsi ed andare a lavorare, dice. Non è niente, fa lui, non preoccuparti, adesso torno a letto. Dopo poco difatti torna a coricarsi, spenge subito la luce, e si sistema addosso con garbo le lenzuola e la coperta.
Non è la prima volta che gli capita di fare quello stesso sogno, di ritrovarsi in mezzo a quel forte disagio dove nessuno sembra minimamente preoccuparsi di aiutarlo. Anzi, sono proprio i presenti, tra i quali peraltro non gli pare di aver riconosciuto alcuno, a formare il nucleo essenziale di quel suo forte malessere, tanto che per lui svegliarsi a quel preciso punto e liberarsi in fretta dal suo sogno diventa quasi una liberazione. Infine, dopo essersi rigirato a lungo dentro al letto, si riaddormenta, senza peraltro riuscire come avrebbe voluto a riprendere quello stesso sogno per capire quale ne sia lo sviluppo eventuale. In compenso si profila adesso una nuova scena che forse potrebbe davvero esserne il proseguo: ci sono ancora degli sconosciuti da qualche parte sul fondale della sua immaginazione, ma adesso non si preoccupano più di lui, se ne stanno andando via tutti, da qualche altra parte, eludendo il suo più vivo desiderio di stare in compagnia.
Corrado resta solo adesso in uno spazio aperto, privo di qualsiasi dettaglio riconoscibile, mentre gli altri ormai se ne sono andati. Devo uscire da questa situazione in cui sono caduto, pensa nel suo dormiveglia con gli occhi aperti dentro la camera da letto. Devo togliermi dai debiti al più presto, e non avvicinarmi più per nessun motivo al gioco.  Lentamente poi arriva l’ora di alzarsi, Corrado è stanco di quelle notti trascorse con l’angoscia sullo stomaco, però sa quale sia adesso il suo dovere, quali siano i suoi compiti se non vuole intraprendere una strada che non prevede alcun ritorno. Si veste, si sbarba, indossa con cura la sua solita giacca, quindi esce da casa per recarsi al suo posto di lavoro, e quando chiude la porta alle sue spalle sa che i suoi sogni sgradevoli sfumeranno presto nell’aria aperta della sua città, nel corso consueto della sua giornata densa e anche difficile.


Bruno Magnolfi

giovedì 21 dicembre 2017

Ladri di tempo.



Si sente nervosa all’inizio, cammina in fretta pur sapendo di non essere affatto in ritardo, ed improvvisamente però prende per una strada traversa, come dopo aver cambiato l’idea che aveva in principio, forse decidendo di tornarsene indietro, o magari indirizzandosi da tutt’altra parte. Poi rallenta e alla fine si sofferma, si incuriosisce della vetrina di un negozio e più avanti di un’altra, forse cercando qualcosa in quella sua faccia riflessa, o forse sperando che qualcuno tra i pochi passanti la trattenga un momento anche per qualche motivo senza troppa importanza, quindi infila una mano per frugare nella sua borsa, si soffia il naso come se avesse voglia di piangere oppure come se lo avesse già fatto, ed infine ritrova il coraggio che per un attimo le era venuto a mancare, si scuote di dosso le sensazioni negative che l’hanno accompagnata finora, e riprende con metodo la sua camminata, anche se adesso è ben più lenta di prima.
Non è lontano il caffè, lo sa benissimo, eppure gli ultimi metri sono terribili, faticosi, estremamente duri da essere affrontati. A casa ha lasciato suo figlio apparentemente intento a studiare nella sua cameretta, ed anche pensandoci ad Anna non le sembra proprio di aver tralasciato anche soltanto qualcuno tra quei suoi impegni che quotidianamente sa di dover affrontare, quelli che si ritrova di fronte in pratica ad ogni momento per mandare avanti la casa e la sua famiglia; e poi ad essere sinceri non ci impiegherà molto a togliersi quell’impiccio di dosso: sarà come una piccola parentesi insignificante nella sua giornata densa di cose da fare, qualcosa che lei sa benissimo non sposterà neppure di una virgola ciò che più le sta a cuore.
Infine Anna è arrivata, ed all’improvviso le sembra che sia troppo presto o magari già tardi, ed in qualche maniera anche pensandoci a fondo non riesce a deciderlo, fino a quando non vede che Andrea è subito lì che già le sorride, bello come sempre, oggi senza la sua solita tuta da carrozziere, ed è subito carino con lei, ed anche cortese, accogliente, tranquillizzante. Si siedono ad un tavolino, si guardano senza insistenza come studiandosi mentre iniziano a parlare tra loro, in un modo come non hanno mai fatto per ovvie ragioni, e cercando di spiegare in qualche maniera ognuno se stesso a quell’altro che sta proprio di fronte; poi si fanno servire un caffè, si confidano ancora qualcosa, e lei poco a poco si scioglie, in breve tempo si sente già molto meglio, poi perfino abbastanza bene, e dopo qualche altro minuto decisamente benissimo. Le loro sensibilità si assomigliano, qualcosa di superiore sembra a tutt’e due possa essere scambiato, ben al di sopra delle parole che riescono a dire, e poi c’è un magnetismo forte e evidente che crea attrazione tra loro, anche se basta ad ognuno di loro voltare la testa un momento per riprendere appieno la personalità che sa bene di avere.
Mi piaci molto, le dice Andrea; anche tu, gli risponde subito Anna. E forse vorrebbero piangere per delle affermazioni così semplici eppure complicatissime. Invece sorridono, con gli zigomi caldi di chi sa perfettamente che ci si deve accontentare di poco: perché non c’è proprio altro che possa davvero venir fuori dalla loro situazione, se non un caffè praticamente rubato ai loro giorni imbevuti di tutt’altre cose.


Bruno Magnolfi

martedì 19 dicembre 2017

Accettazione passiva.

            

Quello grande mettiamolo più al centro, dice Cinzia con le braccia ancora ingombre di roba da sistemare. Quel salone è veramente ampio e spazioso, assolutamente all'altezza della magnifica villa dove lei abita con la sua famiglia, e la scelta di appoggiare semplicemente i semplici cartoncini dei ritratti e degli acquerelli sopra ai mobili bassi lungo le pareti, piuttosto che incorniciarli ed appenderli sui muri, a lei è sembrata fin dall’inizio la mossa vincente per quella specie di mostra a doppio nome, in margine ai festeggiamenti per il proprio sedicesimo compleanno. Non fare quella faccia, dice interpretando piuttosto bene i sentimenti di Francesco: se vuoi non diremo nemmeno che i disegni a matita qui esposti insieme ai miei acquerelli sono stati realizzati da te. Lui si guarda attorno, molti dubbi gli passano velocemente dentro la testa; ancora non ha conosciuto neppure il padre di Cinzia, che dalle mezze parole che circolano in giro sembra sia proprio una bella persona, mentre la mamma in quei pochi minuti in cui è stata con loro gli è sembrata sostanzialmente svagata ed indifferente agli stati d’animo in gioco per l’organizzazione di quella festa. 
Franci, dice Cinzia elettrizzata da quanto stanno con fatica cercando di mettere assieme, io penso che sia buona l’idea di utilizzare una serie di piccoli faretti per illuminare i nostri lavori. Potremmo abbassare le luci generali ad un certo punto della serata, e mettere così in risalto tutti i disegni ed anche gli acquerelli. Va bene, fa lui, a me basta che nessuno riconosca troppo se stesso in qualcuno dei miei ritratti: sarebbe piuttosto imbarazzante, e poi anche difficile per me da spiegare, soprattutto per come ho cercato di utilizzare certe sottolineature, quasi delle insistenze, disegnando appositamente delle variazioni di segno per appesantire uno sguardo, o magari un’espressione, ma anche un modo di fare, o una semplice maniera di guardarsi intorno da parte di qualcuno che sicuramente ben mi conosce. In ogni caso è questa la mia ottica per guardare coloro da cui sono circondato, e questi risultati sono quelli che ho immaginato proprio per quelli che generalmente mi stanno più vicino.
Mi piace il tuo modo di vedere le cose e di disegnarle, fa lei; ed anche se sei un tipo taciturno sto volentieri con te, mi pare proprio di riuscire a non annoiarmi neppure per un attimo. Lui si sente quasi troppo osservato, e così volta la faccia da un’altra parte, come a nascondersi, fingendo interesse per qualche dettaglio, poi però arriva qualcuno ad interrompere quel momento. Buonasera, fa il padre di Cinzia, e con misura stringe la mano a Francesco.  Fa i complimenti ad ambedue, ma con garbo, scorrendo rapidamente quanto i due ragazzi hanno allestito, poi si congeda. È un industriale, un uomo di grande potere, subissato di impegni.
Tutto sembra praticamente messo a punto, Cinzia sembra soddisfatta delle sue scelte, così escono dal salone lasciando tutte le cose pronte per quel tardo pomeriggio, quando arriverà il servizio ristorante previsto, subito prima di tutti gli invitati. È stata una bella giornata Franci, dice ridendo, e forse sarei già contenta così, senza bisogno di altro. Francesco sorride, non ha neppure bisogno di dire niente per rinnovare quel senso di tortura a cui gli pare di essere sottoposto, considerando comunque che non avrebbe mai accettato di far parte di un evento del genere senza il supporto di una persona come sa esattamente essere lei.


Bruno Magnolfi

domenica 17 dicembre 2017

Niente di nuovo.



Corrado si ferma un attimo prima di aprire con la chiave il portone del suo condominio, e poi si volta come seguendo un richiamo, forse per osservare quei lampioni di luce bianca vagamente spettrali che si stagliano lungo la via che ha già percorso, ovviamente già accesi e necessari vista l’ora ormai tarda, per un attimo immaginando tutte quelle persone del vicinato già pronte per mettersi a cenare con le braccia distese sopra ai loro tavoli di casa. Si accende con calma una delle sue sigarette, si guarda attorno a sé ancora una volta, poi si appoggia con le spalle a ridosso del muro accanto all’entrata, come per riflettere su qualcosa che improvvisamente pare quasi tormentarlo. In questo momento non c'è neppure quell’anziano vicino curioso e un po’ ficcanaso che se ne sta perennemente affacciato alla sua finestra del primo piano: con il buio avrebbe peraltro la possibilità di non essere neppure troppo notato, ed allo stesso tempo di scrutare meglio i fatti ed i comportamenti di tutti i vicini che riesce a mettere a fuoco, ma si vede che si è messo a cenare anche lui.
In casa di sicuro stanno soltanto aspettando Corrado, ed hanno già sistemato le cose per il suo impellente ritorno, anche se lui sa benissimo che cosa troverà una volta rientrato come ogni sera nel suo appartamento: le solite facce di sua moglie e di suo figlio, i medesimi gesti, le stesse parole da dire, le identiche espressioni da usare, ed anche se in tanti casi gli appare quasi rassicurante trovarsi di fronte a quanto lui conosce oramai più che bene, dall’altro lato sa bene che tutto quanto gli sembra far parte di un copione già fin troppo abusato, qualcosa che ognuno può ripercorrere coerentemente a menadito e perfino con gli occhi bendati, tanto da apparire, almeno al suo sguardo ipercritico, praticamente noioso. Ci vuole determinazione per andare avanti comunque, o forse un pizzico di coraggio per essere indifferenti alla serie di abitudini che sono pronte senz’altro a dipanarsi oltre il portoncino di quel terzo piano.
Poi il vecchio improvvisamente si affaccia per dare un’occhiata alla strada, e così Corrado lo vede, lo scruta come un personaggio estraneo ai suoi disegni, l’altro però lo saluta con cortesia pur senza grande insistenza dal davanzale della sua finestra, evidenziando un semplice cenno della sua mano grinzosa. Anche un gesto del genere alla fine fa parte della monotonia della vita, riflette Corrado, eppure a lui in questo momento tutto questo fa quasi piacere, ne è del tutto consapevole, ed improvvisamente si sente meno solo di quanto credeva nel semibuio di quel marciapiede. Cerca, proseguendo una logica assurda, di guardare se stesso proprio con gli occhi del vecchio, ed all’improvviso non riesce neppure a spiegarsi cosa ci faccia uno come lui fermo sopra quel marciapiede, e per questo motivo di colpo si sente proprio a disagio, inspiegabilmente. Dovrebbe rientrare, è un gesto automatico, la sua sigaretta poi è ormai terminata, eppure qualcosa lo trattiene ancora là fuori, come se quella attesa portasse comunque verso qualche momento benefico.
Potrebbe aspettare qualcuno, pensa adesso Corrado con la testa incuriosita del vecchio; potrebbe avere degli affari da compiere, oppure attendere il momento più adatto per fare qualcosa, magari mettere in moto la macchina ed andarsene da qualche parte che sa solo lui; un viaggio di affari, un incontro importante, una riunione di lavoro d’alto livello. O forse, sembra quasi suggerirgli quel vecchio intrigante, semplicemente tardare al massimo possibile il rientro in quel suo appartamento dove lo attende la sua famiglia; nella paura cosciente di trovarsi anche stasera di fronte alle solite cose.


Bruno Magnolfi

mercoledì 13 dicembre 2017

Soltanto così.



Trascorrere il pomeriggio da solo seduto su di una panchina dei giardinetti vicini al liceo non è certo il massimo. Eppure è l’unico luogo dove a Francesco è venuta voglia di trascorrere un’ora per conto proprio, con il suo libro da leggere dentro lo zaino e la fedele matita morbida per qualche piccolo schizzo sull’immancabile taccuino per gli appunti. Il Neri negli ultimi giorni si è mostrato più distaccato con lui, come se fosse un po’ stufo di quei suoi problemi di comportamento con tutta la classe. In fondo un cambio di posizione del genere proprio adesso è ben comprensibile: non si può fare a lungo il tutore di uno sfigato che non riesce ad avere dei rapporti corretti con gli altri, continuando a proteggerlo da tutta la classe.
Poi, come d’incanto, un paio di giorni più addietro è arrivata improvvisamente questa ragazza durante l’intervallo tra le lezioni; un’amica proprio del Neri, compagna di scuola ma studente di un’altra sezione al piano superiore dell’edificio, e lui l’ha subito presentata a Francesco come se già fossero assolutamente d’accordo, cercando proprio di lui in mezzo alla confusione dei ragazzi a quell’ora, e mostrando immediatamente con delle semplici espressioni del viso che ci teneva davvero a far saldare una conoscenza del genere. Lei si chiama Cinzia, niente di speciale, una come quasi tutte le altre, però qualche volta disegna ritratti, proprio come Francesco, anche se generalmente usa la tecnica dell’acquerello.
Lui è rimasto praticamente in silenzio pur apprezzando dentro di sé quel gesto da parte del Neri, ed ha sorriso a questa Cinzia anche se nella maniera semplice e timida di cui è capace, poi ha lasciato che le cose prendessero con naturalezza il proprio percorso. Lei sembra spigliata e divertente, praticamente il contrario esatto di ciò che sa essere Francesco, ma questa ragazza con lui si è mostrata molto comprensiva, tanto da dirgli che sarebbe stata molto contenta di vedere almeno qualcuno dei suoi disegni. Si sono dati appuntamento in un pomeriggio di qualche giorno più tardi nella birreria vicino alla scuola, e lui adesso, se controlla il quadrante del suo orologio, è solo perché sa che deve incontrarla, perciò si alza e si avvia lentamente verso il locale.
Lei è già dentro, sta seduta scambiando qualche parola con il barista, ma quando arriva Francesco sembra non abbia più alcuna attenzione per altri che lui. Dallo zaino spunta una grossa cartella con delle tavole di cartoncino a grana grossa, e sul tavolo lui inizia a spiegare che cosa gli interessa nella composizione di quei suoi ritratti. Credo di essere omosessuale, le bisbiglia lui ad un tratto guardandola dritta negli occhi, come per sgombrare il campo da qualsiasi equivoco. Cinzia però non si scompone per niente, lo guarda un momento poi prosegue ad osservare i disegni, chiedendogli infine se nelle espressioni che ritrae cerca di mettere almeno in parte il proprio disagio. Forse, fa lui, ma non è esattamente questo ciò che cerco di disegnare, piuttosto quello che vedo normalmente sulle facce di tutti, anzi, proprio quella sofferenza che attorno a me continuo a percepire negli altri, evidenziata dalle espressioni di chi in generale mi sta più vicino. Certo, fa lei, mi sembra l’unico argomento che valga la pena di essere raffigurato: anche per me in fondo è più o meno così, e forse se ci rifletto, non potrebbe essere in nessuna diversa maniera.


Bruno Magnolfi

lunedì 11 dicembre 2017

Disponibilità immediata.



A lei capita, nel corso ordinario di certe giornate come quella di oggi, che senza averne almeno inizialmente neppure una precisa coscienza, si ritrovi per un attimo a fissare il suo sguardo su di un punto qualunque di nessuna importanza e senza caratteristica alcuna, e ad incuriosirsi talvolta proprio di quel punto, cioè di quel niente assoluto, che magari riveste soltanto un pensiero distante che sta ben oltre quello stesso punto di cui purtroppo anche una volta osservato non riesce neppure ad afferrarne completamente la natura, lasciando con grande semplicità succedere tutto anche se solo per pochissimi istanti, quasi la sua fosse giusto un’astrazione dalla realtà assolutamente momentanea, sorridendo poi tra sé nel proseguo coerente di tutte le cose, nello stesso momento in cui invece riesce a riprendere appieno le proprie facoltà, ricominciando da subito nella stessa maniera di ogni giorno ad occuparsi delle sue annose faccende quasi come se niente fosse successo.
Poi si alza da quella sedia dove sta l’elaboratore a cui ogni mattina feriale dedica quasi tutto il suo tempo, esce dal piccolo ufficio con la porta vetrata che chiude la sua intimità di ragioniera e contabile, e si va a muovere lentamente con lo sguardo attento dentro al capannone della carrozzeria dove lavora, fino a raggiungere Andrea, uno dei dipendenti, mentre piegato dalla propria attività si sta occupando da solo della fiancata di una macchina in riparazione. Ciao, gli dice alle spalle appena soffermandosi; e poi: buon compleanno, gli fa appena lui si gira verso di lei. Quindi se ne va, senza aspettare neanche che lui riesca a formulare una qualche risposta. Hai finito di imbambolarti, le chiede la sua amica Chiara qualche volta quando si fermano a bere un caffè nel loro locale preferito, a due passi da casa; poi ridono, ma per Anna le cose stanno esattamente in questa maniera, ed è inutile per lei cercare di essere diversa.
Forse non ha proprio alcun senso tutto questo, eppure lui è lì che si strugge, anche se lei non vorrebbe, soltanto perché torna assurdo persino pensarci, ma in ogni caso anche per Anna è così, ed in fondo a quel punto che guarda perdendone quasi coscienza, ogni tanto c’è qualcosa di più della simpatia. Chiara le ha detto che è soltanto una sciocca, che non ci sono motivi per dare tutta questa importanza ad una semplice e leggera amicizia, ed Anna le ha dato ragione, ha persino abbassato la testa, perché alla fine lei non vorrebbe, non desidera affatto ritrovarsi ad essere in questa maniera, anche se forse riflette che qualcosa negli anni probabilmente le è venuto a mancare, qualcosa che non saprebbe in questo momento neppure descrivere, ma che senza alcun dubbio, almeno dentro a quei suoi inconsistenti e bislacchi pensieri, lui riesce a farle almeno sognare. 
E’ uno scherzo, niente di più che una cosa del genere, ma così tanto reale da rendere il resto per qualche istante una cosa minore, ed almeno in quei dati momenti in cui davanti ai suoi occhi le appare la visione completa di un sentimento lontano e represso, Anna si perde, come se qualcosa di vero si disvelasse dietro alle sue fantasie. Poi torna a casa una volta terminato il suo orario di lavoro a tempo parziale, e tutto improvvisamente le resta alle spalle, lontano, proprio come i suoi sguardi, perché adesso ci sono delle cose ben più importanti da fare e affrontare, e anche da riflettere; e che reclamano da subito la sua piena disponibilità, come ogni giorno.


Bruno Magnolfi

mercoledì 6 dicembre 2017

Relazioni sociali.

            

Non c'è da preoccuparsi, dice l’amministratore di condominio alla signora Giuliana, la donna che abita al primo piano e alla quale tutti in genere si riferiscono per sapere qualcosa sulle novità di quel palazzetto dove risiedono otto famiglie. Si è formata una macchia di umidità sul muro dalla parte che guarda le scale, e studiando la piantina del casamento sembra proprio corrispondere alla zona del contatore dell’acqua nell’appartamento della famiglia Renai; loro in casa probabilmente non si sono ancora accorti di niente, dice l’amministratore, però sarà necessario che un muratore ed un idraulico facciano dei saggi per verificare come stanno realmente le cose, per poi magari procedere in tempi celeri alla riparazione. Di mattina non c'è mai nessuno in quell’appartamento, dice la signora Giuliana, però al pomeriggio ci sono quasi sempre sia la signora Anna che il suo figliolo, anche se lui è un tipo scostante che quando ti incontra non ti saluta mai per primo, e quando lo fa rimane comunque con gli occhi bassi, senza neppure guardarti in faccia. L’amministratore sorride, è abituato a certi commenti, in ogni caso dice che si limiterà ad appendere subito un biglietto sopra la porta di quella famiglia, per avvertirli della situazione che si è verificata, e poi farà venire gli operai, ma tra qualche giorno, visto che l’intervento pur necessario non appare alla fine neppure troppo urgente.
Chissà se anche su questa situazione che si è verificata i Renai avranno qualcosa da ridire, pensa la signora Giuliana dopo aver salutato l’amministratore di condominio. Sono persone particolari: lei è sempre sorridente, certe volte anche molto cortese, ma non sembra il tipo di persona di cui ci si può davvero fidare. Il marito invece è proprio un personaggio ombroso; Corrado si chiama, e probabilmente non ci metterebbe nulla addirittura ad offenderti se solo gli intralciassi la strada. Non mi piacciono, pensa ancora mentre rientra nel suo appartamento; la cosa migliore per il nostro condominio sarebbe che se ne andassero ad abitare in un altro quartiere.
Ci sono tanti modi per rapportarsi con gli altri, pensa invece l’amministratore una volta seduto nella sua macchina  e dopo aver avviato il motore. Si tratta di inquadrare bene le persone che si parano di fronte a noi: per qualcuno forse tutti appaiono come dei presunti nemici, e quindi per questi individui la cosa migliore da fare è mettersi subito sulla difensiva; oppure per altri sembra convenga leggere in qualche sconosciuto proprio colui il quale può tornare utile in qualche maniera, oppure al contrario uno che è soltanto una perdita di tempo, e tutto ciò estrapolando su qualche estraneo un giudizio quasi definitivo, magari basandosi solamente su alcuni aspetti esteriori, quali l’espressione del viso, gli atteggiamenti delle braccia e del corpo, oppure ancor più semplicemente l’abbigliamento che usano. E’ difficile a volte comprendere cosa passi davvero nella testa di qualcuno, e in ogni caso conviene quasi sempre non esporsi mai troppo: cercare in qualche modo al momento opportuno una qualche via di fuga, e comunque essere sempre disposti ad una improvvisa ritirata strategica, magari nell’esatto momento in cui chi ci sta di fronte pare assumere un atteggiamento poco disponibile. Non conosco per nulla questa famiglia Renai, però deve essere piuttosto interessante parlare con loro; e soprattutto deve essere arduo cercare di comprendere quali siano davvero i metodi che usano per relazionarsi in qualche modo con gli altri.


Bruno Magnolfi 

giovedì 30 novembre 2017

Pellicola iniziata.

           

Dopo averle suonato il campanello e fattasi quindi aprire il portone condominiale, lei affronta piuttosto velocemente i gradini che la separano da quell’appartamento del terzo piano, come non ci fosse proprio alcun tempo da perdere, mentre intanto riflette che senz’altro non si tratterrà a casa della sua amica molto più a lungo del necessario, giusto il tempo di sedersi e prendere un caffè insieme ad Anna, fare due chiacchiere con lei per capire come le vanno le cose ultimamente, e poi mettersi d’accordo per andare al cinema domani o magari il giorno dopo ancora. Chiara è il tipo di persona sempre di fretta, a volte sembra persino difficile parlare con lei in modo disteso, però le sue maniere di andare subito al punto anche se non lasciano scampo, mettono sempre tutti però in condizioni di rivelarle quello che pensano veramente, senza alcun giro di parole. Loro due si conoscono da molto, dai tempi della scuola, ed anche se ci sono stati dei periodi in cui non si sono affatto frequentate, adesso non passa settimana senza che non cerchino di fare qualcosa insieme, fosse anche scambiarsi un semplice saluto veloce.
Va tutto bene, o almeno come al solito, dice Anna, anche se Corrado in questo periodo mi sembra un po’ assente, con la testa dentro le nuvole, e spesso mi risponde soltanto a monosillabi, salvo raccontare ogni tanto le solite storie sui colleghi di lavoro, degli attriti che si scatenano nei corridoi tra gli uffici, e altre cose del genere per niente nuove. Mentre conversano rimangono sedute vicino ad una finestra, e parlando Chiara guarda continuamente fuori, verso la strada, come ci fosse qualcosa di interessante. Lei insieme a suo fratello gestiscono una cartoleria, un vecchio negozio di famiglia apprezzato e frequentato da molta gente del quartiere, e così Chiara conosce molte persone, anche se quasi tutte soltanto superficialmente; ma spesso in questa maniera, anche senza andarselo a cercare, viene a sapere di qualche pettegolezzo che in certi periodi circola su qualcuno o su qualcun altro tra i suoi conoscenti.
Sembra ci siano in giro dei padri di famiglia indebitati fino agli occhi per il gioco d’azzardo, dice ad Anna, e forse ho dei sospetti su un tizio sempre nervoso che a volte vedo attorno al mio negozio, e che in questo momento è proprio qui davanti, laggiù, lungo la strada. Va bene, dice Anna sorridendo, visto che adesso ti sei messa a studiare i problemi economici delle persone, questo tizio per te è senz’altro qualcosa di estremamente interessante. Tu non sai fino a che punto si può spingere una persona assillata dai debiti, fa l’altra, e dietro a questa gente quanti strozzini ci siano sempre pronti ad approfittarsi della situazione. Poi resta in aria un attimo di silenzio, Chiara termina il suo caffè, guarda l’amica, quindi si alza: devo andare, dice mentre già si infila il soprabito. Allora ci vediamo domani. D’accordo, fa Anna, passo da te, ma cerchiamo di essere puntuali: non mi piace sedermi al cinema quando già hanno spento le luci della sala, e  soprattutto al momento che la pellicola è oramai iniziata da un pezzo.

Bruno Magnolfi


martedì 28 novembre 2017

Adolescenza variabile.

        

Quando Anna in fondo era ancora una piccola ragazza proprio come tutte le altre, studentessa non troppo brillante dell’istituto commerciale della sua città, durante gli anni in cui quasi ogni giorno passava un sacco di tempo davanti allo specchio per pettinare i suoi capelli anche se erano già abbastanza belli e curati, qualcuno le aveva già detto in privato che era piuttosto carina, anche se a lei quando tornava a casa per specchiarsi di nuovo, non risultava scoprirsi esattamente così, limitandosi comunque timidamente a sorridere a tutti quanti nello stesso momento in cui riusciva soltanto a schernirsi magari di fronte ai suoi compagni di classe che le stavano maggiormente vicino. Spesso si divertiva addirittura, non prendendolo nemmeno sul serio, quando qualcuno le diceva di volerla conoscere meglio, e il suo momento migliore in ogni caso era dato semplicemente da quegli attimi in cui ragazze e ragazzi le si mettevano intorno, come a farne il polo d’attrazione di quei suoi amici più stretti.
Le piaceva essere al centro in quelle occasioni, magari senza troppo esagerare, anche se in genere provava un certo disagio quando qualcuno la guardava in quel certo modo, perché lei nel profondo si sentiva ancora infantile, sempre pronta magari a giocare e a farsi qualche timida risata, ma senza mai fare niente che fosse preso dagli altri troppo sul serio. Era il sorriso la sua vera arma, quella maniera particolare di sentirsi ottimista, e di trovare che tutto fosse quasi sempre plausibile, visto che nella realtà, almeno secondo il suo semplice parere, non si sarebbe davvero mai potuto manifestare qualcosa di brutto.
A quindici anni il primo bacio le era stato dato di fretta, sul retro del bar in quel momento deserto vicino alla scuola, e comunque aveva acceso in lei un gran desiderio, come qualcosa di cui non siamo per bene riusciti a provarne tutto il piacere presunto, lasciandole in questo modo dentro se stessa una notevole curiosità, regolarmente delusa durante una seconda prova effettuata qualche mese più tardi con un altro ragazzo, una persona più calma, forse un tipo più adatto, ma probabilmente un po’ troppo serio per mettersi davvero con lei. Di sicuro proprio per questo era seguito un lungo periodo in cui quasi esclusivamente le amicizie femminili per Anna sembrava avessero preso un’importanza maggiore, in quanto i ragazzi le parevano in genere troppo distanti, persi spesso dietro cose per lei incomprensibili.
Quando smise di guardarsi allo specchio lo fece per una specie di strana ripulsa: in fondo decise soltanto che non c’era poi niente di veramente importante in quell’immagine sempre un po’ statica. Aveva bisogno di scavare dentro se stessa, questo era il suo proposito da ora in avanti, e comprendere appieno che cosa desiderasse davvero, così come iniziare a studiare i gesti e le espressioni degli altri piuttosto che i propri capelli o il suo viso. Poi arrivò Corrado, inaspettatamente, e niente in sostanza fu più come prima; neppure per lui.


Bruno Magnolfi

mercoledì 22 novembre 2017

Abitudine alla normalità.

            

I propri essenziali banchi individuali non sono lontani tra di loro, e quando certe volte in quell’aula del liceo vanno avanti alcune ore di lezione forse anche più noiose delle altre, ogni tanto Francesco getta un’occhiata, rapida anche se esauriente, verso il suo amico Neri, immobile in terza fila, a tre o quattro metri di distanza dal suo posto a sedere, che per scelta è sempre stato fin dall’inizio dell’anno scolastico il primo banco alla sinistra della classe. In fondo è accaduto sostanzialmente solo ieri, durante un cambio di insegnante, proprio quando tutti gli altri stavano in piedi a chiacchierare, che lui si sia spostato appunto in quella terza fila tanto per scambiare col Neri qualche parola senza impegno, e mentre gli diceva quello che aveva pensato nei minuti precedenti, sorridendo forse della propria timidezza mentre cercava l’attenzione, Francesco abbia quindi posato la sua mano, forse con un gesto per lui assolutamente naturale, sulla mano dell’amico ferma sopra al piano di quel banco, lasciandola proprio in quella posizione su quel morbido tepore piacevole e così rassicurante, magari leggermente troppo a lungo per evitare che qualcuno tra i loro compagni subito se ne accorgesse.
Nessuno ha detto niente, almeno sull’immediato, e persino il Neri non gli ha dato proprio alcun peso, ma in seguito, quando è suonata l’ultima campanella ad indicare la fine dell’orario scolastico, il suo compagno Carlo Pieri, mentre tutti camminavano lungo l’ingresso principale, ha appoggiato delicatamente una mano sulla spalla di Francesco, sfoderando un acceso senso ironico, e quando lui si è voltato per guardarlo gli ha sorriso in modo quasi claunesco, con un’espressione che non lasciava dubbi su quanto lui stesse pensando. Nessun problema, Francesco se lo aspettava da un momento all’altro che qualcuno iniziasse ad essere un po’ entrante nei riguardi delle sue cose, così lo ha solo osservato un attimo con neutralità senza ribadire niente, e poi ha continuato a camminare rivolgendo subito lo sguardo indifferente avanti a sé: non c’è da preoccuparsi, forse ha pensato; i ragazzi se vogliono sanno essere cattivi, ma a lui non interessa, lui resta uguale a come è sempre stato, oltre certe sciocchezze.
All’uscita si è incamminato verso casa sua Francesco, le mani nelle tasche, lo sguardo rivolto verso il marciapiede di fronte a sé, ma poco per volta ha cominciato a sentirsi come più leggero, praticamente rassicurato dagli eventi, quasi che l’esternazione delle idee e dei propri sentimenti gli avesse proprio provocato una sensazione di sollievo, quella di chi in un attimo si è liberato l’animo, e oramai si trova ben lontano dall’uso consuetudinario dei gesti e delle espressioni, e soprattutto oltre le abitudini della normalità. Un percorso lungo e complicato, pensava raggiungendo con calma la sua abitazione, però del tutto inevitabile, quasi una strada già tracciata che è inutile cercare di abbandonare in qualche modo: soltanto la sensibilità di chi si incontra lungo questa via può fare davvero una evidente differenza; il resto delle scelte che possiamo fare è già dentro di noi, fa parte del bagaglio che ci portiamo dentro, e non serve a niente in un modo oppure nell’altro cercare di adattarsi alla realtà, così come tentare di rendere più lisce le situazioni ruvide che spesso ci troviamo ad affrontare.


Bruno Magnolfi

giovedì 16 novembre 2017

Spie.

            

Avrei bisogno di parlarti nel mio ufficio; anche adesso se non hai cose particolarmente importanti da sbrigare, dice al Torrini mentre gli passa distrattamente accanto, appoggiando una mano sul piano della scrivania e osservandolo appena per un attimo negli occhi. La mattinata è una di quelle solite, fotocopia esatta di mille altre, gli impiegati dicono qualcosa tra di loro sorridendo quando si incrociano lungo i corridoi, e per il resto ognuno se ne rimane piegato sopra al proprio piano di lavoro oppure al telefono, a sistemare le pratiche a lui affidate ed a contribuire alla gestione di tutta la clientela assicurativa del gruppo societario. Il capufficio non è il tipo di persona che parla molto con gli altri, però sicuramente è un astuto osservatore, uno che scruta le persone con attenzione dietro ai suoi occhiali, cercando di comprendere anche da piccoli particolari le cose che non vanno. Non capita di frequente che inviti qualcuno a raggiungerlo dentro al suo ufficio, perciò il Torrini si mette subito sulla difensiva, pronto ad affrontare una nuova grana, a questo punto praticamente quasi sicura.
Vorrei chiederti qualcosa di Corrado Renai, dice lui senza giraci attorno. Per me è solo un collega, fa il Torrini, peraltro neanche uno di quelli con cui ho più confidenza; non so che cosa devo dire, ma a parte qualche piccola incomprensione che viene fuori ogni tanto tra me e lui, per il resto mi sembra uno come gli altri. Vuoi dire che con il Renai non hai rapporti privati fuori dall’orario di lavoro, e che magari non lo conosci neppure oltre questi uffici, mi pare di capire. Esatto, dice il Torrini, niente di niente. Credo che tu non mi dica la verità, fa il capufficio: in ogni caso non ho elementi per smentirti, anche perché quello che accade fuori da queste mura non sono certo affari miei. E’ esatto anche questo, fa il Torrini, comunque se c’è bisogno di qualche spiegazione sui miei compiti sono pronto a darli, però sugli altri impiegati del palazzo non mi piace proprio parlarne troppo.
Va bene, dice l’altro alzandosi dalla scrivania, è chiaro il concetto, in ogni caso se ci fosse bisogno di cambiare in meglio le mansioni ad un impiegato del piano, o magari affidare un portafoglio clienti un po’ più corposo a qualcuno dei nostri, tu non indicheresti certo lui. Torrini sorride, annusa il trabocchetto, pensa che non ci sia niente di vero in tutte quelle parole, e che sia soltanto uno stratagemma per tirargli fuori degli elementi che probabilmente il capufficio già conosce, o che subodora, ed immagina oltretutto che qualcuno in quei corridoi, incapace di badare ai fatti propri, lo abbia subito avvertito del recente scambio di soldi che c’è stato.
Fondamentale è negare, negare sempre, lasciando che almeno un dubbio prosegua a girare nella testa di tutte le persone. Va bene Torrini, dice il suo capo, vedremo in seguito. Durante la giornata Torrini fa avere un biglietto a Corrado, e all’uscita dal lavoro loro due si incontrano sul retro di un caffè poco distante. Devi rendermi i quattrini che ti ho prestato, gli dice quello, la faccenda si è fatta troppo pericolosa. Il capo pensa che ci sia tra noi una compravendita di clienti o anche di polizze, così è capace di metterci alla porta tutt’e due. I patti sono chiari, risponde secco Corrado; ti renderò tutto nei tempi stabiliti. Torrini evita di alzare la voce, lascia correre, non ha strumenti per arrivare a pretendere quello che ha appena chiesto, quindi se ne va e basta. Quando escono comunque lo fanno uno per volta, a distanza di diversi minuti, soprattutto perché oramai ambedue non si sentono tranquilli affatto: chiunque intorno sembra che continui come ad osservarli di nascosto, e gli pare d’essere tenuti d’occhio da chissà quanti passanti anonimi, come se il capo nello spazio di un solo pomeriggio avesse assoldato delle spie per dare loro una spietata caccia. Forse non succederà un bel niente, pensa Corrado mentre se ne va verso casa sua; in ogni caso occorre adottare una gran cautela, e lasciare che le cose si sgonfino, come è normale in casi come questi: poco alla volta. 


Bruno Magnolfi

martedì 14 novembre 2017

Felice giornata.

            

Anna, le aveva detto Corrado la mattina stessa della cerimonia, parlando a voce bassa e continuando a sorridere a tutti: mi sembra di essere immerso dentro un film girato dentro una casa di produzioni cinematografiche; come se tutto quanto intorno a noi si mostrasse falso, irreale. Sono contento, certo, e poi ci sei tu che mi appari meravigliosa come sempre, ma è tutto così strano che in certi momenti non mi sento proprio sicuro di niente. Non preoccuparti troppo, aveva risposto lei: anche a me sembra tutto un po’ anomalo, però mi è sufficiente concentrarmi su due o tre cose importanti, quelle che contano davvero, ed il resto poi mi sembra vada avanti anche da solo; prova anche tu a fare il medesimo piccolo sforzo mentale.
Erano usciti dalla chiesetta di quel quartiere in mezzo ad una ventina di parenti ed anche qualche amico, e a Corrado tutta quella accelerazione che avevano preso all’improvviso le cose, una volta liberatosi il vecchio appartamento di famiglia dove loro due sarebbero subito andati ad abitare preparandosi alla impellente nascita del loro figlio, gli era parso persino eccessivo, come se dovesse mancare forzatamente in quel disegno già addirittura troppo completo e forse impermeabile a qualsiasi variazione, persino il tempo di riflettere su quanto stava accadendo.
Più tardi loro due si erano seduti per quel pranzo di nozze forse cercando in mezzo a quegli invitati che avevano di fronte qualcosa che desse in qualche modo il senso della normalità, ma Corrado, anche quando le cose si erano portate più avanti, aveva continuato a sentirsi un estraneo in mezzo a quel tavolo, provando ogni poco la voglia profonda e insinuante di fuggirsene via. Aveva bevuto, certo, aveva brindato, e aveva lasciato naturalmente che tutti continuassero a congratularsi con lui, ma fin da subito si era sentito sbagliato, senza neppure il coraggio di dirlo davvero, quasi perfino a se stesso.
Quando alla fine della giornata erano rimasti da soli, lui ed Anna, Corrado avrebbe voluto quasi chiudere gli occhi per sperare che tutto si rivelasse soltanto un sogno, un’invenzione della fantasia, qualcosa di cui dimenticarsi, prima o dopo. Ma c’era da guardare avanti, c’era da affrontare ogni passaggio, perché  soprattutto c’era quel figlio che stava maturando dentro al corpo di Anna, e non era possibile fare nient’altro se non spianare la strada alla sua nascita, e mettere tutte le cose in maniera che quella in formazione fosse davvero la sua famiglia.
Tutta una serie di passaggi obbligati, una catena di cose che avrebbero marcato, una per volta, la strada precisa verso qualcosa di diverso da ciò che erano state le giornate ordinarie fino a quel momento. Corrado ad un tratto si era chiuso nel bagno, si era guardato a lungo dentro lo specchio, forse si era posto delle domande, e alla fine probabilmente aveva preso coscienza di quanto stava davvero accadendo fuori e dentro di sé. Poi era uscito, aveva abbracciato Anna di getto, si era inebriato del profumo di quei suoi capelli, l’aveva stretta con grande dolcezza, e alla fine aveva detto soltanto: sono felice.


Bruno Magnolfi 

giovedì 9 novembre 2017

Ritratto d'amico.

            

Quando sta insieme a sua madre, tutto sommato Francesco si sente tranquillo. Sono usciti insieme di casa per fare qualche acquisto presso un centro commerciale poco lontano – a lui manca una giacca pesante -, ed Anna si sente piuttosto orgogliosa di andarsene in giro con quel suo ragazzone pieno di vita e anche di futuro. Ogni tanto vorrebbe quasi prenderlo per mano, come faceva quando lui era più piccolo, ma naturalmente si trattiene e sorride di sé, visto che è già molto se lui non le cammina due o tre passi più avanti, come fanno altri figli con i loro genitori, forse per non mostrarsi troppo solidali con la propria famiglia.
Lui si guarda attorno, la testa perennemente come in una nuvola grigia, ma non rifiuta mai quasi niente di ciò che gli viene proposto. È vago se Anna gli fa qualche domanda, non risponde mai in modo diretto, però non appare scontroso o ribelle. Forse avrebbe potuto essere diverso, pensa lei, magari più estroverso, maggiormente disposto verso gli altri; ma in fondo, se ci pensa con calma, a lei va bene proprio così. Entrano dentro un negozio, si guardano attorno, si fanno consigliare dei capi da una commessa carina, quindi cercano la giusta taglia ed il colore di alcuni indumenti già confezionati e pronti a provare.
Anna è contenta di vederlo specchiarsi, gli sembra il più bel ragazzo di tutti, e gli sorride, lo guarda in tutte le visuali che può mentre dice ad alta voce il proprio parere, apprezzandolo mentre indossa quella giacca che ha ormai scelto di prendere, e quasi si commuove per averlo davanti, lì insieme a sé, proprio un figlio meraviglioso, riflette. Ogni sacrificio, ogni momento difficile le appare immediatamente ricompensato da quel suo vederlo già uomo, persona completa di pregi e forse anche di qualche difetto, un po’ come tutti, però pacata, seria, forse soltanto un po’ troppo riservata. Ci vorrebbe magari una ragazza per tirarlo fuori dal bozzolo in cui si è rinchiuso, pensa mentre lo osserva, anche se subito ride di sé e dei suoi sciocchi pensieri. Poi pagano il capo acquistato ed infine escono da quel negozio.
Mi sono trovato un amico, dice Francesco guardando avanti a sé mentre camminano sul marciapiede. Non so se davvero sia un bene, in ogni caso mi piace parlare con lui, dirgli sempre tutte le cose che mi passano dentro la testa. Forse domani ci vediamo nel pomeriggio, passa a prendermi vicino casa con il suo motorino, credo mi porti in un locale per presentarmi alcune persone che lui spesso frequenta. E come si chiama, quest' amico, chiede sua mamma. Non posso dirtelo, spiega Francesco, poco per volta sono sicuro vorresti sapere di più, e questo non porterebbe a niente di buono. Presto però lo potrò disegnare, forse farò il suo ritratto, ci sto già pensando, ho già in mente tutte le linee caratteristiche del suo volto: il taglio degli occhi, la bocca, il collo, le sue espressioni maggiormente caratteristiche, sono sicuro che ne verrà un gran bel disegno, e magari ti farò dare un’occhiata a questo lavoro che ho in mente, probabilmente lo vedrai, quando sarà terminato.


Bruno Magnolfi

lunedì 6 novembre 2017

Costi quotidiani.

           

Sono Chiara, un’amica di Anna, dice Chiara al telefono; se è possibile vorrei soltanto parlare un momento con lei. Il titolare della carrozzeria risponde frettolosamente da un apparecchio a parete sistemato su un muro dell’officina, sorride a quelle parole che ascolta, poi dice soltanto: la chiamo subito; quindi appoggia la cornetta sopra un piccolo ripiano lì accanto, entra dentro l’ufficio dove sopra agli scaffali stanno i registri e gli archivi contabili, quindi spiega ad Anna che c'è una sua amica al telefono, e che le può passare subito la comunicazione al ricevitore sistemato sulla sua scrivania. Vorrei venire da te ad incontrarti alla fine del tuo orario di lavoro, dice Chiara, tanto stamani non è molto importante la mia presenza in negozio, così posso assentarmi, e magari quando sono lì da te puoi indicarmi quale sia tra gli operai questo Andrea che lavora là dentro e di cui parli tanto.
Va bene, fa Anna, tanto sai dove sono; ci vediamo alle dodici. Riattacca, poi riflette un momento, quindi riprende con il suo lavoro. Andrea a dire la verità non si è visto in tutta la mattina, e forse l’atteggiamento che aveva tenuto nei suoi confronti in quegli ultimi tempi è già tramontato, probabilmente ha altri pensieri che gli passano in testa, non ha più voglia di stare a guardare verso una sciocca impiegata un po’ sognatrice come sembra essere lei. Poi un cliente viene per ritirare la sua vettura, Anna ha già preparato il libretto di circolazione dell’auto e la fattura per il pagamento, ma qualcosa non torna, interviene così il titolare della carrozzeria, si discute di alcune cose, si tratta, alla fine viene trovato un accordo: va tutto bene, si sentenzia, e le cose procedono più o meno come sempre devono andare.
Verso la fine della mattina lei si alza dalla sua scrivania, indossa la sua giacca sopra le spalle e prende la borsa: devo passare di banca, dice rapidamente al titolare senza neanche guardarlo, lasciando che annuisca come fa sempre, poi lo saluta con maggiore cortesia, e quindi si avvia lungo la strada, la stessa che Chiara dovrà percorrere per venire da lei. Difatti dopo poco la incontra sul marciapiede: non hai voluto aspettare per farmi conoscere Andrea, le dice l’altra con un sorriso. Tanto non c'è, dice Anna, è fuori con un cliente, quindi non aveva senso che continuassi ad aspettarti ancora. Qualcosa mi sembra non quadri, dice Chiara, in ogni caso ti accompagno volentieri per un tratto, così mi parli di come vanno le cose.
Niente di nuovo, dice Anna, se non che in casa con Corrado non va molto bene: lui è spesso nervoso negli ultimi giorni, non so perché visto che non parla quasi mai, ed in compenso sembra continuamente perso tra i suoi problemi. Ho provato a fargli qualche domanda senza mai insistere e girando attorno alle cose, ma lui si trincera immediatamente dietro ai suoi soliti argomenti, e non dice niente. Anche con Francesco tiene un atteggiamento molto distaccato, e così il poco tempo che trascorre tra le mura domestiche non è incoraggiante. A volte vorrei proprio andarmene, dice Anna, e se non fosse per il mio bambino che ha bisogno di me, forse lo avrei anche fatto. Ma devo resistere, cercare sempre il lato positivo che c’è in tutte le cose, e tenere insieme le persone che siamo, ad ogni costo.


Bruno Magnolfi  

venerdì 3 novembre 2017

Coscienza indiretta.

          

La si può notare spesso mentre resta affacciata a quella solita finestra del suo appartamento che si apre proprio sopra la strada, la nostra vicina di casa del secondo piano, e lei in quelle volte sembra sempre osservare con un certo interesse chiunque per un motivo o per l’altro si trovi a passare da queste parti. Non mostra l’espressione di chi si preoccupa davvero di coloro che stanno transitando da qui, e forse non è neppure troppo curiosa delle cose che fanno o che accadono agli altri, in ogni caso spesso lei si fa vedere con le braccia conserte sopra al suo davanzale, a quella medesima finestra, ma con la testa forse perduta dietro chissà quali altri pensieri, ad osservare in modo generico ciò che succede lungo la strada. Certo, si sarà fatta senz’altro un’opinione completa di ognuno di noi, ma è anche probabile che non sia esattamente questo che la interessi davvero.
Sicuramente conosce abitudini e orari di tutte le persone che abitano in questo nostro palazzo, ma in fondo non c’è niente di male nel suo pensare qualcosa di tutti noi che abitiamo tra queste mura in comune. Anna per esempio la saluta sempre, quando torna da fuori, mentre Francesco e Corrado sembrano fingere di non vederla neanche, magari per motivi assolutamente diversi. Lei osserva senza insistenza, e forse pensa a quello che stanno facendo tutti gli altri lungo la via: persone che tornano da una passeggiata, oppure dal lavoro, o dalle normali faccende quotidiane, Probabilmente si immedesima in loro, riflette direttamente su quello che secondo lei stanno pensando, e magari riesce ad avvertire dentro di sé la stessa piccola emozione che può dare quel ritornarsene a casa di qualcuno, oppure la soddisfazione di aver fatto qualcosa di utile, da parte di un altro, oppure avere vissuto delle ore particolarmente importanti.
E’ una persona qualsiasi, indubbiamente, lei è un tipo di donna che generalmente non rimane neanche un attimo nella nostra memoria, perché è proprio una qualunque vicina di casa che puoi incontrare in ogni momento sul portone mentre stai uscendo, e magari in quel caso la saluti con un cenno del capo, ma lo fai solamente per ordinaria abitudine, perché devi pensarci almeno un momento per ricordare davvero chi sia. Invece quando sta là, incorniciata in quella finestra, sai perfettamente chi sia quella figura che adesso ti guarda, ed anche se possono darti fastidio i suoi modi di scrutare le tue abitudini e tutte quelle degli altri, è come se il suo sguardo si mostrasse in qualche maniera rassicurante, capace di ricordarti che quella è davvero casa tua, e che lei almeno virtualmente ne è la guardiana.  
Forse la nostra vicina riesce addirittura a vedere qualcosa che per noi non è più presente, e nel suo mondo di immagini è come se tutte le figurine che si muovono sotto quella finestra fossero comprese all’interno di una grande regia, di cui solo lei riconosce linee guida e dettami. Inutile sperare di sfuggire al suo occhio: il suo pensiero finale comprende probabilmente già ognuno dei nostri gesti di persone normali, e i nostri passi lenti o affrettati che siano, restano sicuramente all’interno di ogni sua considerazione preventiva. È soltanto una vicina di casa, questo è sicuro, ma nello stesso tempo è anche una parte della nostra coscienza.


Bruno Magnolfi

martedì 31 ottobre 2017

Uomo precoce.

            

A lui da piccolo certe volte gli bastava anche soltanto starsene seduto davanti al tavolo della cucina, oppure rimanere in piedi lì davanti, per poi girare lentamente attorno al piano orizzontale, giusto per arrivare là sopra con gli occhi e quando serviva con le mani, e disporre così su quella superficie gli oggetti che conosceva meglio o che aveva più facilmente a disposizione in casa, sistemandoli in buffe combinazioni di cui conosceva il senso solo lui, spesso forse in modo del tutto casuale, oppure secondo degli accostamenti che forse aveva visto già da qualche parte, inventandosi comunque in questo modo dei giochi e dei divertimenti tutti inediti, che duravano spesso anche a lungo, cambiando ogni tanto posizione a qualche pezzo e modificando in qualche modo il panorama, restando poi ad osservare tutto quanto da diverse angolazioni, fino a vederci là in mezzo chissà quali operazioni insolite, chissà quali prospettive. Francesco era fatto in questo modo quando aveva cinque anni, e sua mamma ogni tanto lo guardava e sorrideva, mentre suo padre in quei lunghi pomeriggi in casa non c’era quasi mai.
Ma guarda che cosa sei riuscito a mettere su oggi, gli diceva Anna con la sua voce molto pacata e anche rassicurante, chiedendogli con garbo che cosa rappresentasse quella tale messinscena; e Francesco qualche volta se ne usciva fuori con delle immagini che indubbiamente vedeva solo lui: una strada, diceva; oppure: il mare; o anche: tutti i parenti di una famiglia grande. Impossibile ribattere qualcosa, la sua fantasia probabilmente lo faceva arrivare in luoghi impossibili da raggiungere per gli altri. Tutto poi perdeva velocemente di consistenza, e in un attimo, una volta stufo delle disposizioni di quegli oggetti già adoprati, Francesco si interessava d’altro, lasciando tutto quanto al suo destino.
Sua mamma in quegli anni si sforzava di comprendere cosa mai volesse esprimere quel suo bambino, oppure se dietro quei suoi comportamenti ci potesse forse essere un piccolo disagio di chissà quale natura, ma lui appariva sempre tranquillo, si comportava ogni volta con normalità, e se forse qualche volta era leggermente taciturno anche con i suoi piccoli amici della scuola materna, tutto questo secondo Anna faceva soltanto parte del suo carattere, niente di più. Lei quando poteva lo portava sempre con sé fuori da casa, in luoghi pubblici: ai giardini, a passeggiare lungo le strade del quartiere, per negozi, al supermercato, e certe volte gli faceva compiere qualche piccola azione anche da solo: recarsi da un vicino, oppure in un negozio non troppo lontano dalla loro casa, e poi anche rispondere al telefono ed aprire la porta di casa quando qualcuno veniva  a suonare il campanello, proprio per dargli sempre dei compiti, impegnarlo, stimolare la sua personalità, per vedere quali fossero mai le sue reazioni, anche se lui si dimostrava sempre assolutamente all’altezza e capace di svolgere ogni cosa, senza mai manifestare alcun problema, mostrando intelligenza, attenzione e soprattutto grande sensibilità.
Poi smise di fare tutto, da un giorno all’altro, ed anche riuscendo a mostrare un comportamento in qualche modo simile a prima, si vedeva che qualcosa dentro di lui stava cambiando, ed anche un po’ troppo velocemente, quasi per farne precocemente proprio un uomo.


Bruno Magnolfi

sabato 28 ottobre 2017

Sentieri quotidiani.

            
Davanti ad una buona tazza di caffè, ad un tavolo appartato, dentro un piccolo locale dove a quest’ora regna la calma, certe volte la lingua sembra sciogliersi come per magia, ed anche tutto quello che sembrava quasi destinato a rimanere segreto, al contrario viene fuori così, spontaneamente, in una maniera del tutto naturale. Chiara, dice Anna alla fine dei suoi distinguo, guardandola con un sorriso leggermente impacciato, forse soltanto perché non è certo abituata a parlare di cose di quel genere. Però si fa coraggio, prende fiato, superando di slancio anche la propria timidezza: questo ragazzo, spiega inserendo qualche pausa; Andrea, come si chiama; mi saluta ogni giorno con un’espressione dolce e particolare, con il sorriso di chi è davvero contento di vedermi, senza insistenze, forse senza alcuno scopo, arrivando perfino ad attendere qualche volta il momento esatto in cui termino il mio orario di lavoro per incrociarmi casualmente sulla porta della carrozzeria, e potermi dire in questo modo sottovoce: ci vediamo domani, quasi dandomi un appuntamento, a me che in quella piccola azienda ci lavoro da tanti anni; come fosse un appuntamento soltanto per noi due.
Chiara sorseggia dalla sua tazza, e forse un moto di sottile invidia la coglie, perciò quando chiede ad Anna: ma tu pensi che tutto questo possa avere un seguito, probabilmente spera dentro se stessa che le cose si concludano in fretta, mostrando soltanto il volto di una ragazzata, di qualcosa senza importanza, e soprattutto che lascino Anna esattamente la medesima di come è sempre stata fino ad oggi. Dentro di lei sente il pungolo di qualcosa nella sua amica che forse potrebbe sfuggirle di mano, una realtà nuova che adesso la coglie impreparata, finendo per mettere in difficoltà persino lei stessa, anche se cerca di frenare quel moto, riflettendo che il suo atteggiamento non dovrebbe mai essere così egoistico.
Non lo so, fa lei; improvvisamente mi sento un’altra, piena di energia, serena, anche curiosa, e forse soltanto perché il sorriso di Andrea è qualcosa che mi fa stare bene, come se tutte le cose che mi trovo ad affrontare durante la giornata diventassero improvvisamente più leggere e anche più semplici. Ma è soltanto una simpatia, anche Andrea sa perfettamente che non ci potrebbe mai essere qualcosa più di questo. Allora non ha senso incoraggiarlo, dice Chiara. Non sto incoraggiando nessuno, ribatte Anna, però credo sarebbe molto peggio se la nostra reciproca simpatia dovesse restare nell’ombra senza alcuna manifestazione. Chiara sente perfettamente di essere una zavorra nelle parole di Anna, però in casi come questo è convinta che qualcuno ci deve essere a far tornare le persone con i piedi sulla terra.
Poi si alzano, le due amiche, ci sono tante altre cose da affrontare, e poi si è fatto tardi, non è proprio il caso di perdersi in sciocchezze per l’intero pomeriggio. Si salutano perciò, esattamente come hanno fatto sempre, ma Anna adesso si sente maggiormente sollevata per aver messo al corrente almeno lei. Si abbracciano velocemente sul marciapiede, sentendo forse di essere vicine a qualcosa di importante, ma poi ognuna se ne va dietro ai propri piccoli problemi, andando a ripercorrere con determinazione magari accentuata i sentieri di ogni giorno.


Bruno Magnolfi

lunedì 23 ottobre 2017

Vittoria prevista.

            

Ci sono circa venti centimetri tra il piatto e l’insalatiera, mentre il bicchiere sta a circa due dita dalla piccola cesta con il pane già affettato. Sopra la tovaglia dai colori tenui tutto sembra quasi perfetto, o perlomeno pare che un ordine dato da alcune consuetudini ormai consolidate fornisca di senso anche una cena qualsiasi come questa, dove nessuna delle tre persone che compongono la famiglia, sembra abbia neppure troppa voglia di parlare con gli altri, limitandosi ognuna a guardare soltanto il proprio piatto e poco altro. Tra i piccoli tintinnii delle  stoviglie ed il movimento calmo e garbato degli oggetti che stanno sopra la tavola, la scura bottiglia di vino, la bianca saliera, il vassoio lucido, la zuppiera corposa, si ravvedono quasi le mosse di una lenta partita agli scacchi, dove ogni pezzo assume magicamente un proprio significato, sicuramente anche dettato ogni volta dalla persona che lo muove di fatto o che comunque in quel momento lo sta adoperando.
La radio in sottofondo trasmette il notiziario, un leggero monotono parlare, quasi un brusio che nasconde dietro un mucchio di parole standard i piccoli e i grandi fatti del giorno degni di un qualche rilievo. Come sono andate le cose a scuola oggi, chiede a un certo punto Corrado a suo figlio, che lo guarda per un attimo, muove la forchetta, poi gli risponde: bene, provando forse un leggero moto di fastidio per quella pur debole ingerenza nei propri segreti e nei suoi soffici pensieri. Anna sorride guardandolo: in fondo non gli ha risposto niente pensa, ma forse era lui fin dall’inizio che voleva soltanto essere rassicurato di qualcosa, e non di avere una cognizione qualsiasi di come andassero davvero i suoi studi scolastici. Poi si versa l’acqua nel bicchiere, quasi una mossa del cavallo che vada ad insidiare leggermente il pane.
Volete ancora della verdura, dice la mamma meccanicamente sollevandosi dalla sua sedia, come ad incoraggiare, con il suo movimento già proteso verso la pignatta all’altro capo del tavolo, una risposta positiva. Corrado dice di no con la testa mentre porta alla bocca un sorso di vino dal suo bicchiere, ed anche Francesco fa un piccolo gesto di diniego, ed è così che si cede spazio ad un vassoio pieno di frutta che Anna, spostatasi presso il piano della cucina, porta subito in tavola tenendolo con le due mani, e sistemando con rapida mossa l’uva, i mandarini e le pere al posto di un grosso piatto di portata ai margini della tovaglia.
Le briciole di pane e le bucce della frutta lasciano comunque dietro di loro un senso di vissuto, quasi i segni di una nuova ma eterna piccola guerra portata a termine come di consueto sopra questo piccolo campo di battaglia. Un odore di vittoria leggero ed essenziale sembra quasi aleggiare nella stanza dei combattimenti, anche se nessuno potrebbe dire con precisione come siano andate realmente le cose, quali possono essere state le mosse e le contromosse dei contendenti. Ci saranno stati dei feriti e probabilmente anche delle perdite, questo è innegabile, ma in ogni caso il punto principale è stato come sempre quello di non mostrare da parte di tutti alcuna tendenza alla codardia, e quello soprattutto di andare avanti ciascuno sempre con la testa alta, portando la propria bandiera verso gli onori che fuori di dubbio si merita, esattamente come con normalità succede ogni giorno.


Bruno Magnolfi

giovedì 19 ottobre 2017

Favori amichevoli.

          

Fuori dal bar le cose sembrano scivolare tranquille. Lui si è seduto come sempre, si è fatto dare una birra, ha atteso con pazienza l’ora dell’appuntamento senza neppure guardarsi troppo attorno. Adesso non riesce neppure a rendersi conto come possa aver fatto ad infilarsi in una situazione del genere, ma è cosciente di passare attraverso momenti in cui si sente ancora una persona sicura di sé, fino a giungere ad altri in cui viene praticamente sfiorato dai brividi di una certa disperazione. Perciò si fa forza. Non gli sono mai piaciuti i debiti, anche se qualcuno dei suoi amici in qualche occasione se ne è fatto quasi un vanto; però adesso gettare via i suoi soldi messi da parte con grande sacrificio gli pare una cosa praticamente contro natura. Perciò quando arriva il Màghero a riscuotere la rata settimanale del suo debito di gioco, Corrado prova quasi un moto di ripulsa verso di lui.
Ehi, gli fa l’altro appena seduto: non voglio neppure contarli, lo sai che mi fido di te, gli dice prendendo la busta e parlando sottovoce pur con una certa spavalderia. Piuttosto dimmi quando ci possiamo rivedere, che con te è sempre difficile incontrarsi. Si, fa lui dopo una pausa, ma stavolta mi devi concedere qualche giorno di più, dice Corrado, altrimenti non riesco proprio a mettere insieme la somma. Lo sai che questi discorsi non mi piacciono per niente, fa l’altro, non vorrai che i soldi debba venire a chiederli a tua moglie, no? Cosa c’entra mia moglie, dice Corrado mentre si netta con una mano la fronte sudata; tutto questo è un discorso che deve sempre rimanere tra me e te, come d’accordo. Lo sai che non voglio farti del male, fa l’altro, però i patti sono precisi, i miei soldi devi restituirli con una certa cadenza, non voglio neppure tornarci più su questo argomento.
Hai ragione, dice Corrado, in qualche modo mi arrangerò, e ti darò tutto quello che devi avere, non c’è bisogno di farne una storia, soltanto se ci rivedessimo tra due settimane non rischieresti di prendere soltanto una parte della tua somma, tutto qua. L’altro si guarda per un attimo attorno, sorride come per trattare la faccenda con camuffata leggerezza, infine dice: senti, va bene, voglio fare uno strappo a tutte le regole, soltanto perché sei tu, non lo farei mai con nessun altro, però non mi costringere a diventare cattivo, perché ho tutti i sistemi per farti rimpiangere la fiducia che in questo momento ti sto accordando.
Certo, dice Corrado, non preoccuparti, devo soltanto sistemare qualcosa, nient’altro, in questo modo riuscirò a darti tutti i tuoi soldi e la faccenda sarà sistemata una volta per sempre. L’altro sorride, gli dà una piccola pacca sopra una spalla: vediamoci di lunedì, gli dice, e la prossima settimana così hai tutto il tempo di fare le tue cose. Benissimo, dice Corrado mentre l’altro va via, poi si guarda attorno con un improvviso senso di disperazione, infine paga velocemente la sua bevuta e se ne esce da lì. Qualcosa mi inventerò, pensa ormai sulla strada; in fondo ho ancora delle amicizie che posso vantare, non mi negheranno certo un favore.

Bruno Magnolfi 


venerdì 13 ottobre 2017

Cavalli imprevedibili.

           

Anna sono qua, ha detto la sua amica durante il pomeriggio della scorsa domenica, parlando nel citofono per invitarla a scendere come già d’accordo, restando poi ad aspettare davanti al suo portone condominiale proprio a quell’ora pattuita, piuttosto che salire in quell’appartamento dove quando c'è lui in giro riesce sempre a farle provare un sicuro senso di disagio. Dopo un attimo difatti Anna è scesa, così le due amiche si sono salutate con qualche parola scherzosa e poi si sono avviate verso il cinema per assistere al film che da giorni avevano scelto di vedere.
Suo figlio è rimasto in casa nella sua cameretta come sempre, probabilmente a leggere qualcuno dei suoi amati libri, e Corrado quasi sdraiato sopra al divano con la televisione sintonizzata su un canale sportivo. Forse è il peggiore giorno di ogni settimana quello festivo, quando la mancanza di orari più precisi e di impegni lavorativi e scolastici porta la famiglia allo strascinamento insulso delle ore.
Francesco ha preso uno dei suoi fogli e la matita, ed è partito con tratti leggeri a disegnare un volto, senza sapere chi dovesse essere. Bocca, profilo del naso, gli occhi; poi si è fermato. L’espressione che subito trapela da quel foglio sembra corrucciata, ombrosa, quasi triste. Non c’è la sua precisa volontà di dare a quel viso queste esatte connotazioni, eppure escono fuori in modo quasi automatico, come se fosse questa la realtà che lui si immagina quando disegna, oppure quella che semplicemente vede quotidianamente attorno a sé.
Neanche a lui piace la domenica, anche se avere molto tempo libero è qualcosa che quasi lo intriga, permettendogli di compiere giri di pensiero che normalmente non riesce proprio ad affrontare. Poi sente suo padre che lo chiama dall’altra stanza, così Francesco si alza dalla sedia, si affaccia alla porta, si ferma appena un attimo per comprendere bene quello che in fondo conosce già dentro di sé: la proposta è quella di uscire per un giro in macchina, annusare la giornata da qualche angolazione che Corrado conosce meglio, ed infine ritornare a casa nel tardo pomeriggio, quasi come due amici che se la siano spassata. 
Va bene, dice subito, due minuti e sono pronto. Non gli piace andare in giro con suo padre, ma non vuole neanche creare una rottura che farebbe soltanto peggiorare le cose nella sua famiglia. Si sacrifica, magari soltanto per renderlo contento, o solo per avvallare un’idea forse anche un po’ sbagliata che Corrado ha di suo figlio: uno senza amici, ombroso, perso dietro a riflessioni incomprensibili che gli scaturiscono probabilmente dalla lettura di libri strani e complicati che sua madre tollera in modo incomprensibile. Niente sport, nessuna passione, né amici né ragazze, lo sguardo sempre basso oppure perso chissà dove.
Corrado mette in moto la sua macchina, Francesco si sistema sul sedile senza dire niente. Magari potremo andarcene a vedere le corse dei cavalli, dice col tono di chi comunque ha già deciso. Francesco annuisce, in fondo gli piace l’idea: l’ippodromo è un luogo affascinante, pieno di gente particolare, ed i cavalli da corsa sono animali stupendi persino se ammirati da lontano. Così entrano ai cancelli e vanno a sedersi sulla tribuna coperta, e tutto sembra andare bene, anche se dopo un po’ suo padre saluta nervosamente qualcuno che conosce. Poi si alza, dice che torna fra un momento, e così si perde in mezzo a tutta quella gente in perenne movimento. Quando torna però sembra peraltro più tranquillo: suo figlio vorrebbe forse chiedergli qualcosa, ma si trattiene, probabilmente perché non hanno alcuna importanza le sue presunte considerazioni: la giornata in fondo scorre bene, le corse dei cavalli vanno avanti, la gente parla e sembra divertirsi, tutto è a posto insomma: non c’è da preoccuparsi proprio di niente.


Bruno Magnolfi