lunedì 12 dicembre 2016

Attesa estenuante.

            
            Sono a terra, dice lei. Edo resta fermo a guardarla appena per un secondo, giusto un attimo prima di cambiare canale, poi però gli suona il telefono. Niente di speciale, una raccomandazione per il lavoro di domani da un suo collega, così con una scusa riattacca abbastanza velocemente, sentendosi a disagio, e poi la segue con calma e gli occhi bassi fino in cucina. Mi pare di aver perso la bussola, gli spiega lei semplicemente, senza neppure voltarsi. Lui resta in silenzio, gli pare assolutamente egoistico abbracciarla adesso, o farla sentire in qualche modo protetta con dei gesti piuttosto scontati. Così si limita a continuare a guardarla, restando in silenzio, anche se con tutto se stesso e con sincerità vorrebbe essere altrove, magari a ridere con gli amici di stupide battute senza alcun impegno e che non fanno neanche troppo pensare. Invece sta lì, insieme a lei, ed adesso probabilmente deve inventarsi anche qualcosa, trovare una frase o la parola giusta che possa distogliere l’interesse della sua donna da quel tema penoso. 
            Va bene, le dice di slancio: stasera si esce, si va fuori a cena, poi anche al cinema, dove vuoi tu, possiamo invitare qualcuno dei tuoi amici, parlare di tutto quello che vuoi, e tornare a casa tardi come sempre, distrutti dalle risate e dall’esserci dimenticati di qualsiasi apprensione. No, Edo, non questa sera, fa lei. Lui vorrebbe annullare tutte quelle parole ed essere di nuovo lì, davanti alla sua televisione, a seguire un qualsiasi programma, anche senza grande interesse; ma non lo può fare, e per questo si sente a disagio, non riesce a pensare un bel niente, se non a quelle parole dette da lei, che gli provocano soltanto uno schifo naturale, tanto che non vorrebbe mai più sentirle.
            Esco, fa lei d’improvviso; devo camminare da sola e respirare un poco di aria fresca, nient’altro, non preoccuparti per me. Lui non dice niente, ne segue i movimenti ma senza riuscire a guardarla in modo diretto. Lascia che lei si metta il giubbotto, che apra la porta, gli getti un’occhiata e poi se la chiuda alle spalle, tornando dopo un attimo, una volta da solo, a riaccendere la fida televisione. Le passerà, riflette, la mia disponibilità naturalmente c'è tutta, si tratta di capire di cosa effettivamente abbia bisogno. Dopo mezz'ora lei torna, la medesima espressione di prima, va in bagno, forse a piangere un po', infine torna, Edo la segue in silenzio con gli occhi, seduto sopra al divano. Non è colpa tua, fa lei; ma io non sopporto più questo trascinarci da un giorno all'altro con i medesimi gesti, la stessa inutilità delle parole che usiamo. Lui vorrebbe spengere di nuovo la televisione, ma siccome gli parrebbe di dare troppa importanza a quegli argomenti, la lascia accesa, limitandosi ad abbassare il volume e a non guardarne lo schermo.
Devo andarmene, fa lei, almeno per un breve periodo. Ma come, pensa Edo, non dovevamo affrontare insieme le cose? Lui si alza, va in cucina e poi torna con una lattina di birra, quindi si siede sopra un bracciolo, dice soltanto che gli pare tutto vagamente assurdo. Lei lo guarda dritto dentro gli occhi: non siamo uguali, gli dice; viaggiamo con velocità differenti, forse dovremo studiare un metodo per compensarci. Edo abbassa lo sguardo, gli piacerebbe suonasse il telefono in questo momento, o almeno giungesse un messaggio, perché quel silenzio gli sembra estenuante. Come vuoi, le dice alla fine, con un groppo alla gola; tanto puoi sempre trovarmi qui, ad aspettarti.


Bruno Magnolfi 

Nessun commento:

Posta un commento