venerdì 28 aprile 2017

Percorso di donne.

            

Non provo nessun ripensamento, dice lei al momento di entrare nell'ingresso destinato al pubblico di quel grande palazzo interamente destinato a quegli uffici così particolari. L'amica ha stentato fino adesso a tenere quel suo passo svelto, da persona determinata, lungo tutto quel tratto di strada così lungo, ma in ogni caso ora è con lei, al suo fianco, e si mostra pronta a sostenerla, a stare dalla parte sua, e ad evidenziarle la sua piena solidarietà. Sono nervosa, aggiunge ancora senza aspettarsi neppure una risposta. Vorrei tanto che tutta questa storia fosse già stata completata, e che adesso io e te si fosse pienamente libere di fare quello che si vuole.  L'altra rimane ancora in silenzio, forse anche per non dire qualcosa di troppo scontato, poi però spiega che non ne vede del tutto il motivo, visto che ogni particolare della faccenda sembra oramai per essere messo sotto controllo. Lei si ferma, la guarda con un'espressione intraducibile dietro ai suoi occhiali scuri: credi davvero anche tu che stiamo facendo la cosa più giusta di tutte, non è vero? Oppure dobbiamo pensare meglio qualche altra cosa, magari riparlarne, prenderci del tempo, vedere se qualcosa per malaugurata sorte ci fosse sfuggita in questa confusione.
L'amica la guarda appena per un attimo, e dopo fa un broncio, come per mostrare senza parole che non ci sono assolutamente dubbi, dicendo infine che non può certo prendere lei l'iniziativa su una cosa di quel genere, ma che se al contrario fosse proprio lei a dover decidere in questo medesimo istante, proseguirebbe ad andare dritta su per quelle scale del commissariato, a denunciare quanto è emerso fino adesso a carico del suo uomo. Lei la guarda, tira fuori con finta calma il suo documento personale, lo fa vedere con titubanza all'agente nella portineria, poi spiega che ha un appuntamento con un certo signor ispettore. L’altro valuta tutto, fa la telefonata di controllo, poi indica alle due donne il piano e anche il corridoio dove recarsi.
Salgono senza una parola, altre persone si incrociano con loro tra gli ascensori e i larghi spazi dell'edificio, ed infine giungono davanti alla porta chiusa che stavano cercando. Tutto è impersonale qua dentro, dice lei, ed anche io mi sento un'altra donna, qualcuna che sta facendo una cosa sostanzialmente ignobile, a cui però è stata costretta. Non so più a chi darne la colpa, semmai questa ci sia; so che hai ragione tu, il percorso per arrivare fino qui è iniziato già da molto tempo, e non si può certo interrompere in quest’ultima frazione di tempo. Si aggiusta la gonna, liscia i capelli, e infine bussa e gira timidamente la maniglia per entrare.
Sedute, di fronte ad un’enorme scrivania, loro due sono più piccole di quanto si siano in assoluto mai sentite, e le domande pur ordinarie e previste nella modulistica della denuncia a loro sottoposta, sembrano piovere come una grandine improvvisa e incontrollabile, che definisce in una tettoia qualsiasi, un generico riparo, l’unica accettabile difesa. Ci sono i nomi, le circostanze, un numero imprecisato messo nel verbale di parole pesanti e definite, che non lasciano dei dubbi, non ritengono sia stato il caso o l’imprudenza a determinare i segni esatti, quel discrimine scientifico tra un prima e un dopo, nell’impossibilità, persino in un’importante avvocateria moderna, di poter mettersi a difendere una posizione improvvisamente così pesante, inaccettabile, priva di agganci diluitivi o di alleggerimento. Lei soffre per quei minuti interminabili, forse vorrebbe persino piangere, ma si trattiene, proprio perché sa che tutto quanto improvvisamente, una volta uscita e liberata da là dentro, sarà già divenuta una cosa troppo seria ed importante per lasciare ad una qualsiasi donna maltrattata la possibilità di tirarsi ancora indietro, e che non ci saranno mai delle scusanti, né in un caso, e neppure nell’altro.  


Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento