Il bambino confusamente
ricorda che durante quel periodo era così piccolo d’età che la sua mamma
riusciva ancora agevolmente a tenerlo a lungo in braccio, e nel mentre sua
sorella, di qualche anno più grande di lui, tornata da scuola quel giorno con
una pellicola scura fornita dalla sua maestra e da posizionare sugli occhi, quel
giorno era scesa fin nel cortile posteriore della loro piccola casa per andare
ad osservare il cielo in quel momento ancora sereno. Lui invece, dalla finestra
del primo piano dove abitavano, continuava a guardare incuriosito gli eventi che
stavano per verificarsi, proprio mentre lei appariva immobile insieme ad altre
tre o quattro persone del vicinato, e forse un po’ le invidiava quella libertà di
andare all’aperto e di godere in piena tranquillità di quelle giornate tiepide e
al momento senza alcuna nuvola in cielo. La sua febbre persistente, data da
quella malattia che gli procurava persino dei continui e terribili dolori alla
testa ed anche alle ossa, da diverso tempo non gli concedeva questa possibilità,
e nonostante le sue giornate proseguissero a trascorrere quasi interamente nel
suo letto di bambino, a lui difficilmente veniva voglia di proiettarsi verso
l’esterno, pur soltanto con la semplice fantasia, proprio come nel corso di quel
pomeriggio. Gli animali da cortile che qualche famiglia allevava dentro ad
alcuni recinti poco distanti da lì, avevano poi iniziato ad emettere degli strani
versi, come avvertendo uno strano pericolo imminente, e quando il sole, fino a
quel momento brillante come sempre, aveva infine iniziato ad oscurarsi, pareva
che un grido continuo e prolungato di dolore iniziasse a percorrere come un tremito
qualsiasi creatura vivente.
Da dietro
ai vetri della finestra il sole non si riusciva a scorgere, restando in una posizione
troppo alta in cielo, ma quel buio progressivo e innaturale che era giunto,
addirittura pauroso per la sua repentinità, pareva adesso qualcosa di talmente
fuori dall’ordinario da far persino tremare quel bambino malato, come preda di
una febbre aggiuntiva, fino a giungere al punto, quando l’apice dell’eclisse fu
oramai evidente a chiunque ed il buio infine così denso e profondo da
assomigliare del tutto a quello notturno, di farne voltare lo sguardo verso l’interno
della stanza in cui si trovava, quasi a voler evitare o esorcizzare quella
visione addirittura terrificante. Fu esattamente in quel momento che a sua
madre venne da piangere con una certa spontaneità, forse scorgendo in quel
gesto irrazionale di suo figlio il rifiuto stesso di una prossima vita un po’ crepuscolare,
condannata dalla malattia; un’esistenza minore, alle spalle dei sacrifici di
qualcuno della famiglia, oppure di qualche istituto ospedaliero, che con
l’andare degli anni avrebbe dovuto sorreggere una situazione inguaribile, e
un’esistenza destinata ad un lento e inesorabile declino. Il loro medico di
famiglia insieme al pediatra avevano prescritto per i giorni seguenti il suo ricovero
urgente in ospedale, ed anche se il bambino non era a conoscenza di quanto realmente
l’attendesse per il prossimo periodo, sua mamma si sentiva già quasi disperata,
e tenerlo in braccio per fargli assistere a quello spettacolo della natura le
aveva fatto riflettere su cose un po’ penose, pur mostrandosi come uno svago.
Il buio
improvviso durante il giorno sembrava come l’inizio di una fine imminente, e
molti si erano già espressi con popolare superficialità in quel senso, anche se
per i più informati era soltanto un avvenimento che si verificava ad intervalli
lontanissimi tra loro, tanto da poterne assistere, durante tutta un’intera vita,
solamente una volta. Qualcuno con convinzione aveva spiegato addirittura che
quello era solo l’inizio del cataclisma, la dimostrazione chiara che la specie
umana, con la propria evidente mancanza di solidarietà che si era manifestata
con la guerra, non era stata capace di adempiere ai compiti per cui era stata
creata, e quella punizione data dalla natura stessa era qualcosa di
evidentemente conseguente. La madre si sentiva disperata, ma nonostante tutto
riusciva ad essere adesso quasi gioiosa nei confronti del suo malatino, sapendo
che il distacco, dopo aver consegnato il suo bambino nelle mani dei medici
ospedalieri di una città lontana, sarebbe stato un trauma per tutta la
famiglia, e specialmente per lui, improvvisamente solo in una camera del tutto
estranea, con le lenzuola troppo bianche, e i profilati delle attrezzature di
un acciaio persino troppo freddo e insidioso.
Tutto
pareva convergere verso una situazione di una tristezza sconcertante, ma
nessuno aveva intenzione di aggravare la vicenda in corso: la sorella si era
voltata ad un tratto verso la finestra, forse attratta da quegli sguardi
familiari, ed aveva salutato il bambino con un sorriso divertito accompagnato
da un gesto della mano, mentre la mamma aveva salutato a sua volta, quando
l’oscurità era ormai incombente. Infine, il buio aveva avvolto tutto quanto, e
la paura aveva reso più piccoli tutti gli esseri viventi, anche se quell’attimo
era durato poco tempo, e dopo poco la visione di ciò che si poteva osservare da
quella finestra del primo piano era tornata quella di sempre. La mamma poi si
era allontanata dai vetri ancora con il bambino in braccio, e poco dopo lui era
stato coricato di nuovo nel suo letto, come se qualcosa fosse ormai alle loro spalle;
già superato, sconfitto dalla volontà.
Bruno
Magnolfi
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