venerdì 6 novembre 2015

Rumori di fondo.

           

            Oggi sono qui, dice lui alla platea improvvisamente silenziosa. Il microfono e l’amplificazione della grande sala producono un fastidiosissimo rumore di fondo, un forte ronzio che lui immagina di poter coprire soltanto con una serie di applausi scroscianti da parte della gente intervenuta là dentro. Non vi parlerò delle solite cose, dice; non vi annoierò neppure cercando di spiegare gli errori degli altri e della melma in cui stanno annaspando. Poi si prende una pausa, anche perché il collaboratore che gli ha preparato il discorso si è molto raccomandato di rispettare quei piccoli asterischi di cui ha disseminato le frasi sopra i suoi fogli. Comunque, prima di ogni altra cosa, vi ringrazio di essere qui, dice alla fine. Parte da questo punto già un timido applauso, d'altronde una frase così stupida mette comunque sempre tutti d’accordo, pensa lui, e fa sentire i presenti grandi protagonisti, anche soltanto di un generico qualcosa; perciò, con questa linea di credito aperta, riflette ancora, potrò dire adesso persino una qualsiasi strampalata sciocchezza, e questa, anche se addirittura poco compresa, sicuramente sarà ben accolta.
            Ma i piccoli schiocchi di quelle decine di mani lentamente si attenuano, con calma torna il silenzio, ed il rumore di fondo riprende subito a farsi sentire, così lui si ritrova di nuovo distratto, disturbato, quasi innervosito, perciò tocca il microfono, si muove sul palco, scuote i suoi fogli. Ma infine riprende, dopo essersi lasciato andare ad una pausa forse un po’ troppo lunga. Dobbiamo essere concreti, spiega. Il momento non ci permette alcun tipo di errore. Per questo dobbiamo affrontare con forza ogni prossima sfida. E quando sarà il momento, dice adesso quasi con convinzione, sapremo sicuramente essere uniti. Fioccano naturalmente gli applausi, ed anche se quelle parole non significano molto, riescono comunque a prendere ed entusiasmare, quasi come una dichiarazione di guerra contro qualcosa o qualcuno che sembra non sia più possibile ormai sopportare.
            Alcuni fischiano per mostrare di esserci, altri ridono mentre continuano comunque a battere le mani. Sapremo lavorare con coraggio per le cose in cui abbiamo sempre creduto, dice adesso quasi urlando sopra il rumore, anche se non erano previste queste parole sui fogli, e non c’era neppure l’asterisco della pausa subito prima. Torna rapidamente il ronzio, quasi una maledizione che fa senz’altro accorciare qualsiasi discorso. Lui salta uno o due fogli, poi riprende cercando la calma da un punto che gli sembra essenziale: dovremo smetterla di mostrarci arrendevoli; abbiamo coraggio, voglia, entusiasmo; dobbiamo mostrare da ora in avanti tutto il nostro valore. Ma il tono della sua voce in questa frase appare poco convinto, troppo pacato e quasi remissivo, non trascina più quegli applausi che riuscivano a coprire il rumore di fondo.
            Nelle prime file qualcuno sembra voltarsi verso i propri vicini, come a cercare una spiegazione esauriente di quanto va accadendo sul palco. Lui può ancora riuscire a prendere tutti in un pugno e lanciarli in una grande esplosione d’entusiasmo, ma il ronzio ormai lo ha fiaccato, ormai sente soltanto la voglia di andarsene, di smetterla una volta per tutte con quella farsa insignificante. Non mi sento bene, dice alla fine dentro al microfono. Tutti lo incoraggiano, anche se pochi forse credono che questo sia vero. Lui insiste: scusate, ho soltanto bisogno di bere, di aria, di togliermi dalle orecchie questo ronzio, di starmene un attimo da solo, di andarmene da questa sala ormai insopportabile. Adesso il silenzio è fortissimo, onnipresente, eccetto il rumore dell’amplificazione. Lui guarda tutti, poi alzando semplicemente una mano, li saluta solo una volta, senza trasporto.


            Bruno Magnolfi

Nessun commento:

Posta un commento