lunedì 9 ottobre 2017

Natalità.

            

Prendi la mia mano, aveva detto Anna. E lui, inizialmente titubante, l’aveva infine stretta tra le sue pur con una certa delicatezza ed attenzione, pensando comunque di dover trasferire a lei qualcosa della sua forza, della sua determinazione, anche se subito era stato raggiunto tramite quelle dita tese come da una scarica elettrica, e si era immediatamente reso conto che in tutta la faccenda era proprio lui l’anello debole della catena, quello meno tenace, quello più lontano dall’idea fondamentale, tanto che si era ritrovato in un attimo quasi ancorato a quella stretta, provando davvero per la prima volta tutta l’importanza del momento. L’infermiera poi si era affacciata già due volte nella stanza per rendersi conto del tempo che ancora le occorreva a quella paziente frettolosa, ma Corrado intanto sudava, si sentiva teso, ed adesso le aveva detto senza mezzi termini che Anna non ce la faceva più a proseguire con quella respirazione come le era stato spiegato, e che si avvicinava velocemente quel momento, perché ci siamo, ci siamo, aveva quasi urlato, e così quasi per dargli retta in due del personale l’avevano trasferita poco dopo in sala parto con la sedia sulle ruote. Lei vuole assistere, gli avevano chiesto duro, senza perifrasi, e lui si era sentito quasi un vigliacco nel dover dare una risposta negativa, per questo aveva detto di sì, quasi senza una riflessione seria, ma pensando solo a se stesso e a poco d’altro.
Una volta dentro invece aveva colto velocemente tutta l’importanza di quella scelta, e subito aveva cercato lo sguardo della sua Anna accanto a lui, anche se lei già non riusciva più a sentire e a guardare niente intorno a sé. Urlava invece, strozzando i suoi gemiti per le doglie, respirando a grandi boccate soltanto affannose, coi pugni stretti intorno a ciò che per lunga esperienza le avevano dato da stringere, una volta sistemata sopra al lettino. Continuava a guardarla Corrado, non sapendo e potendo fare altro, sentendosi però coinvolto, vicino a qualcosa che non avrebbe mai dimenticato, mentre lei continuava a spingere proprio come le dicevano di fare, quando tutto poi avveniva in un attimo incredibile, e non importava già più niente di quelle piccole preoccupazioni che c’erano state fino a un’ora prima, e la corsa con la macchina, il parcheggio poco consono, le sue scarpe che avevano pestato qualcosa che proprio non doveva esserci, quasi un portafortuna però.
Adesso era lì quel fagotto rosa, quella piccola vita che scalciava già, e che chiedeva attenzione, protezione, cure, tutto ciò che ci voleva per portarsi avanti da ora in poi, giorno dopo giorno. Corrado si sentiva provato, stremato, stanchissimo, e gli pareva impossibile che potesse accadere una cosa così grande in così poco tempo, senza una vera preparazione emotiva, senza essere riuscito a immaginarsi davvero quel giorno soltanto il giorno prima, ed adesso non sapeva più che cosa dire, né cosa pensare, dove rivolgersi, a chi, immedesimandosi in un nulla di fronte a quella donna che in quel momento diventava meravigliosamente mamma.  
Anna, aveva detto poi Corrado riprendendole la mano, e la commozione con naturalezza aveva fatto il resto, che non aveva bisogno di parole, di espressioni, di gesti, solo di sguardi lacrimosi e sinceri, e di nient’altro.


Bruno Magnolfi

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