lunedì 12 ottobre 2015

Lenta costruzione di uno come tutti.

            
            Anche in mezzo a tutti gli amici, proprio mentre loro si scambiano scherzi e battute come quasi sempre continuano a fare, lui non riesce mai ad argomentare qualcosa di personale che valga la pena di essere ascoltato, limitandosi perciò a seguire gli altri e tutt’al più ad annuire, magari prestando attenzione soltanto riguardo certi argomenti, e in ogni caso sempre senza alcuna insistenza. Qualsiasi cosa venga detta, gli viene naturale confrontarla immediatamente con la propria opinione, anche se poi, attorno a molti temi, gli vengono in testa mille altri dubbi, tanto da non riuscire neppure a capire se sia davvero d’accordo con ciò che si dice tra quei tavolini di quel locale dimesso, oppure no. Pur tentando ogni volta di conservare il massimo possibile di obiettività, facoltà che talvolta purtroppo gli sfugge, il suo parere finale in tutto questo, pur tenuto celato come solo a lui può riuscire, non risulta mai netto e ben definito neppure a se stesso.
            I ragazzi, quando stanno là dentro, in quella solita saletta del bar che frequentano quasi ogni giorno, riescono comunque a non essere mai apatici, anche se in testa non hanno generalmente molte idee. Lui spesso li osserva con insistenza quando parlano, quindi riflette, e qualche volta teme addirittura di essere preso per uno un po’ troppo triste, forse perché appare sempre distante dagli altri, come a rincorrere pensieri divergenti. Si sforza costantemente di essere diverso dall’idea che i suoi amici in certi casi si possono fare di lui, ma non gli risulta per niente una cosa facile.
Proprio per questo, durante un certo periodo, evita addirittura di farsi vedere là dentro. Resta a casa per diversi pomeriggi dopo la scuola, e cerca così di comprendere che cosa voglia davvero, anche se intanto studia qualcosa, si prepara per affrontare delle difficoltà di cui teme, pur non sapendo neppure lui cosa siano. Un paio dei ragazzi dopo due settimane va persino a trovarlo, e così lui li fa entrare per sistemarsi insieme a loro nella sua cameretta, a parlare senza troppo impegno e ad ascoltare un po' della sua musica, anche se  in aria c'è un vago imbarazzo, considerato che nessuno di loro riesce a dire davvero ciò che gli passa dentro la testa.
Ma lui di punto in bianco inizia a descrivere un sogno, e gli amici volentieri lo ascoltano. Mentre parla abbassa il volume della musica stereo, poi si alza in piedi, inizia a gesticolare leggermente anche se con lentezza, cercando come di descrivere in aria, con le mani e con le braccia, quelle stesse proprie parole che dice. Inventa, si lascia anche andare, gonfia le frasi, farnetica quasi, tanto che i ragazzi risultano addirittura impressionati dalle sue capacità fino ad allora ignorate, doti che forse neppure lui immaginava davvero di possedere.
Quando se ne vanno, d’improvviso a lui pare di essere pienamente soddisfatto di sé. Non sa di preciso neppure che cosa abbia detto, ma sa che lo ha fatto bene, che ha espresso qualcosa che teneva in serbo da tempo, e sa che probabilmente ha persino convinto i ragazzi di qualcosa che forse non saprebbe neppure descrivere. Il giorno seguente torna nel solito locale dove si vedono tutti, ed improvvisamente gli altri si fermano, gli lasciano spazio, attendono in silenzio, come ha già fatto, che tiri fuori ancora le sue cose da dire e da spiegare. Lui si siede, con calma, prendendo tempo. Poi dice sottovoce semplicemente che gli dispiace: che loro sono i suoi amici, è vero, quelli ai quali vuol bene. Ma non si devono attendere molto da lui: sono uno come tutti, spiega; nient’altro.


Bruno Magnolfi 

lunedì 28 settembre 2015

Così com'è.

            

Carlo, dice lei. E poi basta. Fuori scende la sera, sul largo viale di fronte le gomme delle auto continuano a rotolare sul fondo umido emettendo una specie di soffio o di respiro, anche se, chiudendo loro ermeticamente le vetrate dello spazioso appartamento, rinunciano subito a far giungere fin dentro qualsiasi rumore. Lei lo osserva ancora nell'attesa di un gesto oltre la lettura distratta del giornale. Carlo però ne avverte la presenza alle spalle, e proprio per questo finge assoluto interesse per l’articolo che si ritrova sotto gli occhi.
Dobbiamo parlare, fa lei. Lui volge per un attimo lo sguardo dalla sua parte, si sistema meglio gli occhiali sul naso e gira la pagina con accuratezza, per poi decidersi a chiedere: ma di che cosa? Non so, fa lei; non facciamo mai niente, stiamo qui oscillando perennemente da una poltrona all’altra senza mai concludere neanche di coltivare un interesse per qualcosa, o di mettere a punto una qualche decisione, occuparci di un tema, di un argomento, non saprei neppure dire quale.
Ma se dobbiamo addirittura sforzarci per trovare una passione a cui affezionarci, forse anche da condividere e magari fare nostra, proprio come vorresti tu; se non è qualcosa che ci nasce spontaneamente tra i nostri desideri, come può essere qualcosa da prendere poi seriamente? Forse hai ragione, dice lei, ma io mi sento annoiata, ecco l’ho detto, anche se non avrei voluto. Vorrei fare qualcosa, anzi, provare continuamente una spinta ad occuparmi di qualche argomento. In fondo bene o male tu hai il tuo lavoro, ma alla fine a me di una giornata intera spesse volte non rimane quasi niente.
Carlo si alza, va alla vetrata, osserva il flusso del traffico mentre scorre ordinatamente. Non si sente affatto toccato dal problema di sua moglie, però prova la necessità di darle una risposta, come sempre gli succede in casi di questo genere. Si volta, la guarda, all'improvviso gli appare soltanto come una grandissima scocciatrice, una che riesce semplicemente a sollevare dei piccoli e fastidiosi problemi pressoché insolubili. Però, forse proprio per questo, va verso di lei e l'abbraccia, come se quel gesto fosse capace da solo a distendere in un unico momento qualsiasi possibile tensione.
Conosco per vie traverse una grossa associazione di volontariato, le dice a voce bassa. Potresti impegnarti con loro, dare una mano: riunioni, incontri, decisioni da prendere, sentirti utile a qualcosa di sociale, insomma. Resta in aria una pausa silenziosa, in cui è facile immaginare le macchine lungo la strada mentre sembra continuino perennemente il loro carosello. Perché no, fa lei alla fine. Potrei sempre provare, e rendermi comunque conto di quanto tempo e di quante energie riuscirebbe ad assorbirmi un'attività di questo genere, prima ancora di decidere se vada davvero bene. Certo, fa Carlo, domani cercherò con qualche telefonata di metterti subito in contatto con qualcuno di loro, anche se naturalmente stasera non posso prometterti niente di preciso.
Va bene, fa lei, mi sento già meglio al solo pensare che posso finalmente rendermi utile per qualcuno, perché al contrario questo accorgermi che il tempo per me spesso trascorre in un modo così omogeneo e insignificante mi rende depressa, apatica, quasi sofferente. 
Carlo si protende per darle un piccolo bacio sulla fronte, mentre lei ispirata e sorridente subito va verso il tavolo da fumo, e si accende con soddisfazione una delle sue sottili sigarette. In fondo ci vuole poco, dice ironica, per farmi contenta. Poi va verso il finestrone e si ferma un attimo a fissare il traffico nevrotico che scorre proprio là sotto. Il mondo privo di passione non ha alcun senso, conclude. Tutti gli altri corrono verso qualcosa, sono spinti in avanti da desideri irrinunciabili; certe volte mi pare tutto così effimero, assurdo, addirittura privo di significato; ma poi mi convinco che hanno ragione a scorrere così l'uno a fianco all'altro, proprio come quelle macchine laggiù, pare anche a te Carlo? Lui si volta senza neppure averla ascoltata, però risponde subito: certo cara; è proprio così.


Bruno Magnolfi

martedì 22 settembre 2015

Caffè pagato.

            
            Lei non guarda mai nessuno negli occhi. Cammina, tira dritto, non si sofferma in nessun caso a guardare chi si trova di fronte. Forse la sua è soltanto timidezza, dice qualcuno che la conosce giusto di vista, proprio perché magari gli è capitato di vederla passare una volta o due lungo la strada che a lei piace percorrere per recarsi al lavoro. Lui invece dalla vetrina del suo piccolo bar, sempre deserto a quell’ora, la nota ogni giorno camminare di fretta lì davanti, attraversare velocemente sul marciapiede quel minuto spazio trasparente tra gli infissi del suo locale, e sparire oltre con rapidità, insieme al ticchettare inconfondibile delle sue scarpe coi tacchi. Potrebbe entrare, pensa lui, prendersi magari un caffè, dire di sé con indifferenza che oggi non è in ritardo come spesso le capita, e che stamani si sente tranquilla, che tutto è a posto, e non ci sono problemi particolari di cui occuparsi. Sarebbe bello, forse; non ci vorrebbe proprio alcuno sforzo.
Così lui oggi l'attende sul marciapiede, sulla porta del bar, le sorride e le dice buongiorno quando lei arriva, senza insistenza, anche se lei bofonchia solo qualcosa tra sé, e in un attimo ecco che lo ha già superato, senza concedergli alcuna possibilità. Lui però allora si gira, la guarda per un istante mentre si allontana, e quasi per orgoglio le dice: signorina; lei si volta, si sofferma, lui fa un passo verso di lei; le dice che vorrebbe offrirle un caffè, gli basta vederla entrare almeno una volta nel suo piccolo locale, conoscere meglio la sua voce, osservare le sue espressioni appena per un momento. Lei resta immobile, perplessa: grazie; ma non stamani, gli risponde; ho fretta, purtroppo; e riprende come faceva poco prima a camminare sopra ai suoi tacchi. Lui la lascia, ma comunque è già contento così, qualcosa sicuramente si è come delineato, e forse niente da ora in avanti sarà più come prima, le cose con molta evidenza cambieranno velocemente, e tutto si sistemerà, così forse ci saranno momenti più rilassati tra non molto, basta soltanto avere un po' di pazienza.
Lei, senza neanche dare un giudizio troppo pesante, pensa che ci sono in giro delle persone ben strane, e in un attimo archivia così la faccenda. Poi però mentre è lì nel suo ufficio a sbrigare le solite pratiche, ecco che ci ripensa: potrebbe esserci un errore di valutazione, riflette, qualcosa subentrato chissà come a complicare le cose. Al limite potrebbe essere partito proprio da lei l'elemento iniziale, ed è questa alla fine la riflessione più forte. Analizza meglio i suoi comportamenti, e ritiene, come d’altronde tutti coloro che la conoscono un minimo, di essere troppo chiusa con gli altri, di trovarsi carente di una componente fondamentale di socializzazione. Esce, durante la mattinata, torna indietro, lungo la via, fino a quel bar. Si ferma un po’ prima, osserva l’insegna, le vetrine, ciò che dalla strada si intravede di quel bancone e dei due o tre tavoli dentro al locale. Poi si fa coraggio e va a fermarsi proprio all’entrata. Lui la nota, ma sta servendo qualcuno. Non è questo il momento, riflette, non è in questo modo che doveva avvenire.
Così continua a scherzare con i clienti che si trova di fronte, lei aspetta, ma soltanto per un attimo; poi se ne va. E’ colpa mia riflette, mentre lentamente torna sui suoi passi; riesco sempre a sporcare qualsiasi cosa mi si presenti. Ma lui è già sulla porta del bar: signorina, le dice, e lei si volta, lo guarda; il suo caffè, dice lui, e le porge sul vassoio la tazzina.


Bruno Magnolfi 

venerdì 18 settembre 2015

Destinazione.

            

            Dai ragazzo - anche se in fondo non mi sembra molto giovane - gli fo dal finestrino aperto del mio macchinone, mentre lascio agevolmente salire le gomme di destra sopra al marciapiede. Quello si volta, mi guarda e resta immobile, come se non avesse neppure fatto caso alla mia ardita manovra di parcheggio. Così gli suono, giusto per sottolineatura, ma appena un accenno, proprio mentre mi fermo ad aspettarlo, ma quello nulla, sembra proprio non capisca che in fondo deve soltanto spostarsi. Mi sbraccio dal finestrino ed urlo ovviamente qualche mala parola mentre dietro di me si è già formata una fila di tre o quattro automobili in attesa che io completi le mie comodità. Ma alla fine lui sembra muoversi, ed appena un attimo prima che io apra lo sportello e lo affronti, ecco che si gira, fa giusto due o tre passi in avanti, e mentre finalmente riesco a posizionare la mia macchina in modo che gli altri possono transitare, e spegnendo conseguentemente il motore, quello torna leggermente indietro, e con tutta normalità si appoggia al mio faro, dandomi le spalle.
            Via, togliti di torno, gli dico senza enfasi mentre sono già coi piedi sopra al marciapiede, ma quello mi getta uno sguardo come se neppure mi vedesse, ed anzi, lo fa mentre si accende una sigaretta con tutta la calma di questo mondo. Ti conosco, fa lui senza più guardarmi; non esagerare con me perché so perfettamente come fregarti. Resto perplesso, questo non l’ho mai visto, penso, però potrebbe essere vero quello che dice, così mi avvicino e gli tocco una spalla come se lo avessi riconosciuto, dicendogli anche che se volesse prendersi un caffè con me nel bar di fronte, glielo potrei offrire molto volentieri. Lui però non dice niente, si limita a guardare altrove, poi sputa a terra e prende una boccata di fumo. Alla fine sottovoce spiega che dobbiamo andare via da lì, siamo sicuramente sott’occhio a qualcuno, non possiamo parlare con comodità.
            Rifletto al volo che questo mi ha scambiato per un chiunque che non sono io, così gli dico: tu vaneggi, adesso io mi prendo un bel caffè, con te o senza di te, e poi me ne vado per i fatti miei, è tutto chiaro? Ma il tizio si muove dal faro, apre lo sportello del passeggero momentaneamente rimasto senza sicura, e sale su, senza darmi altre spiegazioni. Torno al posto di guida giusto per chiarire le cose, ma la voglia del caffè mi è già passata, perciò rimetto in moto per automatismo, ed ingrano la marcia. Andiamo sui viali, fa lui; e tieniti sempre sulle corsie di sinistra, così nessuno ci nota. Vado avanti, attendo che questo tizio dica qualcosa che per me non abbia alcun senso, in modo da potergli spiegare che si è sbaggliato di persona, ma lui sta zitto, abbassa il finestrino e getta via la cicca. Si è piazzato sopra al naso un paio occhiali scuri, si guarda attorno, e non sembra neanche attendersi che io chieda qualcosa. Con il dito mi indica un paio di volte la direzione giusta, e mentre inizio ad essere un po' stufo di tutta questa storia, mi fa cenno di rallentare. Osserva qualcosa che non riesco neanche a comprendere, ma mi ritrovo perfino io a guardare nella sua stessa direzione, proprio perché mi aspetto da un momento all'altro che la spiegazione di tutto magari sia proprio lì, sotto ai miei occhi.
Andiamo ancora avanti, sto pensando di decidermi finalmente a smuovere le cose e dirgli che adesso proprio basta, c'è stato soltanto un malinteso, io ho altro da fare che stare in giro, e che con lui ho perso persino troppo tempo, quando il tizio mi fa segno di fermare. C'è il semaforo rosso, sembra accennarmi, cosi ci fermiamo tutti, una gran fila di macchine, ma lui senza guardarmi apre il suo sportello, sembra quasi con circospezione, devo dire, e poi subito scende, richiude, se ne va. Resto inebetito: forse è arrivato, penso.


Bruno Magnolfi

domenica 16 agosto 2015

Aria di cambiamento.

            
                   
Adesso lui è fuori, questo è certo. Alcuni dell'ambiente a cui è legato hanno cercato negli ultimi tempi di metterlo più volte sull'avviso, in fondo senza neppure usare troppi giri di parole, ma i loro accenni, pur chiari ed espliciti, non hanno prodotto alla fine alcun risultato positivo. In certi casi lui è parso addirittura sordo a certi argomenti, e spesso lo si è visto passeggiare con tranquillità per strada, muovendosi apparentemente quasi a caso, con un atteggiamento alla fine anche del tutto ordinario, nonostante qualcuno dei ragazzi incrociandolo avesse già da tempo cominciato praticamente ad ignorarlo. Ma lui forse adesso ha già qualcosa in mente, perché è proprio il tipo che non si dà facilmente per vinto, e certe volte lo si sente dire in giro che può sicuramente ancora farcela, anche se nessuno tra quei pochi che proseguono in qualche modo ad ascoltarlo prende in seria considerazione quelle sue parole. Forse non è neppure colpa sua la situazione che si è venuta a creare, però è evidente quanto lui non abbia saputo fin dall'inizio fronteggiare le cose come probabilmente sarebbe stato opportuno.
Poi, mentre sta da solo sul marciapiede fuori dal bar, gli si avvicina una ragazza che da qualche parte lui ha già visto, forse soltanto un paio di volte e sicuramente di sfuggita. Lei adesso lo saluta, si ferma, gli chiede una sigaretta sfoderando un gran sorriso, e poi dice subito che fa veramente caldo in questo periodo estivo, forse anche troppo per i suoi gusti. Per sottolineare le sue parole sbuffa leggermente, mentre attende che lui apra il pacchetto, forse anche per mostrare un suo vago disagio; ma lui invece annuisce divertito, e per gentilezza le dice che insieme potrebbero anche prendersi un caffè, sempre che le vada. Così entrano nel locale proprio accanto, si siedono ad un tavolo senza usare neppure troppe formalità, e mentre un paio di tizi in fondo a quell'ampio ambiente sembra proprio stiano giocando tranquillamente al biliardo, loro due si disinteressano di tutto. Il cameriere con serietà si muove da dietro al bancone e poi li serve, anche se percepisce qualcosa di insolito nell'aria, mentre i due tizi si scambiano un'occhiata esplicita e fanno partire quasi di nascosto una telefonata, proprio nello stesso momento in cui la ragazza ride di qualcosa che lui le sta spiegando, guardandola quasi con naturalezza in fondo agli occhi. Trascorrono così pochi minuti senza che accada altro, ma arriva subito dopo qualcuno dentro al bar, un uomo che lui conosce già da molto tempo, che si ferma, lo saluta con una smorfia ironica, ed appoggia una mano sul suo tavolo, come ad indicare che tutto il tempo a sua disposizione in quel locale è già finito, ed adesso deve proprio andarsene: non è gradito, sembra dirgli, o forse intende solo suggerirgli che ciò che aveva da fare là dentro in qualche modo è stato fatto.
Lui però guarda quell'uomo, assume un'espressione seria, sembra quasi voglia rispondere qualcosa, ma poi invece resta in silenzio. Si alza dalla sedia, con calma, ma lei pare trattenerlo lievemente per un braccio; l'uomo intanto scorre con calma fino al biliardo, e scambia qualche parola coi due tizi, che mostrando una forzata naturalezza hanno ricominciato a fare qualche tiro sopra al panno verde. Lui è rimasto in piedi, lei lo guarda, sembra volergli infondere il coraggio che forse potrebbe anche mancargli, ma infine si alza anche lei, e insieme, dopo aver lasciato qualche soldo sopra al tavolo, raggiungono l'uscita. Qui si fermano, lei torna a guardarlo, lui la bacia sulle labbra con trasporto, poi le fa cenno di aspettarlo sulla strada, e infine torna dentro a quel locale, completamente solo. Va incontro agli uomini che attorno al biliardo adesso si irrigidiscono, e sembrano proprio attendere la sua prima mossa, ma invece lui si ferma, li guarda, dice che per loro le cose si stanno mettendo molto male, anche se quelli la prendono quasi a ridere. Adesso ho da fare, dice; in ogni caso il vostro comportamento è proprio ridicolo, e non ci sarà probabilmente alcuna salvezza per voi, se neppure riuscirete a comprendere che ciò che sta cambiando sarà anche per il vostro bene.


Bruno Magnolfi

lunedì 27 luglio 2015

Silenzio.

            

            Lei cerca qualcosa nella zona buia del palco. Lui, al contrario, apprezza la luce calda di un faretto che gli accarezza leggermente l’espressione. Sono stanca dei nostri continui contrasti, dice lei ad alta voce, come cercando il consenso plateale del pubblico silenzioso presente. Ormai il nostro sembra un perenne disaccordo, qualsiasi sciocchezza è buona per tirare fuori opinioni differenti e contrastanti. Facciamo regolarmente una medesima e monotona figura meschina davanti a tutti loro, proprio come se fossimo due persone che non riescono neppure ad essere una coppia. Silenzio. Ma noi non siamo una coppia, dice lui, modulando un’espressione quasi seria e preoccupata sul proprio viso. Silenzio. Lo so, replica lei, ma non c’è affatto bisogno di far sapere a tutti della nostra distanza. Loro pensano di noi qualcosa che è forse superiore alle loro stesse normali esistenze, si commuovono persino quando noi ci avviciniamo, quando lasciamo vedere che c’è ancora del sentimento che ci tiene uniti.
            Ma è falso, fa lui, è soltanto un artificio del copione, lo sanno benissimo in platea. Non è vero, ribatte lei: loro si immedesimano nelle nostre parti, e come succede a tutti quanti quando sono nelle loro comode case, sperano sempre che qualcosa prima o dopo si appiani, insomma che alla fine di ogni tempesta sia finalmente il sereno a prevalere. Silenzio. Lui continua lentamente a muoversi nel cerchio di luce, lei si limita ad osservarlo, dalla penombra. E poi il nostro passato ha un senso, dice; qualcosa che ci ha pur tenuto uniti per tutto questo tempo. Forse è soltanto l’egoismo di ognuno di noi che adesso ci trascina su altre strade. Certo, una volta c’erano degli ottimi motivi per starcene vicini, per dimostrarci quasi continuamente il nostro affetto…
            Ecco, senti, qualcuno applaude piano in fondo alla platea alla parola affetto; sono forse quelli che hanno seguito la nostra storia fin dall’inizio, che ci hanno sostenuto, che in qualche modo stanno ancora dalla nostra parte, e non desiderano certo vedere adesso il nostro sangue, ci vogliono bene, insomma. Silenzio. Va bene, dice lui quasi con stizza, però possiamo pur continuare ad avere delle opinioni personali, mi pare, anche se queste paiono proprio non assomigliarsi per niente. Certo, fa lei, è naturale; basta però non usarle tra di noi come delle armi, o aggrapparci a queste per mostrare tutta la nostra distanza. Va ancora bene così, lo accetto, fa lui, anche se una maggiore naturalezza mi pareva non guastasse...
Qualcuno d’improvviso, tra le poltroncine del pubblico, inizia a parlare a voce sufficientemente alta da interrompere quasi il dialogo che si sta svolgendo. Dice che è il risultato quello che alla fine conta per davvero, non tutti questi artifici. Poi si fa silenzio. Non è affatto così, rispondono invece quasi contemporaneamente loro due. Anzi, dice lei, noi non potremo mai essere diversi da come siamo ora, e ciò che si vede è soltanto la dimostrazione e il risultato di quanto profondo sia il nostro vero sentire, non un colpo di mestiere. Poi cala di nuovo il silenzio. Forse è solo l’orgoglio a far parlare loro due in questo modo; forse dovrebbero essere più realisti ed affrontare con maggiore slancio l'evidenza delle cose.
Qualsiasi parte ci troveremo mai a rappresentare sopra queste assi, dice lui uscendo leggermente dalla luce, non riusciremo certo a rifarci una verginità: siamo destinati a stare insieme, questo è certo, e a mostrare così poco per volta il nostro lento sacrificarci, questa perenne debolezza umana di non riuscire mai a stare per troppo tempo dalla stessa parte. Silenzio. Sono d'accordo, fa subito lei, anche se la mia adesso appare soltanto come una contraddizione.


Bruno Magnolfi

mercoledì 15 luglio 2015

Segni divini.



Tutto è iniziato un po' di tempo addietro, senza che lei assolutamente fosse stata capace di spiegarsi il motivo di quelle perdite di sangue intorno alle unghie delle mani, riuscendo comunque con alcune paia di guanti speciali, e naturalmente con la scusa di avere acquisito una tremenda allergia da contatto, a tenere nascosta a tutti la verità su quanto forse le stava realmente accadendo. Quasi ogni giorno sentiva scendere poco per volta nelle sue dita una forza che sostanzialmente non le era propria, un calore ed un'energia praticamente sconosciute, e lei, spontaneamente, nonostante si fosse da sempre reputata quasi atea, volle interpretare fin da subito quanto le stava accadendo come un vero e proprio segno divino, anche se evidentemente pressoché incomprensibile. Il sangue attorno alle unghie era soltanto nell'ordine di qualche goccia che si formava lentamente intorno ai polpastrelli, ma il formicolio che le prendeva ai polsi ed alle mani era forte, anche se tutto si svolgeva senza che in fondo lei avvertisse sul corpo alcun dolore e avesse nessun altro disturbo.
Si confidò con un’amica, dopo qualche tempo, sentendosi subito meglio per essersi almeno finalmente liberata di un segreto che aveva fino a quel momento tenuto celato a tutti, anche se l'altra si fece subito prendere dai brividi, sostenendo immediatamente che quello appariva semplicemente come un vero e proprio segno soprannaturale, e di un tipo sicuramente formidabile. Arrivò a dirle addirittura che pur essendo assolutamente una cosa certa ed incontrovertibile, secondo lei avrebbe dovuto comunque sincerarsene recandosi il prima possibile da qualcuno che si intendeva di eventi divini e di cose di quel genere. Laura, le spiegò, tu sei la prescelta per un messaggio che adesso noi non riusciamo in nessun modo a comprendere, ma che sicuramente scavalca le nostre vite per intensità e per importanza. Lei ebbe paura di quelle parole, così le fece giurare e spergiurare che non avrebbe mai rivelato a nessuno il suo segreto, e naturalmente non disse niente ad altra anima viva, risolvendosi a non frequentare più neanche quella sua amica.
Le cose dopo allora difatto sono andate avanti in questo modo per diverso tempo: lei ha proseguito a fingersi affetta da quella specie di malattia, ed a professare agli altri, certe volte persino a se stessa in una sorta di propria sincera intimità, un'insidia virale che tutti, parenti e amici, hanno sempre riconosciuto come una iattura, la solita sfortuna che a volte la natura lascia cadere su qualcuno scelto a caso. Ad oggi comunque gli episodi si sono fatti molto più radi, anche se non sono mai cessati, e Laura, pur non avendo mai iniziato a professare alcuna religione, forse proprio nella paura di essere scoperta, di fatto svolge una vita piuttosto riservata, ed ogni sera pare rivolgersi al soprannaturale, parlando da sola a voce alta delle sue angustie, ed enumerando quasi sempre ogni sua preoccupazione. Stasera però, su di una semplice rivista illustrata, ha letto casualmente che esiste un’infiammazione quasi con le medesime caratteristiche presenti sopra le sue mani, e che scompare in poco tempo curandosi con una semplice pomata che abbia degli opportuni componenti.
            E’ rimasta perplessa, ha riletto di nuovo tutto l’articolo, poi ha chiuso il giornale: una sciocchezza, niente più di una cosa senza importanza, che può prendere chiunque, senza alcun problema: questo il senso delle cose scritte là sopra. Allora è andata in bagno, si è tolta i guanti, ha osservato le sue mani così bianche e smunte per non averle mai adoperate per tutto quel tempo, e le è venuta forse voglia di piangere, anche se si è trattenuta. Poi è uscita da casa, sempre senza guanti, e le sue mani poco dopo hanno preso a sgocciolare sangue dalle dita, anche se Laura non se ne è affatto preoccupata, neppure quando qualcuno tra i passanti le ha chiesto allarmato che cosa le stesse succedendo. E’ un segno, ha risposto lei, niente di speciale.


            Bruno Magnolfi