<<Non
so neppure spiegare per quale motivo preciso io mi stia prendendo così a cuore
la nascita di questo bambino>>, dico io ad una conoscente, una vicina di
casa con la quale certe volte mi fermo a parlare superficialmente del più e del
meno. <<Mi sono talmente impersonata nella mia amica, che mi sembra adesso
di sentir muovere anche dentro di me la vita che si prepara a nascere>>.
L’altra mi guarda senza trovare sull’immediato niente da ribattere, ma forse immagino
vorrebbe dirmi che è proprio la mia mancanza di figli che mi ha portato diritta
verso queste sensazioni; cioè, il fatto di desiderare fortemente qualcosa senza
riuscire mai ad ottenerla, in certi casi fa in modo, secondo il suo evidente
parere, che la nostra sensibilità e i nostri sensi possono acuirsi e in seguito
amplificarsi semplicemente alla sola vicinanza di quel qualcosa, mostrando
tutti i possibili sentimenti che possiamo nutrire verso ciò che purtroppo ci è
stato negato. <<Ma non sto male, non provo invidia verso di lei oppure
rabbia nei confronti della natura che mi ha tolto questa possibilità>>,
le spiego alla signora subito dopo. Poi lei inizia a raccontarmi una piccola
vicenda piuttosto affine a quanto le ho appena detto, e tutto quanto tramite le
sue parole semplici sembra spianarsi e giustificare le sensazioni descritte e persino
tutti i comportamenti, tanto da divenire in un attimo una cosa qualsiasi, una
semplice combinazione sul percorso lineare degli anni di ciascuno.
Infine, senza
più ribattere niente, la saluto; non credo dovrei parlare troppo in giro di
faccende di questo genere: spesso si viene fraintesi, oppure chi ci ascolta
cerca di rendere ordinaria una cosa che a noi non appare affatto tale, provando
sensazioni difficilmente comunicabili con delle semplici parole. Mi sto
controllando, mi sto addirittura frenando: se dessi retta del tutto a ciò che
provo dentro di me sarei continuamente a casa di Monica per osservarla, per
scambiare con lei ogni possibile parere sul suo stato, e poi verificare giorno
dopo giorno i piccoli cambiamenti che stanno avvenendo nel suo corpo, e
misurare ogni dettaglio che lei è capace di mostrare nella sua continua attesa.
La data del parto ormai è vicina, ed io provo dentro di me la voglia di
dilatare al massimo questo tempo, come se tutto l’essenziale del periodo stesse
in questa intensa attesa, con un epilogo che sembra quasi spostarsi ogni giorno
un po’ più avanti, almeno all’interno dei miei desideri. Credo di essere ormai
sopraffatta da quanto sta avvenendo addirittura sotto ai miei occhi, e penso
che la mia incapacità a parlarne persino con la stessa Monica, stia mostrando
un limite enorme della comunicazione.
<<Caterina>>,
mi dice ogni volta che vado da lei. <<Ho qui tutto quello che mi serve;
la prima persona a cui telefonerei, nel caso ci fosse qualche novità, sei
proprio tu, per cui non stare a scomodarti quasi ogni giorno per venire a farmi
visita, a me evidentemente fa sempre un gran piacere, ma davvero non lo trovo
necessario, e poi vedo che ti stanchi, che prendi estremamente a cuore ogni
minimo segnale che non sia quello che vorresti>>. Allora io la osservo
per un lungo momento, con serietà, con profonda accortezza, e poi non so
resistere e così infine scoppio a piangere, non so neppure io per quale motivo.
Monica sull’immediato non mi dice niente, lascia che io sfoghi tutta la carica
emotiva che forse ho accumulato negli ultimi tempi, ed io mi asciugo gli occhi,
mi riprendo alla svelta, le sorrido, le chiedo scusa, ma in lei trovo subito un
debole moto di rigidità, come se avessi fatto qualcosa che a lei non piace
troppo. Torno a sedermi, la guardo, dico: <<Mi emoziona starti accanto,
vedere come procedono le cose, i piccoli cambiamenti che avvengono giorno dopo
giorno, avvertire questo bambino che sta crescendo in te>>.
<<Comprendo
perfettamente tutto questo>>, spiega adesso Monica. <<Ma non vorrei
in nessun caso essere influenzata da qualcuno attorno a me. Ho deciso di avere
un figlio da sola, ma non per egoismo, o per un’estrema possessività, quanto
perché credo di poter rispondere nella mia solitudine a tutte le necessità che
questo comporta, e vorrei tentare di portare avanti in questo modo la mia idea.
Non vorrei in nessun modo escluderti da questa fase, ma non ritengo utile né a
me e neppure a te che qualcuno si intrometta troppo in questo processo
delicato>>. Resto in silenzio. Credo abbia ragione, e forse era proprio
necessario che mi ricordasse il ruolo di ciascuno. Allora cerco di scusarmi,
non era certo mia intenzione apparire sotto una luce addirittura negativa, così
le faccio presente che per lei vorrei soltanto essere un’amica che le dà una
mano, se e quando serve. Infine, ci abbracciamo: <<Sono contenta>>,
le dico, <<che tu abbia rimesso in fila le cose. Forse mi sono lasciata
prendere dall’emozione di questi momenti, e alla fine non sono stata neppure in
grado di comunicarti i miei più veri sentimenti>>.
Bruno
Magnolfi
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