giovedì 1 maggio 2025

Veri sentimenti.


            <<Non so neppure spiegare per quale motivo preciso io mi stia prendendo così a cuore la nascita di questo bambino>>, dico io ad una conoscente, una vicina di casa con la quale certe volte mi fermo a parlare superficialmente del più e del meno. <<Mi sono talmente impersonata nella mia amica, che mi sembra adesso di sentir muovere anche dentro di me la vita che si prepara a nascere>>. L’altra mi guarda senza trovare sull’immediato niente da ribattere, ma forse immagino vorrebbe dirmi che è proprio la mia mancanza di figli che mi ha portato diritta verso queste sensazioni; cioè, il fatto di desiderare fortemente qualcosa senza riuscire mai ad ottenerla, in certi casi fa in modo, secondo il suo evidente parere, che la nostra sensibilità e i nostri sensi possono acuirsi e in seguito amplificarsi semplicemente alla sola vicinanza di quel qualcosa, mostrando tutti i possibili sentimenti che possiamo nutrire verso ciò che purtroppo ci è stato negato. <<Ma non sto male, non provo invidia verso di lei oppure rabbia nei confronti della natura che mi ha tolto questa possibilità>>, le spiego alla signora subito dopo. Poi lei inizia a raccontarmi una piccola vicenda piuttosto affine a quanto le ho appena detto, e tutto quanto tramite le sue parole semplici sembra spianarsi e giustificare le sensazioni descritte e persino tutti i comportamenti, tanto da divenire in un attimo una cosa qualsiasi, una semplice combinazione sul percorso lineare degli anni di ciascuno.

            Infine, senza più ribattere niente, la saluto; non credo dovrei parlare troppo in giro di faccende di questo genere: spesso si viene fraintesi, oppure chi ci ascolta cerca di rendere ordinaria una cosa che a noi non appare affatto tale, provando sensazioni difficilmente comunicabili con delle semplici parole. Mi sto controllando, mi sto addirittura frenando: se dessi retta del tutto a ciò che provo dentro di me sarei continuamente a casa di Monica per osservarla, per scambiare con lei ogni possibile parere sul suo stato, e poi verificare giorno dopo giorno i piccoli cambiamenti che stanno avvenendo nel suo corpo, e misurare ogni dettaglio che lei è capace di mostrare nella sua continua attesa. La data del parto ormai è vicina, ed io provo dentro di me la voglia di dilatare al massimo questo tempo, come se tutto l’essenziale del periodo stesse in questa intensa attesa, con un epilogo che sembra quasi spostarsi ogni giorno un po’ più avanti, almeno all’interno dei miei desideri. Credo di essere ormai sopraffatta da quanto sta avvenendo addirittura sotto ai miei occhi, e penso che la mia incapacità a parlarne persino con la stessa Monica, stia mostrando un limite enorme della comunicazione.   

            <<Caterina>>, mi dice ogni volta che vado da lei. <<Ho qui tutto quello che mi serve; la prima persona a cui telefonerei, nel caso ci fosse qualche novità, sei proprio tu, per cui non stare a scomodarti quasi ogni giorno per venire a farmi visita, a me evidentemente fa sempre un gran piacere, ma davvero non lo trovo necessario, e poi vedo che ti stanchi, che prendi estremamente a cuore ogni minimo segnale che non sia quello che vorresti>>. Allora io la osservo per un lungo momento, con serietà, con profonda accortezza, e poi non so resistere e così infine scoppio a piangere, non so neppure io per quale motivo. Monica sull’immediato non mi dice niente, lascia che io sfoghi tutta la carica emotiva che forse ho accumulato negli ultimi tempi, ed io mi asciugo gli occhi, mi riprendo alla svelta, le sorrido, le chiedo scusa, ma in lei trovo subito un debole moto di rigidità, come se avessi fatto qualcosa che a lei non piace troppo. Torno a sedermi, la guardo, dico: <<Mi emoziona starti accanto, vedere come procedono le cose, i piccoli cambiamenti che avvengono giorno dopo giorno, avvertire questo bambino che sta crescendo in te>>.

            <<Comprendo perfettamente tutto questo>>, spiega adesso Monica. <<Ma non vorrei in nessun caso essere influenzata da qualcuno attorno a me. Ho deciso di avere un figlio da sola, ma non per egoismo, o per un’estrema possessività, quanto perché credo di poter rispondere nella mia solitudine a tutte le necessità che questo comporta, e vorrei tentare di portare avanti in questo modo la mia idea. Non vorrei in nessun modo escluderti da questa fase, ma non ritengo utile né a me e neppure a te che qualcuno si intrometta troppo in questo processo delicato>>. Resto in silenzio. Credo abbia ragione, e forse era proprio necessario che mi ricordasse il ruolo di ciascuno. Allora cerco di scusarmi, non era certo mia intenzione apparire sotto una luce addirittura negativa, così le faccio presente che per lei vorrei soltanto essere un’amica che le dà una mano, se e quando serve. Infine, ci abbracciamo: <<Sono contenta>>, le dico, <<che tu abbia rimesso in fila le cose. Forse mi sono lasciata prendere dall’emozione di questi momenti, e alla fine non sono stata neppure in grado di comunicarti i miei più veri sentimenti>>.   

 

            Bruno Magnolfi

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