mercoledì 28 giugno 2017

Diversa.

            

            A volte la donna pare assente. Resta ferma con le braccia abbandonate lungo i fianchi, e guarda forse qualcosa che in fondo riesce a vedere solamente lei. Però in altre occasioni appare più vivace, si muove in mezzo agli altri, in qualche caso sembra addirittura sorridere a qualcuno, anche se è difficile stabilire quale sia l’esatta espressione naturale del suo viso. Quando si muove l’andamento che assume è sempre pacato, i gesti quasi flemmatici, e per certi atteggiamenti si potrebbe definire una persona gentile e soprattutto riservata.
            Soltanto in certi casi il suo sguardo si fa duro, ed è da quel momento in avanti che forse ci si può aspettare di tutto da questa donna così particolare. Ci dica che cosa sente, le chiedono nell’intervista, e lei pare schernirsi, per dire infine che si sente soltanto una persona semplice e soprattutto che non si aspettava proprio di ritrovarsi in mezzo a tutto questo trambusto. Comunque in televisione il suo aspetto rende meglio, e le sue pose sembrano studiate con molta più attenzione di quanto sembrerebbe a prima vista.
L’interesse suscitato dalla sua storia ormai regge da più tempo di quello che ci si sarebbe immaginato, e forse anche il suo atteggiamento sempre apparentemente schivo ne ha come potenziato il corso. Alla lettura delle labbra quando decide di scambiare qualche parola con le sue compagne, sembra non dire mai cose avventate, anche se si sa per certo che i suoi pensieri corrono veloci intorno ad elementi del tutto fuori dall’ordinario.
Alcuni le fanno delle domande iniziando a dire che lei è proprio un personaggio, ma la donna sembra non desideri neanche rispondere a frasi di quel genere, e tende ad assumere di nuovo la sua espressione assente, quasi senza interessi. Qualche curioso vorrebbe addirittura seguirla nella sue piccole attività quotidiane, studiarne le mosse e anche gli atteggiamenti, ma risulta sempre difficile coglierla in attimi in cui risulti del tutto rilassata e naturale.
Così certi professionisti della notizia fingono addirittura di ignorarla, di farle credere che l’interesse suscitato dalla sua persona ormai sia giunto al termine, e che forse, se mai avesse trattenuto dentro di sé qualcosa da spiegare, sarebbe ora il momento per tirarlo fuori, e produrre in questo modo intorno alla sua figura quella chiarezza che è parso mancare fino dagli inizi. Ma la donna si guarda attorno per diverse volte, piega il capo leggermente su di un lato e abbassa lo sguardo, come per assumere quell’atteggiamento schivo con cui forse vuole dimostrare a tutti che lei è proprio così, senza alcuna stravaganza.   
Le telecamere producono dapprima dei campi lunghi, poi zummano velocemente sui suoi occhi, come a dimostrare quante immagini possono risultare dapprima trattenute e poi modificate dietro quello sguardo poco comprensibile. Poi qualcuno inizia a ripiegare il cavalletto, gli intervistatori correggono sui loro taccuini le poche parole importanti che sono riusciti a mettere da parte, scambiandosi tra loro delle occhiate rassegnate e poco soddisfatte. La definizione finale dei comportamenti abituali di questa donna sembra in questo modo sfuggire a tutti, anche se alcuni hanno già iniziato a lavorare di fantasia sulla sua presenza. Un titolo ad effetto si potrà pur tirare fuori, sembrano suggerire già in diversi, e qualcuno di loro sembra sorridere proprio a quest’idea, sottolineando diverse volte sulla pagina la parola che maggiormente adesso appare più adatta a definire questa donna, come uno di quei nomignoli che in seguito non potrà più togliersi di dosso.


Bruno Magnolfi

mercoledì 21 giugno 2017

Biglietto inutile.

          

Generalmente c'è silenzio e tranquillità nel suo piccolo appartamento, tanto che cambiarsi d’abito e prepararsi con calma per uscire può presentarsi come un'attività quasi piacevole, specialmente se confrontata con il solito ritrovarsi in strada o sui mezzi pubblici in mezzo alla gente ed alla confusione. A lei non piacciono i luoghi affollati e cerca sempre la maniera migliore di evitarli, anche se in certi casi non risulta proprio possibile.
Scusi, le dicono da dietro mentre entra nel supermercato, e lei si gira, riconosce vagamente un’espressione che proprio non le sembra nuova, tanto che il tizio che l’ha chiamata sorridendo le dice subito il suo nome per esteso, quello di un vecchio compagno di studi che adesso è proprio lì, di fronte a lei, come se non fossero passate affatto quelle decine d’anni che hanno modificato profondamente i loro volti e forse anche le loro espressioni naturali. Lei sorride, gli stringe la mano, lo abbraccia addirittura, si scambiano ovviamente qualche informazione, ma lui spiega che è di corsa, deve andare via, così le lascia in mano solo un biglietto con il suo numero di telefono, chiedendole per favore di chiamarlo, appena lei vorrà. 
Velocemente tutto rientra nell’ambito delle solite cose, anche quella manciata di sensazioni un po’ nostalgiche mescolate ad un afflusso di immagini scaturite fuori da una memoria forse confusa e anche distratta, fino a lasciare lentamente quasi richiudere la porta col passato, a vantaggio del presente sempre denso ed invischiante. Solo una volta a casa quel biglietto torna fuori, tra le buste e i confezionamenti alimentari, fino a strapparle un semplice sorriso, ed un altro piccolo effluvio di pensieri, adesso più tranquilli ed in parte anche maggiormente soddisfacenti. Il numero col nome viene messo sopra un mobile, in bella vista, come fosse la foto incorniciata di un familiare negli anni della gioventù, e la solitudine e la calma dell’appartamento riprendono come sempre il sopravvento.
Trascorre il tempo cadenzato dalle abitudini, l’alternarsi perenne tra l’interno dei pensieri e l’esterno dei comportamenti, quasi un meccanismo semplice ed inevitabile, come il movimento perpetuo che non cambia, e scivola veloce quasi fosse il senso stesso delle cose. Lei prosegue a cambiarsi d’abito e ad uscire, quando non può proprio farne a meno, e a tornare anche nel supermercato, senza ritrovare più nessuno che le ricordi qualcosa di quei vecchi tempi, e senza incontrare più di nuovo lui, ormai tornato già distante nei ricordi, perso chissà dove nella fretta e nella confusione di ogni giorno.
Rientrando a casa scioglie ogni volta quel senso di leggero fastidio dato dalla strada e dalla gente in movimento, ma riprende subito la calma tanto necessaria, respira l’aria ferma o quasi, che appena ce la fa dallo spiraglio di una finestra a smuovere le tende. Poi, forse per automatismo, si ritrova in mano quel biglietto con quel numero, adesso assurdo, inutile, senza alcun significato, e come tutti i confezionamenti alimentari che vanno uno per uno nella pattumiera, anche quello in un attimo va a cadervi dentro, a chiusura definitiva di un periodo.

Bruno Magnolfi


giovedì 15 giugno 2017

Fantasma al piano di sopra.

         
            Il suo vicino di casa va in ufficio solo la mattina, poi rientra nel suo appartamento per consumare il pranzo che acquista in una rosticceria lungo la strada, e vi rimane in genere fino alla metà del pomeriggio, quando torna ad uscire per concedersi una semplice passeggiata lungo le vie di quel quartiere. Lei riconosce quei suoi passi quando il vicino scende le scale; lo guarda dalla finestra mentre si allontana, immagina facilmente anche quale sarà il suo itinerario. Le piace la sua presenza, rendersi conto di quelle abitudini, degli orari, di come scorrono le sue giornate, ma soltanto in qualche raro caso decide di prendere in fretta la borsa e di andarlo casualmente ad incontrare sul portone condominiale, o sul marciapiede poco distante.
            Lo saluta, certe volte scambia con lui qualche parola distratta, ma mai niente di più. Non vuole sapere nulla della sua vita, di quello che pensa, cosa vorrebbe fare tra una settimana oppure tra un anno. A lei basta sentirlo presente, con i suoi ritmi, gli orari, le abitudini. Le suonano alla porta, la dirimpettaia del pianerottolo le dice che l’inquilino del terzo piano è stato portato d’urgenza in ospedale, direttamente dall’ufficio dove lavora: si è sentito male spiega, sembra sia caduto a terra come un fagotto, senza che si capisse come mai. Adesso pare che tutto sia sotto controllo, però naturalmente stanno facendo diversi accertamenti. La dirimpettaia prosegue a guardarla negli occhi per tutto il tempo, anche quando non ha più niente da dirle, e lei cerca di non mostrare alcuna emozione, poi la ringrazia delle informazioni e infine chiude la porta.
Potrebbe forse disinteressarsi di tutto, pensa mentre cerca di farsi scivolare via il fastidioso ed infido indagare della dirimpettaia, e proseguire con le sue cose come se niente fosse successo; oppure prendere la sua borsa ed arrivare fino in ospedale, senza reticenze, per presentarsi dal vicino, magari salutarlo con cortesia avanzando una qualsiasi scusa per essersi ritrovata proprio in quel reparto, e sincerarsi in questo modo delle sue effettive condizioni. Invece non fa niente, se non le solite cose di ogni giorno, anche se l’assenza del vicino non è certo un elemento di poco conto. Ci pensa, lo immagina, fino a sentirne i passi lungo le scale, anche se sa che non è lui.
Infine aspetta, come le è dato di poter fare, guardando spesso la strada dalla sua finestra e stando bene attenta a qualsiasi voce o rumore riesca a sentire. Spera che tutto torni in fretta nelle stesse condizioni di com’era prima, e che tutte le abitudini e gli orari del vicino si ripresentino rapidamente come sempre. Poi arriva: lo riportano nel suo appartamento certi parenti, lo fanno scendere dall’automobile con calma, lui appare pallido, forse dimagrito, però sembra pronto in pochi giorni a riprendere tutte le sue attività. Se ne vanno tutti alla fine, lei segue ogni movimento dalla sua finestra, ed adesso sa che il suo vicino è in casa, magari seduto sulla sua poltrona preferita, ad ascoltare la radio oppure a leggere qualcosa.
Allora lei prende la borsa, approfittando di dover scendere ad acquistare qualcosa per la cena, e gli suona il campanello. Lui arriva, apre, lei lo saluta, come sempre, e sul pianerottolo gli chiede come si sente, se magari abbia bisogno di qualcosa o se può essergli utile. Inizialmente non mi ero neanche accorta della sua assenza, gli dice; probabilmente c’era un fantasma che in questi giorni lo stava già sostituendo.


Bruno Magnolfi

venerdì 9 giugno 2017

Grandi cambiamenti.

           

Certe volte si può camminare sopra un marciapiede, costeggiando magari una siepe con le foglie polverose, senza rendersi neanche conto che quel tratto di strada lo percorriamo praticamente ogni giorno. Tanto da essere oramai convinti con l’abitudine di essere tutto sommato nel giusto, e di andare così nella direzione migliore, senza più neppure domandarselo. Sentire addosso ogni volta l’aria fresca del mattino, insieme ai pochi sguardi degli altri, e ancora prima di giungere sul posto di lavoro pensare anche solo di sfuggita alla fortuna di abitare neanche troppo lontano da lì, cosa questa che certamente fa sentire migliori. Lei si guarda attorno come sempre proseguendo a camminare con il suo passo svelto, e riflette che forse anche quel poco tempo che impiega è comunque sprecato, pur riconoscendo che ormai è stabilito così, e che non si può certo cambiare nulla di tutto questo.
Un attimo, una conseguenza, quasi un metodo per intercalare due spazi diversi, e tenerli collegati ma alla giusta distanza. Qualcuno ieri sera ha sporcato un muro con della vernice, niente di irreparabile certo, probabilmente diventerà in poco tempo qualcosa a cui non fare neanche più caso, come a tutto il resto d’altronde, fino a quando magari saranno cancellati quei segni, e d’un tratto le cose toneranno al loro punto iniziale. Ecco, lungo la strada ci sono questi particolari che possono variare, e forse nient’altro. Poi però ci sono i pensieri, ed anche qualche piccola preoccupazione, però di tipo ordinario, perché le altre mettono solo paura.
Non sapere più che cosa si desidera, per esempio, ed andare avanti cercando di non riflettere mai su questo aspetto, quasi come evitare un luogo senza rumori, per non sentire neanche il battito del proprio cuore, o anche il respiro, o il proprio corpo ancora vivo e presente insomma.  Lei si trova in una fase difficile, si potrebbe anche dire: ma forse non è del tutto così, visto che basta una sciocchezza qualsiasi per farle ritrovare l’entusiasmo che sembrava definitivamente perduto.
Un uomo la incontra lungo quel marciapiede, la guarda, la stessa espressione ogni volta, come non ci dovesse mai passare un briciolo in più oltre quell’esile, ininfluente, scarica elettrica. Invece oggi la ferma, le chiede qualcosa fermandosi, e a lei sembra già una persona diversa da quella che vede ogni volta, così trattiene la borsa, come se lui fosse un ladro, un rischio, una minaccia; lo guarda sul viso appena un momento, poi dice che è l’ora meno dieci minuti, nella stessa esatta maniera che pensa già sapesse anche lui. Riprende subito a camminare, non c’è alcun motivo per non farlo ancora, l’uomo si volta, la guarda da dietro, lei no, perché forse lui si aspettava qualcosa di diverso, forse un sorriso, un buongiorno, forse un incoraggiamento per chissà mai che cosa.
Il passo di lei adesso è più lento del solito, ma i suoi pensieri invece vanno veloci: per domani ha deciso che cambierà marciapiede, probabilmente; anche se in questo modo forse cambieranno già molte cose della sua vita.


Bruno Magnolfi

domenica 28 maggio 2017

Perdere.

    

Mia figlia purtroppo, anche se lei non la conosce, non è molto simile a me, dice la signora Ruggeri. Per molto tempo ho cercato di passarle le idee a cui personalmente ho sempre cercato di tener fede, cose come l’onestà, la rettitudine, la coerenza, e lei ha finito spesso anche forse per accogliere alcuni dei miei principi, ma magari soltanto per accontentarmi, limitandosi a seguire in maniera del tutto superficiale qualche mio pur piccolo suggerimento. Negli ultimi tempi però la trovo ancora più scostante di sempre, e poi individualista, indisponente, indifferente a molte delle cose che io ho sempre reputato fondamentali; ed infine, proprio per colmo, in questa fase ho forse anche smarrito quel filo di dialogo con lei che nel passato avevo persino creduto di riuscire a vantare. Penso però che in fondo tutto questo non abbia poi molta importanza, e che mia figlia stia soltanto cercando una sua strada, delle caratteristiche proprie, dei riferimenti personali, e dopo, come credo sia giusto, che stia semplicemente maturando una sua personalità ben distinta e diversa da quella dei suoi antiquati genitori.
L'amica della signora Ruggeri annuisce leggermente, forse potrebbe anche dire che al giorno d’oggi certi rapporti si sono fatti molto complessi, ma teme così di ribadire soltanto cose scontate e puerili, perciò si limita ad ascoltare senza dire un bel niente. Il supermercato è pieno di gente a quell’ora, e qualche persona di fretta mal sopporta le chiacchiere dei clienti mentre stazionano a lungo davanti a qualche scaffale mostrando scarsa attenzione agli orologi degli altri. Sono preoccupata, non posso negarlo, prosegue la signora Ruggeri; il suo futuro alla fine mi pare ancora interamente da costruire, e da adesso in avanti potrebbe svilupparsi in lei qualsiasi soluzione di fatto per nulla prevista fino a questo momento. Poi le due donne spingono i loro carrelli verso la fila delle casse, e solo a quel punto arriva proprio Giorgiana, con espressione poco felice, la figlia di cui hanno parlato fino ad un attimo prima.
Ciao, dice lei quasi sbuffando alla vista di sua madre; sono qui soltanto perché ho urgentemente bisogno di soldi. La signora Ruggeri resta un momento a cavallo tra il tirare subito fuori il borsello senza neppure battere ciglio, oppure chiederle in maniera secca e con fare risoluto quale sia il motivo di una richiesta di quel genere. Però si volta un momento verso la propria amica, quasi a chiederle un qualche sostegno. L’altra però è una statua di sale, così lei prende tempo, sistema ancora qualcosa nervosamente nel suo carrello, e con ogni probabilità vorrebbe magari anche sorridere senza guardare di fatto nessuno, proprio per evitare uno scontro che in questo momento le pare del tutto inevitabile.
Ho soltanto la tessera del supermercato, dice alla fine, soddisfatta della soluzione a cui è arrivata improvvisamente. Ho io qualche cosa, dice invece l’amica; ma Giorgiana non arriva fino al punto di farsi prestare dei soldi da una persona a lei praticamente sconosciuta, così si schernisce, dice in fretta che in fondo non ha troppa importanza, e che il suo era soltanto un semplice e forse sciocco tentativo. La signora Rossetti allora la guarda, le tocca un braccio come facendole una carezza. Vorrei non averne mai soldi da darti, le dice adesso sottovoce: e lasciare invece che le cose davvero importanti riuscissero con naturalezza ad affiorare dai nostri differenti comportamenti. Anche se so già da adesso che così avrei solo da perdere.


Bruno Magnolfi

lunedì 22 maggio 2017

False immagini.

      
            Non ama guardarsi riflessa sulle superfici lucide Caterina, tanto che nel suo minuscolo appartamento ha soltanto un piccolo specchio, ed in genere lo usa quasi sempre appena di sfuggita. Anche quando gira per strada si ferma sempre poco volentieri davanti alle vetrine dei negozi che incontra, proprio per evitare il più possibile qualsiasi immagine riflessa di sé. E non in quanto si trovi brutta o sgradevole, ma solo perché quel suo improvviso ed apparente sdoppiarsi con la sua immagine che vede sopra le superfici di vetro, la mette ogni volta in uno stato di forte soggezione, come se quella donna di fronte a sé quasi non fosse davvero lei.
            La sua amica, quando Caterina le ha parlato di questo problema, ha spiegato in due parole che è soltanto una grande sciocchezza: ognuna di noi deve amare la propria immagine ha detto, cercare di migliorarla quanto sia possibile, e comunque mostrare sempre, anche davanti ad uno stupido specchio, che tutte noi siamo perfettamente sicure di noi stesse, e quindi anche del nostro apparire. Lei non ha ribattuto un bel niente, ma non si è trovata affatto d’accordo con quelle parole, tanto che da quel momento in avanti ha evitato costantemente di parlarne ancora sia con la sua amica che con chiunque altro, conservando per sé tutte le sue personali convinzioni.
            Poi Caterina però ha voluto affrontare meglio e da sola l’argomento spinoso, e così è andata davanti all’unico specchio di casa e si è posta ad osservare insistentemente ogni particolare che vedeva riflesso, fino a quando ha scoperto che non era del tutto lei quella là immersa nella superficie di vetro. E’ un’apparenza, ha infine deciso, un’illusione data soltanto da quello che vogliamo vedere, che ci intestardiamo a immaginare come una semplice copia rovescia, ma che invece, a guardare con maggiore attenzione, non ci assomiglia neppure, tanto da non darcene alcuna prova reale. E nello specchio ha iniziato anche a vedere altre cose: il muro alle spalle pieno di macchie, di crepe, di aloni indefiniti; e poi le sue braccia, più piccole e minute di quanto siano veramente, le mani, più nodose e sgraziate di come le abbia sempre notate. Ha osservato i contorni del viso, e si è accorta che non rispondevano affatto a quello che sentiva toccando la pelle con le sue dita. Insomma nello specchio c’era un’altra persona, un’ immagine completamente diversa, proprio quello che lei aveva sempre creduto.
            Così ha coperto con un telo anche quell’unico specchio di casa, ed ha iniziato a valutare il suo apparire soltanto con la visone diretta di sé, e per quanto riguarda le parti impossibili da vedere, ad affidarsi semplicemente al suo intuito ed a quanto riesca da sola ad immaginare. E’ stato per questo forse che è stata capace di uscire da casa con i capelli quasi completamente arruffati, tanto che qualcuno di sua conoscenza glielo ha fatto notare, sorridendo come se fosse una cosa che capita solo agli sciocchi. Nelle immagini ci sta solo quello che vorremmo vedere, ha pensato Caterina tra sé; il resto è qualcosa che ci rende sempre meno liberi di essere come vorremmo. Se continuiamo sempre ad immaginarci con gli occhi di chi ci sta semplicemente guardando, rivedendoci specchiati nel loro sguardo, non saremmo mai veramente noi stessi, ma soltanto dei tentativi somiglianti a quello che gli altri si aspettano di vedere. E’ tutto falso, ha infine deciso, se non quello che noi sentiamo nel profondo di essere realmente.

            Bruno Magnolfi

            

venerdì 19 maggio 2017

Nuovo vicinato.



Loro sono strani, dice lui alla moglie. Non li vedi per settimane, poi all’improvviso escono fuori con dei sorrisoni che paiono quasi ironici. Quando qualche volta mi sono fermato per parlare con quel Franco come si chiama, mi ha dato subito l’impressione di volermi scaricare velocemente, rispondendo a monosillabi e non guardandomi mai in faccia. Ma tu cosa ne pensi? La moglie prosegue a scaricare la lavastoviglie, preoccupandosi, per ogni pezzo che tira fuori, di asciugare con lo strofinaccio le inevitabili goccioline d’acqua che si sono conservate sulle superfici, ed annuisce senza dire niente, anche se pensa che quella Rita che abita di fronte alla loro casa sia sicuramente una grande asociale, visto che non si è mai neppure presentata dal suo arrivo nel quartiere, come invece è convenienza quando si hanno dei nuovi vicini di casa.
Va bene, saranno giovani, prosegue lui, anche se a me pare che lei abbia qualche anno in più del suo compagno, ma in ogni caso le regole non scritte sono le solite: se ci incontriamo sul marciapiede è bene salutarci, credo, piuttosto che fare finta di non essersi mai visti. Ma non è neppure questo il punto: il fatto essenziale è che non si capisce proprio cosa facciano. Certe volte li incontri al mattino presto, e si potrebbe arguire che magari vadano al lavoro, ma poi a quella stessa ora non li vedi più per giorni e giorni, e dalle persiane chiuse potresti addirittura dire che all’improvviso siano partiti per un qualche viaggio fuori stagione. Infine li ritrovi, vestiti di tutto punto, che escono di casa al pomeriggio, impettiti, pieni di sé, come per andare ad un incontro importante o chissà cosa, ed è proprio in quel momento che sembrano come guardarti dall’alto verso il basso, quasi tu non esistessi neppure, tant’è che neppure ti salutano.
La moglie non interrompe quelle riflessioni del marito, in ogni caso sa che quel Franco è un gran bell’uomo, e che probabilmente tratta più che bene la sua compagna, tanto da formare una coppia bella da vedersi, forse anche troppo in vista qualche volta. Però avrebbe subito da dire che lei appare molto eccentrica con quel suo trucco pesante sul viso ed i vestiti sempre troppi corti e anche scollati, però non dice niente per non essere presa per una sciocca provinciale. E poi all’improvviso, continua lui, ecco che si stampano sul viso questo loro sorriso smagliante che sa subito di finto, ed ammiccano qualcosa pure, come se il mondo fosse in quel momento nelle nostre mani, e che un’intesa in qualche modo fosse già stata definita tra di noi.
No, dice lui, non li capisco. La moglie intanto gli accende la televisione mentre continua a sistemare la cucina, tanto per cercare di tranquillizzarlo un po’, anche se è perfettamente d’accordo con quanto è stato detto fino adesso, nonostante lei non sia solita parlare male di qualcuno, come se fosse costantemente pronta ad accettare come normale qualsiasi stranezza addosso agli altri che pur riconosce perfino dentro se stessa. Credo che non dovremo dare loro troppo spago, dice infine lui; mi sembra che ci sia qualcosa di segreto in quei comportamenti, non vorrei ritrovarmi a dovermi difendere da qualche accusa solo perché abitano qui accanto.
Certo, pensa lei, questo è il comportamento migliore da tenere; se poi verranno un giorno a bussarci alla porta perché hanno bisogno di un favore o di qualcosa in prestito, dovremo ricordarci di tutte quante le nostre riflessioni, e non farsi subito in quattro per qualsiasi richiesta, magari solo perché lei appare carina, ben curata, e magari con uno scollo anche più profondo di quanto sia minimamente accettabile per la gente che abita qua attorno.


Bruno Magnolfi