Mentre
cammino non metto mai le mani dentro le tasche, mi sembrerebbe una forma
inaccettabile di disimpegno, una vera incapacità nel trovare qualcosa di utile
in cui occuparle, così come non rientro mai a casa prima di un certo orario,
proprio per evitare, agli occhi di chi mi nota, che si supponessero i miei
compiti ormai terminati, quasi che la mia giornata avesse avuto un banale andamento
quasi da sfaccendati. Il mio passo è abbastanza svelto, ed il mio comportamento
tipico di chi ha mille cose a cui pensare ed altrettanti impegni a cui
applicarsi, tanto da non avere mai il tempo utile per dedicarsi ad altro, o a
permettersi delle soste di usuale rilassamento. Molti oggi vanno di corsa in
quest’epoca senza intervalli, e chi riesce a dimostrare un’indole portata a
svolgere un numero di attività più alto della media, è proprio il tipo di
persona che con evidenza è anche capace di vivere maggiormente degli altri, mostrandosi
in grado di tradurre ogni momento di vita che trascorre in qualcosa di utile e
di fruttuoso. Certe volte mi sono fermato a pensare se tutto questo mio radicato
parere si possa basare solo sulla convinzione di dover esibire semplicemente un’apparenza,
addirittura spesso senza sostanza, ma naturalmente ho sempre allontanato da me
idee di questo genere, confinando questa opinione attorno ad individui che scelgono
soltanto di mostrarsi in una certa maniera, dimenticando i reali compiti verso
cui sono chiamati ad affaccendarsi.
Invece,
certe volte, pur non tralasciando i miei comportamenti abituali, sono portato
ad immaginare un percorso che non preveda mai un vero scopo, e che l’evidenza
di una stessa sorte che alla fine accomuna uomini e donne, sia il vero effetto
etico di un’esistenza spesso quasi del tutto priva di un’anima propria, in
grado però di sostenere il senso del nostro correre in avanti senza mai alcuna reale
sosta di stazionamento. Ma subito cancello dalla mente riflessioni del genere,
e mi osservo muovere, attraverso gli occhi degli altri, tutti i miei arti di
fretta, nella ricerca spasmodica di formare nelle loro menti l’immagine di un
individuo perennemente indaffarato, tormentato da impegni e da attività di cui
occuparsi rapidamente e in maniera adeguata. Non c’è per me una vera occupazione
ormai conclusa, ce ne sono moltissime altre a cui dedicarsi da qui all’immediato
futuro, che terranno senz’altro impegnata la mente e anche tutti gli altri
possibili organi che si possono introdurre nel gioco, per dichiararsi
degnamente degli individui attuali, in grado di stare al passo coi tempi. Sorrido,
quando incontro qualcuno che conosco, e saluto con apparente spensieratezza
coloro che mi salutano a loro volta, evidenziando di non avere né il tempo e né
la possibilità di poter arrestare questa specie di moto perpetuo, almeno per
una persona impegnata in mille cose da compiere come io mi ritengo, e di non poter
essere comunque maggiormente esaustiva nelle superficiali dimostrazioni di
socialità.
Rispondo al
telefono, annoto alcuni appunti su un taccuino, scrivo in un’agenda un orario e
una data, mentre nello stesso momento sbocconcello qualcosa ad un tavolo dentro
un caffè, e intanto rifletto su quale sarà il mio prossimo impegno, ed anche se
mi trovo un po’ a corto di faccende così impellenti, fingo talvolta persino con
me stesso di averne più d’una, e di essere perennemente costretto perciò ad
operare delle scelte, dando la priorità ad una incombenza piuttosto che
all’altra. <<Dottor Carletti>>, dice qualcuno che mi conosce, anche
se è consapevole che sono soltanto un ragioniere. Alzo per un attimo la testa,
lo guardo, annuisco per mostrare solidarietà con chi sta vedendo di fronte a sé
una persona oberata di lavoro, di incarichi, di cose da sbrigare, perché è
esattamente così che tutti mi vedono, proprio come io ho sempre cercato di
costruire, giorno dopo giorno, il personaggio che mostro di essere. Non posso
fermarmi, non ci riesco, sono costretto a proseguire la marcia sul binario che
mi sono scelto una volta per tutte, ed anche se la mole di lavoro di un tempo
ormai è soltanto un ricordo, e la clientela del mio studio si sia ridotta di
parecchio, tanto da lasciarmi molto tempo della giornata privo di reali cose da
fare, mi reputo prigioniero di un’immagine che dice tutto di me, e che bene o
male prosegue a farmi galleggiare in un microcosmo economico dove allo stesso
tempo si elegge un campione, oppure un altro viene subito decapitato.
Non è
facile per me misurarmi con questa piccola disfatta, ed ogni giorno che inizia innalzo
tutta la mia fiducia in una ripresa solerte del ruolo che bene o male rivesto,
fino ad arrivare a rendermi conto che forse non potrà essere proprio quest’oggi
il momento che auspico, ma magari domani, e nel frattempo però devo senz’altro mantenere
lo stesso ritmo, il medesimo modo di affrontare tutto quanto, tentando di non
farmi mai scoprire in questo piccolo gioco. Saluto gli altri di corsa, mi
congratulo di qualcosa che non so neppure io cosa sia, ed affronto con coraggio
il futuro, anche se sono consapevole che sta fuggendo dalle mie mani ciò che
credevo ormai in mio possesso.
Bruno
Magnolfi
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