Quando ogni
volta esce dall’ufficio, ormai durante il pomeriggio inoltrato, lui ha preso
l’abitudine di infilarsi nella vicina biblioteca di quartiere, abbastanza ampia
e poco frequentata, e rimanere là dentro a leggere dei libri di varia natura trattenendosi
generalmente fino all’ora della chiusura serale delle sue due sale, e al
momento in cui restituisce i volumi e ripone le proprie carte su cui annota
qualche appunto, esce da lì soltanto per andare a fermarsi in una tavola calda
lungo la stessa strada, a consumare una cena leggera sedendosi sempre allo
stesso minuscolo tavolino, per poi infine rientrare in casa propria, ma mai
prima delle dieci o anche più tardi. Il fatto è che in questa fase che sta
vivendo non desidera incontrare nessuno che conosce, tantomeno Sergio, che
probabilmente sarebbe subito pronto a chiedergli qualcosa del suo
comportamento, e poi magari insistere nel fare domande sulla sua relazione con
Monica, e sui motivi che lo stanno portando ad allontanarsi un po’ da tutto e
anche dal suo coinquilino. Renato tiene il suo telefono portatile sempre ben
acceso, nell’attesa della chiamata decisiva da parte di lei, convinto come si
sente che debba proprio arrivare prima o dopo, e perciò, in ogni momento, si
tiene pronto per rispondere, per comprendere cosa mai possa essere successo,
quali siano le ragioni capaci di giustificare quella sua condotta, quella
improvvisa indifferenza, quel continuo ignorarlo, come se non fosse mai
accaduto niente tra di loro.
Al momento in cui invece rientra
in casa, fa poi un cenno di saluto frettoloso a Sergio, sempre che lo trovi nell’appartamento,
mentre si trova nel salottino magari già assonnato davanti alla televisione
accesa, ma dopo il proprio convenevole lui si dirige subito verso la sua
stanza, senza dare neppure il tempo all’altro di chiedergli qualcosa. Si porta
dietro sempre un libro preso in prestito dalla biblioteca, e con quello
trascorre l’ultima parte della sua giornata leggendo quello, prima di spengere
la lampada vicino al proprio letto e addormentarsi. In quei brevi momenti, nel
buio appena rischiarato da qualche fessura di luce proveniente dalla strada e che
si inserisce in mezzo all’avvolgibile di plastica, Renato riflette su cosa sia
la scelta migliore da fare, quale comportamento tenere nei confronti di Monica,
come riuscire a sapere qualcosa delle sue giornate, ora che lei ha
definitivamente lasciato il lavoro, togliendogli la possibilità di farsi
incontrare anche soltanto per combinazione tra gli uffici comunali. Va a
ritroso nelle giornate e nelle settimane, ripercorre con lucidità gli ultimi
tempi, ancora prima di essere giunto a quella che appare una rottura
ingiustificata, poi decide come comportarsi nel prossimo periodo, anche se sa
già che il suo atteggiamento è definito solo dall’attesa.
Stasera invece, mentre si trova
come sempre nella solita biblioteca, tanto da essere ormai guardato persino con
un certo sospetto dall’impiegata di turno che probabilmente si starà domandando
quale sia lo scopo finale di quest’uomo, suona all’improvviso il suo telefono
portatile, e lui di scatto osserva per un attimo lo schermo, legge di colpo con
sorpresa il nome di Monica scritto in evidenza, e comprende che tutto sta
precipitando in questo attimo esatto. Esce quasi di corsa dall’edificio,
lasciando su un tavolo tutto ciò che ha con sé, e naturalmente risponde al più
presto possibile a quella chiamata. È evidente, la stava aspettando da giorni, aveva
mentalmente cercato da tempo di immaginare ciò che avrebbe detto e anche ciò
che presumibilmente avrebbe ascoltato, ma nonostante tutto adesso che sente
quella voce che ha imparato da tanto tempo a riconoscere tra altre mille, si
sente come impreparato, quasi fosse di fronte ad un esame del quale sa
perfettamente di non avere gli strumenti per poter affrontare come vorrebbe la
prova a cui è sottoposto.
<<Ciao; devo
parlarti>>, dice Monica con voce seria e tranquilla. <<Ma non per
telefono; se vuoi possiamo vederci al tavolino di un caffè, anche subito, se a
te va bene>>. Lui capisce che se cercasse di rispondere con qualche
domanda probabilmente balbetterebbe, così dice semplicemente che gli va bene, che
si possono incontrare nel solito posto, lui impiegherà venti minuti per essere
lì. Poi riattaccano. Renato rientra nella piccola biblioteca, raccoglie i suoi
libri, saluta l’impiegata dietro la propria scrivania, e infine esce. Vorrebbe
correre, tanto per sciogliere l’adrenalina di cui il suo corpo gli sembra preda,
ma alla fine riesce semplicemente a camminare con passo svelto, quasi con
normalità. Molti pensieri si affollano nella sua mente, forse da questo
incontro dipendono molte cose del suo futuro, si immagina; in ogni caso cerca
di convincersi che qualsiasi cosa si trovi davanti dovrà prendere tempo, farsi
vedere distaccato, come già tante volte gli ha consigliato Sergio, e
soprattutto non dire niente che in seguito si trovi a dover rispettare, come
una promessa dichiarata un po’ alla leggera e poi difficile se non impossibile
da mantenere. Devo calmarmi, continua a dirsi, tentare di essere il più
naturale possibile, come se tutto questo non cambiasse di una virgola ciò che
sarà, e soprattutto comprendere bene, perfettamente, tutto ciò che forse mi
verrà spiegato.
Bruno Magnolfi
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